Rodez, (2)
16 maggio 1946
Essendo
stato deportato dall'Irlanda, internato a Le Havre, trasferito
da Le Havre a Rouen, da Rouen al manicomio Sainte-Anne a Parigi, dal
manicomio di Sainte-Anne a quello di Ville-Évrard, dal manicomio
di Ville-Évrard a quello di Rodez, (3)
conosco le deportazioni, poiché la medicina si conosce attraverso
i dolori e per curare i dolori bisogna averli sofferti, e non mi sarei
azzardato a parlare della Sua deportazione in Germania nel 1942, anche
se è stato Lei stesso a chiedermelo, se le circostanze non avessero
posto anche me in stato di deportazione. Effettivamente, essere
deportato è un fatto ed una condizione che non affronterò
dal punto di vista medico o scientifico, perché odio tanto la
medicina, quanto la scienza, ma della quale posso parlarLe come qualcuno
che ne abbia lungamente e oserei dire: meticolosamente sofferto.
Meticolosamente
vuol dire che mi sono visto obbligato, come Lei, a non perdermi nulla
dei tormenti della mia deportazione, perché deportato,
mi sono inoltre visto internato, ed ho avuto, in effetti, molto tempo
in anni di celle e pagliericci, accovacciato sui pagliericci nelle celle,
di pensare alla mia condizione di sradicato e di esiliato. (4)
Infine, caro signor Pierre Bousquet, noi abbiamo un corpo: a tutti è
stato dato un padre, e una madre, data, voglio dire attribuita,
ma in realtà non ce ne ricordiamo affatto. I ricordi del
bambino cominciano verso i 18 mesi o i 2 anni, in generale, e prima
non sappiamo affatto dove ci trovavamo. - In me, i primi ricordi ufficiali
cominciano a 18 mesi, prima se dicessi dove mi trovavo e che lo ricordo,
mi si tratterebbe ancora da pazzo, poiché i miei ricordi personali
non concorderebbero con quelli del mio stato civile, perché i
bambini costruiti dalla società, non sono quelli che fa la natura.
(5) Andiamo avanti. Dunque
anche Lei, signor Pierre Bousquet, ha sempre creduto di chiamarsi Pierre
Bousquet ed è allora che Pierre Bousquet e per il fatto che lei
si chiamava Pierre Bousquet, uscito dal nulla, in Francia, in una famiglia
di francesi, essendo la Francia stata in guerra ed avendo perso, Lei
si è trovato obbligato, un certo giorno, a sottomettersi senza
protestare ad un provvedimento di deportazione preso contro tutti i
giovani della sua età dopo la fine dell'ultima guerra, sotto
lo schifoso governo di Vichy. (6)
- Lei non c'entrava nulla coi battibecchi tra Daladier (7)
e Hitler, ma colui che La ha messa nella situazione di essere deportato
prima di essere silurato come un imboscato, il suo successore Pierre
Laval, (8) si incaricò
di legarLe le mani alle esigenze del vincitore. Anche voi, tutti
voi, siete dunque stati vinti, ma no, no, eravate troppo giovani, e
fu necessario pagare il prezzo al posto della fuga dei soldati francesi
che preferirebbero farsi rompere il culo piuttosto che combattere come
il sacrosanto dovere li obbliga. - Ma forse avevano pensato che non
fosse più loro dovere combattere, viste le condizioni in cui
il governo Daladier li aveva acconciati per il massacro.
Qualsiasi
cosa sia successa, un bel giorno Lei si è visto strappato
dal Suo domicilio non dalla forza della tempesta, del mistral, dei tornado,
della burrasca, di un temporale elettrico o dei venti, ma da quella
specie di forza senza nome, che non ebbe mai altro volto che quello,
meschino, degli indifferenti che La rappresentano e non marciano se
non perché sono stati comandati o salariati per farlo, e non
viene, questa forza, che dalla decisione unilaterale di un certo numero
di borseggiatori che rappresentano il governo, la polizia, l'amministrazione,
e nel Suo caso l'inadempienza dell'esercito.
