sotto giudizio
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La “Grande logica”. Il giudizio in Alain Badiou


di Jean-Claude Lévêque


Il tema del giudizio occupa un posto non secondario nell’elaborazione della filosofia di A. Badiou: per Badiou, soprattutto nell’ultimo grande saggio pubblicato nel 2006, Logique des mondes, la questione del giudizio deve essere affrontata dal punto di vista di una possibile fondazione topologica dell’apparire delle “verità”, il che implica, secondo quanto afferma lo stesso filosofo francese, una severa critica del trascendentalismo kantiano e dell’affermazione della finitezza costitutiva dell’uomo.

Parte del saggio sarà dedicata ad un’analisi dell’ultima grande opera di Badiou per mostrare il senso della sua dialettica materialista come critica dell’impianto kantiano.

Al di là di alcune analogie individuate dallo stesso Badiou, l’impianto della filosofia dell’evento risulta alla fine molto distante da quello di Kant.

La novità della teoria del giudizio di Badiou, e della sua concezione della Logica, sta proprio nella ripresa delle complesse tematiche sviluppate nella Logica di Hegel alla luce dei risultati della topologia matematica e di un’originale interpretazione della logica modale che non sviluppa un’analisi semantica ma una logica dei modi dell’apparire preliminare ad una logica dell’evento volta a dare conto delle discontinuità che possono cambiare l’ordine del mondo.


1. In-finità contro finitezza: perché Badiou è un anti-kantiano

Fin dalle prime pagine di Logique des mondes lo scopo di Badiou appare chiarissimo: opporsi al materialismo democratico e al capital-parlamentarismo che ne è l’espressione politica ponendo le condizioni per l’affermarsi – sempre in senso materialistico – di una verità. La prima finalità di Badiou è quella di

stabilire che il modo di apparire delle verità è singolare e struttura delle apparizioni successive, la cui complessità non è nemmeno avvicinata nel trattamento puramente ontologico de L’Essere e l’evento[1.

E ancora

L’universalità delle verità si sostiene attraverso forme soggettive che non possono essere né individuali, né comunitarie.

O

Per quanto appartenga a una verità, un soggetto si sottrae a ogni tipo di comunità e distrugge ogni individuazione[2.

Se tutto questo è vero, allora siamo ben lontani dal materialismo democratico e dal suo culto dell’individuale e della finitezza.

Per Badiou, l’esistenza delle eccezioni al “vi è” semplice dei corpi e dei linguaggi ha la forma di un’“evidenza primaria”: ovvero, per dirlo in altri termini, è proprio l’eccezione “evenemenziale” che permette il manifestarsi delle verità – il che contraddice la “rinuncia all’eternità” propria delle democrazie attuali e della filosofia che le sostiene.

Prima di entrare più direttamente nell’analisi delle procedure fondazionali usate da Badiou, occorre fare un’ulteriore precisazione: la critica di Badiou a Kant passa, in primo luogo, per l’affermazione di un trascendentale a-soggettivo, associato a una logica formale di tipo matematico, già annunciata in L’Essere e l’evento, ove lo sviluppo teorico portava alla affermazione di una coincidenza tra ontologia e matematica.

Veniamo ora alla definizione della logica in Badiou: per il filosofo francese,

La prima sezione è una lunga dimostrazione. Si tratta di obbligare il pensiero ad ammettere che ogni situazione d’essere – ogni “mondo” –, lungi dal ridursi ad un multiplo puro (che ne è tuttavia l’essere in quanto tale), contiene un’organizzazione trascendentale.

Il senso di quest’espressione deriverà dalla dimostrazione stessa: si tratta certo, come per Kant, di risolvere un problema di possibilità. Non tuttavia per comprendere “come la scienza sia possibile” o “come i giudizi sintetici a priori sono possibili” ma: com’è possibile che la neutralità, l’inconsistenza, la disseminazione indifferente dell’essere in quanto essere possa consistere in quanto essere-là? O ancora: come lo slegamento essenziale dell’essere-multiplo può darsi come legame locale e, infine, come stabilità dei mondi? Perché, e come, vi sono dei mondi piuttosto che il caos?[3


Il punto allora è: come fondare la consistenza di più mondi senza piegarsi alle presupposizioni di un “trascendentalismo soggettivo” di matrice kantiana.

Il trascendentale di Badiou precede ogni costruzione soggettiva, poiché è «un dato immanente di ogni costruzione in generale».

Badiou precisa:

Il trascendentale di cui si tratta in questo libro è di molto anteriore ad ogni tipo di costituzione soggettiva, poiché si tratta di un dato immanente di situazioni qualsiasi. È, come vedremo, ciò che impone ad ogni molteplicità situata la costrizione di una logica, che è insieme la legge del suo apparire, o la regola attraverso cui il “là” dell’ “essere-là” fa avvenire il multiplo come essenzialmente legato. Che ogni mondo possegga un’organizzazione trascendentale singolare deriva da questo, che il pensiero dell’essere non potendo, da solo, rendere ragione della sua manifestazione, bisogna che l’intelligibilità di questa manifestazione sia resa possibile da operazioni immanenti[4.


Se questo è vero, allora, mantenuta ferma l’esigenza di uno sfondo trascendentale, ne va rivista completamente la fondazione: qui si tratta, diversamente da Kant, di presentare «la descrizione degli operatori capaci di dare coerenza all’apparire “in” questo o quel mondo dove si manifestano i multipli».

Il mondo è qui una metafora per la “localizzazione dei multipli”; l’intento di Badiou è quello di fondare l’apparizione a partire da una concezione materialistica del mondo, formalizzabile in una logica matematica, come abbiamo visto prima. Quando in Logique des mondes, si parla di “fenomenologia”, la si intende, in generale, in termini hegeliani – con riferimento alla Logik –, ma sottoponendone a critica l’impianto idealista.

Torniamo per un momento alla critica di Kant. Secondo Badiou:

In ogni teoria trascendentale dell’essere-là, la questione della negazione è di una grande complessità: ne testimonia, in particolare, il passaggio molto denso che Kant dedica alla concettualizzazione del “nulla” nella Critica della ragion pura, alla fine dell’“Analitica trascendentale”. Kant pretende che la questione non abbia di per se stessa “un’importanza straordinaria”.

E di fatto, tre pagine gli bastano, e sono quelle che conducono senza indugi alla Dialettica, dopo una formula assolutamente impenetrabile: “La negazione, così come la semplice forma dell’intuizione, senza un reale, non sono degli oggetti”. Ciò che lascia capire perfettamente che l’apparire, o la fenomenalità, in cui tutto si presenta all’intuizione sotto forma di oggetto, ignora la negazione. Ma la questione è in realtà molto più complessa. Kant non ha troppe difficoltà ad identificare la negazione dalle parti del concetto: vi è il “concetto vuoto senza oggetto”, ovvero quello, coerente per il pensiero, non si rapporta tuttavia ad alcun oggetto che possa essere intuito. Per esempio, la nozione kantiana di noumeno. E vi è il concetto che si contraddice in se stesso, come il cerchio quadrato, che rende ogni oggetto impossibile. In questi due casi, il concetto guarda verso l’assenza di oggetti: non appare nulla, non vi è nulla. O – nel caso della parola « noumeno» – non vi è nulla se non l’essere senza essere-là, vi è dell’essere fuori dal mondo[5.


Ma Kant non si limita a questo secondo Badiou: egli vorrebbe estendere la questione del negativo all’intuizione.

Per Badiou, questa via è ricca di aporie: le dimostrazioni kantiane mancano di riferimenti concreti soddisfacenti – l’ombra, il freddo, come esempi di privazione di essere. Per questo, agli esempi di Kant, il filosofo francese contrappone la sua fondazione di un trascendentale non-soggettivo: in primo luogo, si tratta di far emergere la difficoltà di far apparire la negazione.

La linea che seguiremo consiste nel mettere in primo piano nell’apparire la possibilità logica della negazione, senza per questo affermare che la negazione appaia come tale. In effetti, il concetto appropriato a ciò che appare non sarà, in un mondo dato, la sua negazione, ma quello che noi chiameremo il suo inverso.

Le tre proprietà fondamentali dell’inverso saranno le seguenti:

  1. L’inverso di un essente-là o, precisamente, della misura dell’apparire di un multiplo in un mondo) è in generale un essente-là nello stesso mondo (un’altra misura di intensità d’apparizione in questo mondo).

  2. L’inverso ha questo in comune con la negazione, che si può dire che un essente-là e il suo inverso non hanno, nel mondo, nulla in comune ( la congiunzione dei loro gradi di intensità è nulla).

  3. In generale, l’inverso non ha comunque tutte le proprietà della negazione classica. In particolare, l’inverso dell’inverso di un grado di apparizione non è necessariamente identico a questo grado[6.

Come è possibile comprendere dal testo, qui Badiou cerca di rileggere la negazione hegeliana a partire da una logica formale dell’apparizione, non rinunciando al movimento dialettico ma formalizzandolo.

Posto questo, nella prima sezione della “Grande logica” si tratta di dare una fondazione al concetto di trascendentale.

Seguire il procedimento di Badiou servirà per rimarcare le differenze tra la sua teoria del trascendentale e quella di Kant, anche se in modo un po’ sommario, rispetto a ciò che il tema richiederebbe.

Legato al problema del trascendentale, vi è quello del molteplice: come afferma Badiou,

Se vi è un essere del Tutto, o se (è lo stesso) il concetto di Universo è consistente, allora bisogna ammettere che è consistente attribuire a certi multipli la proprietà della riflessività, poiché almeno uno la possiede, e in particolare il Tutto (che è)[7.