-
Essere violentemente cacciati dal proprio Paese, per essere trapiantati
in un altro come si fa con una pianta per prevenirne una carie è
spaventoso, ed è spaventoso essere brutalmente, e dietro
un ordine, improvvisamente spaesati. (9)
Come un subacqueo che perdesse l'asse del paesaggio e nel paesaggio
un brandello del proprio corpo, come se improvvisamente vedesse il proprio
corpo passare come il cerchio di un caleidoscopio che ruota. È
un'immagine, una metafora, ma che traduce una mostruosa e insultante
realtà. Il fatto è che non siamo padroni dei nostri corpi.
- I nostri padre-madre ne disposero per la scuola, quando l'amministrazione
non ne dispone per i riformatori o gli istituti di rieducazione, e la
società per le prigioni e per i manicomi, poi la società
ne dispone per la visita di leva, i preti per il "viatico"
e l'estrema unzione del feretro; e la società ne dispone per
la guerra, mentre se ne resta nelle retrovie per trafficare al mercato
nero. (10) E il governo
di Vichy vende chissà quante volte per trenta denari chissà
quante migliaia di corpi di giovani, per servire da servi in un paese
straniero.
-
Ma l'aspetto orribile della faccenda, signor Pierre Bousquet, non è
per me nel trapianto, e non è neppure nel fatto di non
essere padroni di sé, è, piuttosto, nell'insolito potere
di questa cosa senza nome che in superficie, ma solo in superficie,
si chiama società, governo, polizia, amministrazione e contro
la quale non è servito a nulla, nella storia, neppure ricorrere
alla forza delle rivoluzioni. Perché le rivoluzioni sono scomparse,
ma la società, il governo, la polizia, l'amministrazione, le
scuole, voglio dire le trasmissioni e i contagi di credenze attraverso
i totem dell'insegnamento sono sempre rimasti in piedi.
E potremmo anche credere che non ci sia nulla da fare.
Il
giorno della Sua deportazione in Germania, nel mezzo di quella piccola
angoscia che coglie per il solo fatto di essere condotto non si sa dove,
e trasportato fuori di casa, Lei si è trovato inquadrato.
Passato, si potrebbe dire, di mano in mano, da parte di uomini che,
per quanto in quel momento toccava loro, rappresentavano quell'indefinibile
potere.
Che
la polizia venga a sedersi davanti a Lei in un caffè come è
stato fatto con me, o che gente pagata dal governo Le fissi un appuntamento
un certo giorno, se non un certo mattino, ad una certa ora, ed in un
certo posto, per portarla via con sé in Germania, è una
di queste obbligazioni immorali, una di queste costrizioni, di
questi tranquillanti oppressivi e coercitivi contro i quali non c'è
nulla da fare.
E
possiamo domandarci da dove viene tutto ciò?
Tutto,
in primo piano, passa per così dire alla buona e dapprima
non si viene picchiati. - Per quanto abietta sia la misura presa
contro di lui, colui che si sottomette fiaccamente e docilmente può
sperare per prima cosa in una specie di commutazione della pena
e che la pena, come un commutatore di elettricità ritorto sulle
tenebre dell'odio, cambi, proprio grazie alla sua disponibilità.
C'è anche da considerare che i violentati eludono lo spirito
dello stupro offrendosi con gli arti aperti alla brama dei violentatori.
E non c'è nella deportazione una violenza, un'entrata
per effrazione lenta (lenta all'inizio) di un'orda di corpi estranei
nel vostro, dapprima quelli della polizia traditrice i quali vi spediscono
all'estero, quelli di tutte le popolazioni del mercato nero che vi conducono
e vi respingono all'estero, e all'estero infine, in principio
i corpi degli uomini stranieri.