Secondo una dimostrazione che per il momento omettiamo, il Tutto non ha essere; il senso della proposta di Badiou è comunque il seguente: l’infinito, dopo Cantor, può essere locale – e non globale, come nello spazio newtoniano. In questa prospettiva, il mondo è «un sito locale di identificazione degli essenti». Un essente è quindi pensabile «se risulta da un altro essente il cui essere è assicurato e se vi è almeno un’operazione del pensiero che consente di passare dal primo al secondo essente».

L’operazione è localizzata da un mondo. Da ciò deriva che la situazione di un essente è

(…) il mondo in cui si inscrive una procedura locale d’accesso alla sua identità a partire da altri essenti[8.


A questo punto comincia a porsi il problema della definizione di un trascendentale non-soggettivo e quindi non kantiano.

Ritorniamo al testo di Badiou e alla sua definizione dell’apparire:

Chiameremo “apparire” ciò che, di un multiplo matematico, è preso in un fascio relazionale situato (un mondo), in modo che questo multiplo venga ad essere-là, o raggiunga lo statuto di essere-dato in un mondo. È allora possibile dire che questo essente è più o meno differente da un altro essente che appartiene allo stesso mondo. Chiamiamo “trascendentale” l’insieme operatorio che permette di dare senso al “più o meno” delle identità e delle differenze, in un mondo determinato[9.

Badiou considera la logica dell’apparire un’algebra trascendentale per la valutazione delle identità e delle differenze che costituiscono l’essere mondano dell’essere-là di un essente.

L’apparire non è caotico e quindi deve esserci una sua logica: la logica dei gradi dell’apparire. Occorre precisare che non si tratta dell’apparire di “fenomeni”, ma di oggetti che hanno una loro consistenza “reale”, “materiale”.

Notiamo che il trascendentale di Badiou esprime sì, come per Kant, una questione di possibilità, ma ne va qui solo di disposizioni locali e non universali: ne consegue che non si può individuare un “centro” dell’organizzazione trascendentale come il soggetto – o una “soggettività”.

Il primo esempio di tentativo di fondazione del trascendentale può essere rintracciato nel Sofista di Platone: pensiamo allo stesso come supporto dell’identificazione degli essenti: la configurazione trascendentale platonica è costituita «dalla terna dell’essere, dello stesso e dell’altro e della differenza in qualsiasi configurazione del pensiero».

Ma la posizione platonica, così come quella kantiana, appaiono a Badiou insufficienti; si tratta allora di cercare di pensare ciò che non appare in un mondo dato. Come si sarà compreso, si tratta di un problema “topologico”, inteso ovviamente nel senso di una “topologia matematica” abbastanza lontana da Heidegger.

Ancora un punto decisivo: ciò che garantisce la stabilità regionale di un mondo è la guaina (enveloppe):

La stabilità regionale di un mondo dipende da questo: dato un frammento qualsiasi di un mondo dato, gli essenti che sono là in questo frammento, hanno, ciascuno per suo conto, e tra di loro, dei gradi differenziali di apparizione indicizzati sull’ordine trascendentale di questo mondo. Che nulla di ciò che appare in questo frammento, comprese le disgiunzioni (congiunzioni a valore nullo) possa rompere l’unità del mondo significa che la logica del mondo assicura che esista un valore sintetico che sussume tutti i gradi di apparizione degli essenti che co-appaiono in questo frammento.

Chiamiamo “guaina” di una parte del mondo l’essente che ha per valore differenziale d’apparizione il valore sintetico appropriato per questa parte[10.

La guaina rappresenta un grado superiore o uguale a tutti quelli della collezione di essenti nel frammento di mondo considerato.

In questa parte della Grande Logica Badiou si confronta, a proposito del rapporto tutto-parti anche con la Logica di Hegel: la grande differenza sta nelle soluzioni adottate dai due filosofi per risolvere il problema della negazione dell’essente-situato (étant-là).

È da notare che a questo punto il filosofo francese chiarisce il suo debito, già contratto in Théorie du sujet (1982) con la Logica hegeliana e con i complessi problemi posti dalla “Logica dell’Essenza”.

Per Hegel, il fenomeno è “l’essenza nella sua esistenza”, ovvero – nel nostro linguaggio – l’essente-determinato nel suo essere (una molteplicità pura) per quanto è là, in un mondo. La negazione del fenomeno così concepito sarà dunque una negazione essenziale dell’esistenza. È facile vedere che Hegel farà “lavorare”, nel fenomeno, il fatto che l’essenza gli è interna, e insieme estranea ( poiché il fenomeno è l’essenza, ma soltanto nella misura in cui esiste). Vedremo dunque il lato inessenziale della fenomenalità (l’esistenza come diversità esteriore pura) entrare in contraddizione con l’essenza di cui il fenomeno è l’esistenza, l’unità immanente di questa diversità. Così la negazione del fenomeno sarà il suo sussistere-uno nella diversità esistenziale. È ciò che Hegel chiama la legge del fenomeno[11.

La soluzione del problema adottata da Badiou è questa: «la negazione fenomenica del fenomeno è che ogni fenomeno ha una legge».