Mi
sono sempre domandato che cosa provoca nella storia la sottomissione
di noi individui a questa specie di coercizione disarmata, che cosa
fa in modo che, quando l'apparato sociale, amministrativo o poliziesco
si muove, non pensiamo per prima cosa a protestare. - Ci sono qua e
là delle rivolte, certamente, ma sempre il vecchio ordinamento
ritorna come se fosse sottinteso che la rivolta non ha altro fine
che quello di un riassestamento dell'ordine, mentre è l'ordinamento
stesso: la società che deve andarsene perché le persone
possano vivere in pace. La società ha contro di noi la forza,
beninteso, ma da dove le viene se non dalla nostra adesione alla forza
della società, e questo non è un fatto, è un'idea.
- È una semplice, falsa idea dei nostri corpi che da così
tanto tempo ci opprime, e che cosa aspettiamo a farla saltare? (11)
Lei
è stato dunque condotto con la forza in Germania. - Si è
trovato costretto ad entrare in un convoglio di giovani francesi deportati,
e il suo corpo che usciva di casa, andava nelle librerie, alle esposizioni
di pittura, nei teatri, nei cinema, nei caffè, che andava a pranzo
o a cena dagli amici, che andava per biblioteche o musei, che comprava
liberamente gli abiti che gli piacevano, si faceva tagliare i capelli
dal parrucchiere secondo il taglio che preferiva, e sceglieva la lozione
migliore (questa è l'aria della libertà), questo corpo,
dice, si è trovato vestito da macchinista, è stato messo
su un treno, e non c'erano più tagli o shampoo, né completi
ben ripassati, né camicie pulite ogni giorno (La capisco, poiché
la camicia che ho avuto per sei anni d'internamento è quella
che mi venne donata dalla signora Régis su ordine del dottor
Ferdière. Una camicia borghese con un collo e una cravatta, perché
il dottor Ferdière non voleva che fossi vestito come un internato).
Lei,
come camicia e come completo, non ha avuto più altro che un bombardamento
di braci, passando i giorni ad infornare carbone a palate nel
ventre di una meccanica che avrebbe preferito si facesse timbrare altrove.
E
alla sofferenza della deportazione si mescolava in Lei la sofferenza
dell'esilio.
C'è
nell'esilio un maleficio, quello di questo spirito estraneo che schiaccia
notte e giorno un uomo e gli domanda di trasudare la propria coscienza
nel suo senso. (12) - Mi
ha detto di non essere stato percosso. - Poiché non si percuotono
che i recalcitranti, non è il metodo o la maniera, voglio dire
il procedimento segreto, il comportamento profondo dell'oppressore dinanzi
all'oppresso che di questi rovina, per prima cosa, il corpo. Il conquistatore
non distrugge il vinto, non ha interesse a sbarazzarsi del vinto ma
a penetrarlo con un preciso veleno, fino al punto in cui il simile
si assimili in lui al simile, e il vinto non sia più là,
ma il suo corpo solo con la coscienza del solo vincitore; questa operazione
è ricorrente nel mondo, ma ciò che non si sa è
che essa è anche voluta e concertata ed è fatta, voglio
dire vissuta da un certo numero d'individui, che non hanno altro
compito se non quello di pensare alle individualità interessanti,
e fanno di tutto per trasmettere loro il virus della deportazione, dell'internamento,
dell'imprigionamento, della servitù, e quello della nazionalità.
(13)
Hitler
praticava in grande questa operazione. - A dire il vero, non si chiamava
neppure Hitler, perché Hitler non è un nome che in yugoslavo,
in moldo-valacco, in ceco si possa mettere sullo stesso piano di hip-hip-hurrà,
alleluja, osanna, de profundis, ma una parola, una specie di esclamazione
che si può mettere su quel piano quando il cognome non vi si
mette. (14)
Ho
dimenticato il suo cognome, ma lo ho incontrato a Berlino nel 1932 in
un caffè che avrebbe voluto essere ciò che era il Dôme
a Montparnasse ma che non ci riusciva affatto, e che si chiamava Romanisches
cafè. - Caffè degli zingari - poiché il sedicente
Hitler si faceva passare per un sedicente bohémien.
Ho
girato un film senza importanza intitolato Coup de feu à l'aube.
Ne avevo girato un altro l'anno precedente al cui ricordo, al contrario,
tengo molto e si chiamava: L'Opéra de quatre-sous, e in
cui avevo ricevuto la visita di un gendarme che mi fece paura, poi si
rivelò come un amico e mi disse di sputare sull'hitlerismo. Ma
l'autentico Hitler del Romanisches cafè, al contrario,
mi disse di voler imporre l'Hit-lerismo come si imporrebbe lo hip-hip-hurraismo,
e come si è voluta creare un giorno l'Eurasia (Europe-Asie).
Tutto
alla lira, etc. Gli dissi che era un po' toccato ad avere
idee del genere. E che d'altronde io lo conoscevo da tempo come un sedicente
iniziato, come un megalomane ammaliatore, uno dei tipi più perfetti
della razza di coloro che hanno la pretesa di condurre i popoli
non con azioni, ma unicamente con idee, voglio dire movimenti come magnetiche
d'ideazione, voglio dire onde psichiche, etc. (15)
Ne
seguì una spaventosa baruffa nel corso della quale il sedicente
Hitler fece chiamare la polizia per farmi arrestare. Ed essa venne e
nella ressa prese le mie difese contro questo ripugnante moldo-valacco
che in seguito si pose alla guida della Germania sotto il nome pretestuoso
di Hitler. - Poiché quell'Hitler, l'Hitler della storia,
era in realtà un moldo-valacco, ossia figlio di una razza di
vecchi impiccati ben noti per i propri tenebrosi traffici sul respiro
degli antichi defunti. - Hitler è morto ma la sua razza non ha
finito di nuocere e lo vede e lo invoca dovunque. (16)
Conoscete
la leggenda della mandragora, questa specie di semenza che cresce, si
dice, ai piedi dei cadaveri degli impiccati, e che sarebbe nata dall'eiaculazione
del loro sperma al momento dello strangolamento. (17)
Hitler in segreto pretendeva di discenderne. - Poiché non è
solo la Sua deportazione, signor Pierre Bousquet, che i moldo-valacchi
di Berlino avevano premeditato, ma molte altre. - E non hanno finito
con questa congiura, ma sono tornati in Moldo-Valacchia. - Poiché
tutto il mondo ha sofferto dell'hitlerismo tranne gli autentici hitleriani
i quali non si sono dichiarati vinti, ma servendosi di non so quale
stratagemma sono giunti a svignarsela dalla Germania e sono tornati
nel proprio paese.
A
causa dei loro maneggi e dei loro giochetti di prestigio una
deportazione più grave minaccia tutti, qualcosa come un transfert
di non so che cosa di noi stessi verso non si sa dove, quando noi, noi
non saremo più qui, e l'hitlerismo avrà preso dappertutto
il nostro posto, al posto di un'Europa e di un'Eurasia, in qualcosa
come un'Eurasia. (18) È
un mito ma ce ne sono altri. Poiché siamo circondati di Miti
che vogliono partorirsi addosso a noi, che cosa fare?
Costruire
un palcoscenico per danzare i miti che ci martirizzano e farne degli
esseri veri prima di imporre a tutti la mandragora seminale della semenza
delle idee. (19)
Amichevolmente
Suo
Antonin
Artaud
P.S.:
- Danzare è soffrire un mito, sostituirlo, quindi, con la realtà.
Note:
*) Le note
sono del curatore e, oltre ad esplicare i riferimenti contenuti nel
testo, suggeriscono talvolta anche possibili percorsi interpretativi
che rimandano al saggio introduttivo di Marco Dotti, Antonin
Artaud: l'altro e il suo doppio.