Si tratta di una soluzione assiomatica: che un essente sia l’inverso di un altro dipende dalla logica singolare del mondo a cui appartengono.

Vediamo brevemente alcuni punti della soluzione di Badiou, prima di tornare alla sua critica del trascendentale kantiano.

a) Funzione dell’apparire e definizione formale del trascendentale

Ciò che Badiou intende evitare qui è proprio la relazione delle parti con un tutto che abbia un valore “assoluto” così come si configura nella Logica hegeliana; procede così: l’assioma d’estensionalità dichiara che due essenti-multipli sono uguali se e solo se hanno esattamente la stessa composizione multipla, ovvero gli stessi elementi.

Ne consegue che se due essenti sono nell’insieme differenti, ve ne sarà almeno uno che non sia elemento dell’altro. Tale teoria ontologica della differenza circola univocamente tra il locale e il globale: ogni differenza assoluta in un punto implica la differenza assoluta dei due essenti.

Ma nel caso dell’apparire non accade lo stesso: come avverte Badiou,

È chiaro che, in situazione, i multipli possono differire più o meno, assomigliarsi, essere-vicini, ecc. Bisogna dunque ammettere che ciò che regge l’apparire non è la composizione ontologica di un essente particolare (un multiplo), ma le valutazioni relazionali fissate dalla situazione e che lo localizzano in essa. Queste valutazioni non identificano sempre, come lo fa la legislazione del multiplo puro, la differenza locale e la differenza globale. Esse non sono ontologiche. Ecco perché si chiamerà “logica” l’insieme delle leggi della rete relazionale che fissano l’apparire mondano dell’essere-multiplo. Ogni mondo possiede una logica propria, che è la legislazione dell’apparire, o del “là” dell’essere-là[12.

È chiaro che all’interno di questa logica dell’apparire dovranno essere fissati dei gradi dell’apparire stesso nonché un ordine che regoli questo stesso apparire degli essenti.

Salteremo qui le lunghe e complesse argomentazioni di Badiou per passare, come avevamo anticipato, alla sua critica fondamentale del metodo kantiano.

Prima però occorre una breve, ulteriore messa a punto della logica di Badiou: il senso generale della sua nuova “logica dell’oggetto”.

Egli chiama funzione dell’apparire ciò che dà misura all’identità di apparizione di due essenti in un mondo. A ogni coppia di essenti che appartengono a un mondo dato è attribuito un grado trascendentale che misura, nell’apparire, l’identità dei due essenti. Essa è definita “indicizzazione trascendentale”. È necessaria un’ulteriore precisazione: nel linguaggio di Badiou, si chiama fenomeno di un essente «il sistema completo di valutazione trascendentale della sua identità nei confronti di tutti gli essenti che co-appaiono in questo mondo».

Lo scopo è quello di evitare sia la connotazione “soggettiva” del trascendentale kantiano, sia l’aspetto “totalizzante” della Logica hegeliana.

Se abbiamo chiamato “fenomeno di un essere-multiplo”, relativamente al mondo in cui appare, il dato dei gradi di identità che misurano il suo rapporto di apparizione rispetto a tutti gli altri essenti dello stesso mondo, occorre ora definire l’esistenza, in un senso che permetta un allontanamento dal soggettivismo trascendentale.

Per Badiou,

Dato un mondo e una funzione dell’apparire che ha i suoi valori nel trascendentale di questo mondo, chiameremo “esistenza” di un essente ‘x’ che appare in questo mondo il grado trascendentale assegnato all’identità di ‘x’ con se stesso. Così definita, l’esistenza non è una categoria dell’essere (della matematica) ma una categoria dell’apparire (della logica). In particolare, “esistere” non ha alcun senso in sé[13.

L’assegnazione a un elemento (oggetto, persona) di un grado trascendentale può essere visto come la sua “esistenza”. Se l’esistenza di un tale elemento ‘x’ ha, nel trascendentale, il valore massimo, vuol dire che esiste assolutamente nel mondo considerato.

b) In-esistenza

Se invece essa vi ha un valore minimo, allora x in-esiste assolutamente nel mondo considerato: Badiou presenta in questo caso l’esempio degli operai Renault dello stabilimento di Flins non presenti a una determinata manifestazione considerata dall’autore. L’essenziale a questo è ciò che segue:

kantiano-là, la sua forma multipla pura è pensabile (matematicamente) come un’invariante ontologica, l’esistenza di questo essente è invece un dato trascendentale, relativo alle leggi dell’apparire in un mondo determinato.

L’esistenza è un concetto logico e non, come l’essere, ontologico. Che l’esistenza sussuma (grazie al suo grado trascendentale) la differenza, non fa, dell’esistenza, l’Uno dell’apparire. Se essa non è una forma dell’essere, l’esistenza non è nemmeno la forma-unica dell’apparire. Puramente fenomenica, l’esistenza precede l’oggetto e non lo costituisce (…)[14.