1)
Il titolo qui proposto trova la propria ragione in una successiva lettera
indirizzata da Artaud a Bousquet (lettera del 23 maggio 1946), vedi
A. Artaud, Œuvres complètes. Lettres écrites de Rodez
(1945-1946), vol. XI, a cura di P. Thévenin, Paris, Gallimard,
1974, p. 282: "je vous ai fait remettre ma "Lettre sur les
déportations" à vous adressée, par mon ami
le Dr. Jean Duqueker. - J'espère vous y avoir bien fait sentir
tout ce que je voulais vous dire".
2)
Città della Francia centro-meridionale, capoluogo del dipartimento
dell'Aveyron.
3)
Alla fine del 1937, Antonin Artaud è internato nella clinica
di Sotteville-lès-Rouen. Il 28 marzo 1938 viene trasferito al
Sainte-Anne di Parigi, e da qui, il 23 febbraio 1939, a Ville-Évrard
(sempre a Parigi). Dal giugno del '43, sotto le cure dello psichiatra
Gaston Ferdière, direttore del manicomio di Rodez (in cui Artaud
si trovava dall'11 febbraio 1943), viene sottoposto a più di
cinquanta sedute di elettroshockterapia. In base a questo trattamento,
messo a punto negli anni '30 dal neurologo italiano Ugo Cerletti (1877-1963),
nel paziente affetto da (presunti) disturbi da psicosi depressiva venivano
indotti (per mezzo di scariche elettriche trasmesse da elettrodi posti
alle tempie dei pazienti, ad una potenza di 300-600 milliampère
e 80-110 volt, e ad intervalli di 6-7 decimi di secondo) accessi epilettici
e convulsivi. Il primo esperimento sull'uomo fu condotto da Cerletti
nel 1938, vedi U. Cerletti, L'Elettroshock, "Rivista Sperimentale
di Frenatria", I (1940). Durante uno spasmo elettrico indotto dallo
shock, ricorda Paule Thévenin, Artaud si ruppe la nona vertebra
dorsale. Sul periodo di Rodez, cfr. S. Harel, Vies et morts d'Antonin
Artaud. Le séjour à Rodez, Longueuil, Le Préambule,
1990; J.-M. Rey, Le fonti di Artaud, "Il piccolo Hans",
n. 40 (dicembre 1983), pp. 89-112 e Id., La naissance de la poésie
- Antonin Artaud, Paris, Métailié, 1991.
4)
Artaud si è sempre considerato vittima di una fattura. "Non
sono il solo scrittore ad aver parlato di sortilegio", afferma
Artaud citando Là-bas di Huysmans. La fattura è
nella norma, ma il corpo di Artaud, il corpo senza legge, non vuole
essere posseduto: perché "il mio corpo è mio, non
voglio che se ne disponga. [...] Non voglio che lo prendano per metterlo
in cella, per mettergli la camicia di forza, per attaccargli i piedi
al letto, rinchiuderlo in un reparto di manicomio, proibirgli sempre
di uscire, avvelenarlo, pestarlo di santa ragione, privarlo di cibo,
addormentarlo con l'elettricità". Sono gli uomini dell'ordine,
quelli che, reclutati e assoldati dal potere, costringono gli uomini
nella rete di oscuri incantesimi. Sul punto, l'atteggiamento di Artaud
nei confronti del nazifascismo è stato spesso frainteso, anche
a causa di un'approssimativa considerazione proprio di questa lettera
(e di una correlativa sopravvalutazione di una celebre, ma poco determinante,
dedica a Hitler apposta da Artaud a Le nuove rivelazioni dell'essere),
cfr. N. Greene, "All the great myths are dark". Artaud
and fascism, in G. A. Plunka (a cura di), Artaud and the modern
theater, Rutherford, Fairleigh Dickinson UP, 1994 e G. Scarpetta,
Artaud fasciste?, in La Littérature française
sous l'occupation. Actes du colloque de Reims, 30 septembre-1er octobre
1981, Reims, Presses Universitaires de Reims, 1988. Sul rapporto
tra ratio e magia, tra capitale e incantesimo, rinvio a L. Parinetto,
Faust e Marx. Metafore alchemiche e critica dell'economia politica,
satira inconclusiva non scientifica, Roma, Antonio Pellicani editore,
1989.