Badiou, nelle pagine che seguono questa trattazione dell’esistenza, cerca di definire il punto di retroazione dell’apparire sull’essere, ma tralasceremo questo punto particolarmente delicato della sua speculazione, passando al nodo centrale della sua polemica con Kant.

Proprio in questa ulteriore critica a Kant può essere individuato uno dei punti nodali della  riforma della logica  proposta da Badiou. Il giudizio è qui sempre  “giudizio di esistenza”, nel senso che pone effettivamente attraverso le formalizzazioni della logica modale l’intensità dell’esistere di uno o più oggetti in un mondo dato. Così Badiou pensa di andare oltre la “svolta linguistica” della filosofia e tornare a porre il problema cruciale del rapporto tra stato di cose e mutamento.


2. Badiou contra Kant: verso una logica dell’evento

Vediamo ora perché Badiou critica aspramente il concetto di trascendentale in Kant.

In primo luogo, il filosofo francese critica il fatto che l’oggetto, in Kant, sia il risultato dell’operazione sintetica della coscienza: in Badiou, invece,

l’oggetto è l’apparire di un essente-multiplo in un mondo determinato, e il suo concetto (indicizzazione trascendentale, atomi reali…) non implica alcun soggetto. Tuttavia, la questione è molto più complessa. Perché? Perché la nozione di oggetto cristallizza le ambiguità dell’impresa di Kant. In una parola, essa è il punto d’indecidibilità tra l’empirico e il trascendentale, tra la ricettività e la spontaneità, tra l’oggettivo e il soggettivo. Ora, nella mia propria impresa, la parola “oggetto” designa anche un punto di congiunzione, o di reversibilità, tra l’ontologico (appartenenza a un multiplo) e la logica (indicizzazione trascendentale), tra l’invarianza di un multiplo e le variazioni della sua esposizione mondana.

In più, nei due casi, questa reversibilità – o questo contatto tra due modi di esistenza del “c’è” – avviene sotto il segno dell’Uno[15.

Vi è dunque una qualche vicinanza tra Kant e Badiou nel tentativo di dare una definizione trascendentale dell’oggetto, nel cercare di mostrare la reciprocità tra l’apparire e la logica.

Ma vi è anche una profonda differenza nell’intendere il trascendentale: essa emerge in particolare là dove si tratta di definire logicamente l’oggetto che è “là” nel mondo dato.

per Kant, il concetto di oggetto è subordinato a un’apprensione del trascendentale come ciò che regge delle variazioni ordinate. Ecco perché, del resto, l’intelletto puro, regolatore, in termini di capacità soggettiva, delle operazioni trascendentali, sarà da lui chiamato la facoltà delle regole, mentre da me il trascendentale è la regolazione formale delle identità, a partire da un certo numero di operazioni come la congiunzione o la guaina[16.

Ribadiamo quanto detto prima: la differenza tra il trascendentale kantiano e quello di Badiou sta proprio nel fatto che per il filosofo francese tale concetto si riferisce ad una dimensione non-soggettiva del rapporto col mondo. Per Badiou, l’esistenza non è altro che «il grado di identità a se stesso di un essente-multiplo, fissato da un’indicizzazione trascendentale».

La legge del trascendentale e gli assiomi del trascendentale sono necessari perché l’essere avvenga in quanto essere-là. Ciò che Badiou elimina è dunque la dimensione idealistica della rappresentazione: se il trascendentale è «la capacità costitutiva di ogni mondo di attribuire a ciò che sta lì, nel mondo, delle intensità variabili di identità», allora non vi è alcuna necessità di immaginare un “Io penso” come condizione trascendentale per i nostri giudizi.

Secondo lo stesso Badiou,

L’espressione funzione del pensiero è interessante. Contrariamente a Kant, affermo infatti che una tale funzione è un oggetto per il pensiero, nel senso in cui non è per delle facoltà differenti (ad esempio l’intelletto e la sensibilità) che ci sono dati le funzioni e i valori o argomenti delle funzioni, ma dall’unica capacità generale del pensiero[17.

Avvicinandoci alla fine di questo percorso all’interno della prima parte di Logique du sens, possiamo giungere a due conclusioni fondamentali:

a) La posizione di Badiou, assimilabile a un platonismo critico, comporta l’affermazione della necessità di una giustificazione dell’apparire dal punto di vista di ciò che lo differenzia. In questo senso, da un punto di vista materialista, ciò che appare sono essenzialmente corpi, esseri-multipli, i quali, sotto la condizione di un evento – e qui accenniamo alla seconda parte del saggio – fungono da supporti per un formalismo soggettivo.

b) La critica a Kant riguarda soprattutto l’affermazione di un dualismo irriducibile tra fenomeno e noumeno e l’interpretazione soggettivistica del trascendentale: da ciò deriva anche la critica del giudizio secondo Kant e, più in generale, della sua logica, incapace, secondo Badiou, di dare conto dell’essere-là degli essenti.

Introduciamo ora, per concludere, il problema della “Logica atomica”.