5)
Vedi I. Cuevas, El desarrollo de la memoria en los niños preverbales,
"Anthropos", n. 189-190 (1999).
6)
Cittadina della Francia centrale, nel dipartimento dell'Allier. Dopo
l'armistizio siglato con le forze dell'Asse nel 1940, Vichy divenne
fino al 1944 la sede del governo collaborazionista retto dal generale
Henri-Philippe-Homer Pétain (1856-1951). Cfr. R. O. Paxton, Vichy
1940-1944: il regime del disonore, tr. it. di G. Bernardi ed E.
Mannucci, Milano, Il Saggiatore, 1999 e, per la politica antisemita
del regime, R. O. Paxton e M. Marrus, Vichy et les Juifs, Paris,
Calmann-Lévy, 1981.
7)
Édouard Daladier (1884-1970), uomo politico francese. Alla vigilia
della Seconda guerra mondiale, si occupò, da Ministro della Difesa
Nazionale, dell'organizzazione militare della Francia.
8)
Pierre Laval (1883-1945), avvocato e politico francese, era da sempre
in ottimi rapporti con Benito Mussolini. Fu vicepresidente del consiglio
nel "governo" di Pétain, organizzando l'incontro tra
questi e Hitler. Divenne, in seguito, capo del governo filonazista di
Vichy. Dopo la liberazione fu processato, condannato e fucilato. Di
lui si possono leggere le memorie dal carcere raccolte nel libro postumo
Laval parle. Cfr. G. Warner, Pierre Laval and the Eclipse
of France: 1831-1945, London, Macmillan, 1968.
9)
Cfr. C. Levi, Paura della libertà, Torino, Einaudi, 1975
(I ed. 1946), p. 36: "un gruppo, una classe, una nazione dovranno
forzatamente essere espulsi, essere considerati nemici, diventare stranieri
per poter essere testimoni del dio, e vittime. E gli stranieri, a loro
volta, saranno sacri e dovranno morire; e i guerrieri saranno sacerdoti,
a loro volta sacrificati. Senza la consapevolezza di questa oscura necessità,
che fa veri tutti gli dèi, volontarie tutte le servitù,
sacre tutte le vittime; che lega inscindibilmente il signore e il servo,
il re e il prigioniero, la bandiera e l'esilio, senza il senso della
limitazione religiosa che trascina il mondo nelle sue vie sanguinose
e adorate, la storia sarebbe incomprensibile". Scritto in Francia
nel 1939, e pubblicato solo nel 1946, il testo di Levi è un documento
lucido e straordinario sulle radici e gli effetti dell'idolatria delle
istituzioni.
10)
Il continuum repressivo tra istituzioni "naturali"
(ad esempio la famiglia) e istituzioni "politiche" è
sottolineato da F. Guattari, "La scuola", in Id., La rivoluzione
molecolare, tr. it. di B. Bellotto, A. Rogghi Pullberg e A. Salsano,
Torino, Einaudi, 1978, pp. 99 segg.). Ciò che si cerca, scrive
Guattari, è una sorta di "miniaturizzazione del fascismo",
una sua inserzione "leggera" nei dispositivi che "lavorano
alla produzione dei legami sociali". Oggi, "non si farà
più necessariamente uso del manganello o dei campi di sterminio:
si cercherà piuttosto di controllare i singoli con legami quasi
invisibili che li assoggetteranno tanto meglio al modo di produzione
capitalistico (o socialista-burocratico) in quanto l'investiranno a
livello inconscio".
11)
È questo lo stadio del rischio diffuso, dove la concentrazione
del comando su tutta la produzione riconduce la società allo
stadio del dominio immediato. Vedi anche la posizione di M. Horkheimer
e Th. W. Adorno, Dialettica dell'illuminismo (1944), tr. it.
di S. Solmi, Torino, Einaudi, 1997.
12)
Sulla figura dell'esilio, vedi G. Agamben, Politica dell'esilio,
"DeriveApprodi", XVI (1999), pp. 25-27.
13)
Sul biopotere come cifra della modernità, cfr. M. Foucault,
La volontà di sapere, tr. it. di P. Pasquino e G. Procacci,
Milano, Feltrinelli, 1978, cap. V.
14)
Sull'ingresso in scena della marionetta-Hitler, cfr. C. Pasi, "Lo
specchio della crudeltà: Antonin Artaud", in Id., La
comunicazione crudele. Da Baudelaire a Beckett, Torino, Bollati-Boringhieri,
1999, p. 166. Come burattino è invece rappresentato l'Hitler
del film di Hans-Jürgen Syberberg Hitler, un film sulla Germania
(Hitler, ein Film aus Deutschland, 1977). Vedi P. P. Pasolini,
La Divina mimesis, Torino, Einaudi, 1993 (I ed. 1975), p. 38: "l'Inferno
che mi sono messo in testa di descrivere è stato semplicemente
già descritto da Hitler. È attraverso la sua politica
che l'Irrealtà si è veramente mostrata in tutta la sua
luce. È da essa che i borghesi hanno tratto vero scandalo, o,
mi vergogno a dirlo, hanno vissuto la vera contraddizione della loro
vita. Hitler è stato frutto dei loro figli poeti, che hanno fatto
un sogno molto più vero, più grande e più terribile
di quello che fossero in grado di fare". Così scrive Jesi
- a commento del progetto di un proprio studio - a Kerényi: "se
analizzo il più freddamente possibile la mia posizione vi ritrovo
una specie di fatalismo [...]. È giusto che Hitler e i suoi complici
siano stati puniti: altrimenti la vita non avrebbe potuto sopravvivere.
Ma credo di riconoscere nell'opera di Hitler qualcosa che trascende
le responsabilità umane; credo insomma che il vero colpevole
degli orrori del nazismo non sia l'uomo-Hitler, ma una forza temibile
quanto gli Angeli di Rilke che si è servita di quell'uomo, invadendo
la sua volontà" (Jesi a Kerényi, 16 maggio 1965).
"Hitler - gli risponde più concretamente il mitologo ungherese
- fu un delinquente e uno psicopatico e lo furono anche i suoi complici.
[...] Per costoro anche il mito falso era buono per ingannare consapevolmente
il mondo" (Kerényi a Jesi, 25 maggio 1965). Jesi, però,
con lo sguardo insolente dell'allievo che ha appreso troppo bene, ma
anche troppo in fretta, seppe cogliere ciò che il maestro non
sapeva o si illudeva di non poter cogliere: il volto tragico dell'irrazionalità
politica, la dinamica irresponsabile che trasforma il mezzo in un fine
asservito agli scribacchini ed ai burocrati devoti al Leviatano.
15)
Sul retroterra esoterico del nazismo, vedi G. L.
Mosse, L'uomo e le masse nelle ideologie nazionaliste, tr. it.
di P. Negri, Roma-Bari, Laterza, 1988, cap. VIII, "Le origini mistiche
del nazionalsocialismo". Lex animata, il Führer ordina
sotto di sé - richiamandosi a persistenze dell'antico diritto
germanico nel rapporto con il "sacro" - l'intero ordinamento
giuridico nazionalsocialista (Führerprinzip) e l'intera
vita pubblica (Führergedanke) dei sottoposti. In questo
senso, come sottolineava Carl Schmitt, "la forza dello Stato nazionalsocialista
consiste nell'essere dominato e penetrato, da cima a fondo, e in ogni
suo atomo, dall'idea del Führertum", C. Schmitt, La categoria
del Führer come concetto fondamentale del diritto nazionalsocialista,
"Lo Stato", IV (1933). In questo senso, il Führer "forma
con i suoi seguaci una Comunità", composta non di "sudditi",
nel senso classico attribuibile al termine nel rapporto dittatore-sottoposti,
ma di seguaci (un seguito, Gefolgschaft) fondando il legame su
un rapporto di fiducia, vedi C. Schmitt, "I caratteri essenziali
dello Stato nazionalsocialista", in O. Ranelletti (a cura di),
Gli Stati europei a partito politico unico, Milano, Panorama
Casa Editrice Italiana, 1936. Sulla forza magnetica del capo e sul contagio
di potere all'interno delle masse fasciste, cfr. Theodor W. Adorno,
La mentalità fascista, tr. it. di M. Lattes, "Questioni",
VI (1957) e L. Parinetto, Marx diversoperverso, Milano, Unicopli,
1996, p. 210.