Secondo Badiou,

L’esposizione formale di concetti come “la funzione dell’apparire” (o “indicizzazione trascendentale”) “fenomeno”, “atomo dell’apparire”, ecc., ha il merito di chiarire la coerenza delle leggi logiche dell’essere-là.

Si ha la sensazione di procedere secondo una linea che impone alla logica generale (quella del rapporto tra le molteplicità e un ordine trascendentale) delle restrizioni materialiste pertinenti (come quella che impone che ogni atomo sia reale). In seguito si “risale” dall’apparire all’essere, studiando come la composizione atomica di un oggetto riguardi l’essere-multiplo sottoposto a quest’oggetto. Questo procedimento raggiunge il suo culmine quando si dimostra che ogni parte (reale, ontologica) di un multiplo A possiede, a certe condizioni, una sola guaina (enveloppe). Ciò significa, in senso contrario rispetto alle conclusioni di Kant, che l’apparire autorizza delle sintesi reali. Il fatto che qualsiasi multiplo debba apparire nella singolarità di un mondo non rende affatto impossibile una scienza dell’essere-là[18.

Il fenomeno è quindi la coppia formata da una parte e dall’altra da un insieme di gradi trascendentali.

Quindi, il giudizio di esistenza in un mondo dato m può riguardare sia un’esistenza massima, secondo la formula Id (x,x)=M, oppure minima e allora Id (x,x)=μ, dove μ indica il “minimo” grado di esistenza. Questo è il nodo centrale di questa sezione della Grande logica, perché riguarda la fissazione, attraverso un giudizio formalizzato di esistenza, del grado minimo e del grado massimo ad essa relativi.

A questo punto dovrebbe essere chiaro il senso della critica di Badiou a Kant e, insieme, quello della sua costruzione di una “Grande logica”: nel primo caso si tratta di considerare il trascendentale come “struttura d’ordine” per un mondo dato e quindi liberarlo da ogni possibile considerazione di tipo psicologico o soggettivistico, anche velata; nel secondo caso, di costruire un “passaggio” tra l’ontologia matematica e la logica dell’evento che viene sviluppata nella seconda parte del saggio .

Resta un ultimo punto cui accennare: il senso del “funtore trascendentale”.

Secondo Badiou,

Il funtore trascendentale non è esattamente una funzione, poiché non associa a diversi gradi trascendentali degli elementi dell’oggetto, ma dei sotto-insiemi (…).

Per portare a termine l’analisi esistenziale di un oggetto, vorremmo in primo luogo trovare una procedura che associ a un grado trascendentale un elemento rappresentativo della sua classe di esistenza. Così, a un grado quasi massimo, corrisponderebbe un postino che manifesta esplicitamente, mentre a un grado molto basso quello che, svaccato sul marciapiede, cerca di scomparire nel flusso tranquillizzante dei fannulloni…[19

Il funtore trascendentale FA – tralasciamo qui, per la loro complessità, i passaggi formali della dimostrazione della sua esistenza – ha in sé la possibilità di una sintesi dell’analisi esistenziale: opera, per così dire un rincollamento – in senso topologico – dell’analisi trascendentale.

Badiou conclude il terzo libro della Grande logica con una definizione del rapporto tra l’essere dell’oggetto e le guaine (enveloppes) trascendentali di grande interesse:

L’essere dell’oggetto è organizzato dall’interno, a partire dall’analisi esistenziale, da sintesi che corrispondono alle guaine esistenziali (ai territori). Cosa che si può anche esprimere così esiste, dal trascendentale verso le molteplicità pure di cui regola l’essere-là, questa correlazione intelligibile denominata “fascio”. E dunque vi è, se consideriamo il mondo nella sua interezza, la categoria di tutti i “fasci” che vanno dal trascendentale T verso tutti gli oggetti di tipo (A, Id). Si tratta di una delle strutture matematiche tra le più notevoli tra quelle nate negli anni cinquanta e sessanta. Questa struttura è denominata «topos di Groethendieck»[20.

Prima di incominciare ad analizzare la logica della “relazione”, Badiou, aprendo il quarto libro della Grande logica riassume il lavoro svolto fino ad allora attraverso la critica serrata della logica contemporanea.

L’analitica dell’oggetto si può riassumere in quattro punti:

  • Ciò che esiste in un mondo è un multiplo puro.

  • Il fatto che un multiplo esista non è altro che l’indicizzazione contingente di questo multiplo su di un trascendentale.

  • Tuttavia, dovendo esistere (o apparire), questo fatto influenza retroattivamente l’essere attraverso una nuova consistenza distinta dalla sua disseminazione molteplice.

  • In questo modo, il non-essere dell’esistenza fa sì che l’essere sia in altro modo che secondo il suo essere. È, precisamente, l’essere di un oggetto.

L’oggetto esaurisce la dialettica dell’essere e dell’esistenza, che è poi anche quella dell’essere e dell’apparire, o quella dell’essere-là, o infine quella della molteplicità estensiva, o matematica, e della molteplicità, intensiva, o logica.