16)
Cfr. F. Guattari, "La fine dei feticismi", in Id., La rivoluzione
molecolare, cit., p. 19: "il ruolo di Hitler in quanto individuo
portatore di un certo tipo di competenza, è certo stato trascurabile,
ma in quanto ha prodotto la cristallizzazione di una nuova figura di
macchina totalitaria, è stato e resta fondamentale. Hitler è
ancora vivo: si aggira nei sogni, nei deliri, nei film, nei comportamenti
della polizia che tortura, fra le bande di giovani che venerano la sua
effigie".
17)
Secondo la leggenda, la mandragora (in tedesco: Hexenkraut) crescerebbe
ai piedi delle forche, dal seme degli innocenti ingiustamente impiccati.
In tedesco, il nome usato per indicare la radice della mandragora è
Galgenmannlein (letteralmente piccolo uomo della forca). Sul
mito a cui fa riferimento Artaud, diffuso nell'Europa centro-settentrionale,
vedi M. Izzi, La radice dell'uomo. Storia e mito della mandragora,
Roma, Ianua, 1987 e G. Samorini, Gli allucinogeni nel mito, Torino,
Nautilus, 1995, pp. 56-61. Secondo quanto risulta a Mircea Eliade, i
rumeni non conoscerebbero il mito della nascita della mandragora (in
rumeno: matraguna) dal seme dell'impiccato, vedi M. Eliade, "Il
culto della mandragora in Romania", in Id., Da Zalmoxis a Gengis-Khan,
tr. it. di A. Sobrero, Roma, Ubaldini, 1975, p. 197 (cfr. De
Zalmoxis à Gengis-Khan, Paris, Payot, 1970). Al mito fa,
invece, riferimento Georges Brassens, nella canzone Le moyenâgeux:
"A la fin, les anges du guet / m'auraient conduit sur le gibet.
/ Je serais mort, jambes en l'air, / sur la veuve patibulaire, / en
arrosant la mandragore, / l'herbe aux pendus qui revigore, / en bénissant
avec les pieds / les ribaudes apitoyés".
18)
Su quest'idea, cfr. lo scritto paranazista di A. Dughin, "L'inconscio
dell'Eurasia (Podsazdanie Evrasii), in Id., Continente Russia,
tr. it. di D. Valdorio, Parma, All'insegna del Veltro, 1991.
19)
C. Pasi, "Lo specchio della crudeltà: Antonin Artaud",
cit., p. 167: "I miti che hanno insanguinato la storia dovranno
incarnarsi nei corpi vivi degli attori per esporre la verità
da sempre occultata. [...] Le idee si fanno corpo di teatro per scorrere
come un sapere che ci liberi. Da lì, dalla riconquista di un
sapere corporeo strappato all'asservimento dei cervelli, con un guizzo,
una danza, forse si potrà ricominciare". Cfr. C. Dumoulié,
Antonin Artaud, tr. it. di M. Guareschi, Genova-Milano, Costa
& Nolan, 1998, p. 117. Potrebbe essere utile, in proposito, recuperare
il modello della macchina mitologica - modello proposto e utilizzato
in più luoghi da Furio Jesi - intesa come "congegno che
produce epifanie di miti" e che al suo interno "potrebbe contenere
il mito stesso", ma potrebbe, ecco il punto, anche "essere
vuota". Cfr. F. Jesi, Mito, Milano, ISEDI, 1973.