Per terminare la costruzione del concetto di “mondo”, non ci resta che pensare ciò che si dà “tra” gli oggetti. È il problema della co-esistenza in uno stesso mondo (o secondo lo stesso trascendentale) di una collezione di oggetti[21.

Il problema propriamente “ontologico” di questa sezione è il seguente: quanti oggetti vi sono in un mondo dato?

Il lettore, leggendo attentamente le considerazioni di Badiou, si sarà accorto del fatto che, nelle ultime due sezioni della Grande logica, alla critica a Kant si associ chiaramente una rilettura della Logica hegeliana e in particolare del passaggio dall’Essere all’Essenza.

Questo apparirà ancora più chiaro analizzando l’altra domanda posta dal filosofo francese, ovvero «che cosa sono gli oggetti gli uni per gli altri?», ciò che apre la considerazione della “relazione”.

La definizione di una relazione deve avvenire sotto la stretta dipendenza di quella degli oggetti, e non l’inverso.

Su questo punto, siamo d’accordo con Wittgenstein, il quale, avendo definito lo “stato” come un “legame tra oggetti” pone che “se la cosa può presentarsi nel quadro dello stato, bisogna che la possibilità dello stato sia già implicata nella cosa”. Detto altrimenti, se un oggetto si lega ad altri, questo legame è, se non implicato, almeno normato dagli oggetti[22.

Il “platonismo difficile” di Badiou è ben lontano da supporre l’esistenza di Idee dei numeri o delle relazioni in quanto “generi supremi”: tuttavia, come abbiamo visto, non ammette nemmeno la soluzione kantiana – almeno se intesa come la intende il filosofo francese – di un “trascendentale soggettivo”.

Badiou dimostra che “ogni relazione è universale”: l’infinità di un mondo implica la universalità delle relazioni (in senso logico).

Come rileva il filosofo francese,

In verità, la connessione tra la dimensione di un mondo e la sua completezza logica è assolutamente rigorosa.

Dimostreremo infatti, nell’appendice di questo libro, la notevole seguente proprietà: dal fatto che ogni mondo contiene – in un senso ontologico – un’infinità inaccessibile di oggetti segue che ogni relazione vi è universalmente esposta. Detto in altri termini, la completezza logica dell’apparire è una conseguenza, rispetto ai mondi, della loro chiusura ontologica. Possiamo considerare questa proprietà come la seconda tesi fondamentale del materialismo[23.

Alla fine di questo importante libro quarto, Badiou introdurrà il problema dell’“inesistente” come punto di passaggio verso una teoria dell’evento (événement) all’interno di un mondo dato.

Lasciando da parte il problema della comprensione dell’evento, prima di trarre le nostre conclusioni sulla critica del trascendentalismo kantiano e della teoria del giudizio ad esso collegata, presentiamo brevemente il tema dell’inesistenza nella logica di Badiou.

Per inesistenza si intende “un modo dell’essere-là” di un elemento di un multiplo che appare all’interno di un mondo, ovvero il modo “nullo”: questo elemento ha dunque “il minimo di esistenza” in quel mondo.

È possibile esprimere l’inesistente attraverso il simbolo Ø A.

Come rileva Badiou,

In un senso generale, dato un mondo, chiameremo “inesistente proprio di un oggetto” un elemento del multiplo soggiacente il cui valore di esistenza è minimo. O, ancora, un elemento di un qualcosa-che-appare che, relativamente all’indicizzazione trascendentale di questo qualcosa-che-appare, in-esiste nel mondo.

La tesi della razionalità della contingenza dei mondi si enuncerà allora: ogni oggetto dispone, tra i suoi elementi, un in-esistente[24.

L’in-esistente di un mondo è quindi sospeso tra l’essere (ontologico) e una certa forma di non-essere (logico).

Da qui possiamo concludere con Badiou che tale in-esistente presenta, nell’apparire, “la contingenza dell’essere-là”.

La teoria del giudizio di Badiou, con la sua elevata formalizzazione, apre alla “logica dell’evento”, garantendo il passaggio tra ontologia matematica e apparizione dei corpi-nel-mondo (ontologia del sito come «supporto d’essere del proprio apparire»).


Conclusioni

La “Grande logica” di Badiou costituisce un tentativo di fondare una logica dell’apparire che sia in rapporto con l’ontologia matematica sviluppata in L’Essere e l’evento.

Uno dei nuclei costitutivi di questa prima parte di Logique des mondes è proprio la critica del trascendentale kantiano, connessa con il tentativo di riformare la Logica hegeliana seguendo le tracce della topologia contemporanea: in questo modo il filosofo francese afferma di poter evitare le aporie del sistema hegeliano e, insieme, di poter costruire una logica dell’apparire libera dal soggettivismo kantiano.

Badiou, nel primo libro della Grande logica, sviluppa una “logica dell’apparire” come logica di un mondo, come “struttura d’ordine”: l’organizzazione trascendentale di un mondo qualsiasi permette di poter valutare ciò che vi è di comune nell’essere-là.

Essa, inoltre, garantisce la coesione dell’essere-là di una parte qualunque di questo mondo. Solo così sarà possibile fondare una logica dell’apparire di impianto materialista, libera dalle opzioni soggettivistiche – almeno nell’accezione accettata da Badiou – di Kant e di Husserl.

Attraverso gli strumenti della logica formale e della topologia, Badiou intende criticare la distinzione kantiana tra giudizi analitici e giudizi sintetici, formalizzando la funzione dell’apparire di un oggetto nel mondo per passare poi ad una posizione della natura materialista del mondo.

Secondo Badiou,

Apparire in un mondo come un oggetto ha delle conseguenze retroattive sull’essere-multiplo che sostiene quest’oggetto.

In effetti, ogni regione omogenea di questo oggetto ammette una sintesi riguardo all’ordine ontologico degli elementi del multiplo interessato[25.

Successivamente, la logica della relazione fonda la possibilità del cambiamento e, di conseguenza, prepara la “logica dell’evento” che sarà espressa attraverso la teoria dei punti nell’ultima parte del lavoro.

Per Badiou, si tratta di superare la posizione kantiana relativa al Quid iuris? e alla determinazione trascendentale della possibilità della conoscenza ma anche di fondare la possibilità del cambiamento all’interno dell’atonia del mondo contemporaneo.

Nel Second manifeste pour la philosophie (2009), Badiou precisa il senso della sua filosofia in rapporto alla critica del presente:

In questo secondo manifesto, il concetto centrale è quello del corpo soggettivabile. Si tratta sempre di verità, ma ciò che importa non è il loro essere pensate nel formalismo matematico delle molteplicità generiche.

Ciò che importa, è il processo materiale del loro apparire, della loro esistenza e del loro sviluppo in un mondo determinato, e insieme il tipo soggettivo legato a questo processo.

Se l’essenza di una molteplicità generica è un’universalità negativa ( l’assenza di qualsiasi identità predicativa), l’essenza del corpo di verità risiede nelle sue capacità, in particolare la capacità di trattare, nel reale, tutta una serie di punti. Che cos’è un punto? Un punto è un momento cruciale dello sviluppo di un corpo, un momento in cui scegliere un orientamento piuttosto che un altro decide della sua sorte[26.

Ed è proprio qui, nel passaggio dalla Grande logica alla teoria dei punti che il filosofo francese precisa la sua filosofia dell’evento, inteso come “singolarità forte” in un mondo dato, che è “più che una modifica” di quel mondo.


Note con rimando automatico al testo

1 A. Badiou, Logique des mondes, Seuil, Paris 2006, p. 16 (tr. nostra).

2 Ivi, p. 17.

3 Ivi, p. 111.

4 Ivi, pp. 111-112.

5 Ivi, p. 114.

6 Ivi, pp. 117-118.

7 Ivi, p. 119.

8 Ivi, pp. 123-124.

9 Ivi, p. 128.

10 Ivi, pp. 140-141.

11 Ivi, p. 161.

12 Ivi, p. 168. Su questo punto si può utilmente consultare il saggio di B. Boostels, Alain Badiou, une trajectoire polémique, La fabrique, Paris 2009, in part. le pp. 133-158.

13 Ivi, p. 220.

14 Ivi, p. 221. Su questo punto può essere interessante confrontare la posizione antikantiana di Badiou con la difesa dell’Estetica trascendentale e della deduzione kantiana portata avanti con decisione da J. Petitot, il quale auspica una rifondazione dell’epistemologia contemporanea a partire dalla rilettura dell’ Opus postumuum kantiano e, in particolare, del concetto di trascendentale del trascendentale. Si veda J.Petitot, Per un nuovo Illuminismo, Milano, Bompiani 2009.

15 Ivi, pp. 245-246.

16 Ivi, p. 249.

17 Ivi, p. 254.

18 Ivi, p. 257. La formula della funzione dell’apparire è la seguente: «Sia A un insieme (dunque una molteplicità pura, una forma pura dell’essere come tale). Noi supponiamo che questo multiplo A appare in un mondo m, il cui trascendentale è T. Chiameremo “funzione dell’apparire” un’ indicizzazione di A presa sul trascendentale T definita così: è una funzione Id (x,y) da leggere come “grado di identità di x e di y”, che a ogni coppia {x,y} di elementi di A fa corrispondere un elemento p di T» (ibid.).

19 Ivi, p. 294. Su questo punto si confronti la critica di Badiou con I. Kant, Critica della ragion pura, a cura di P. Chiodi, TEA, Milano 1986, pp. 156-226. Riportiamo due delle distinzioni fondamentali che Badiou opera tra la sua filosofia e quella di Kant:

«Kant: Unità delle coscienza di sé

Badiou: Unità strutturale di un trascendentale di un mondo.

Kant: Unità sintetica

Badiou: Postulato di un reale (degli atomi)» (A. Badiou, Logique des mondes, cit., p.247).

20 Ivi, pp. 311-312. Aggiungiamo in nota la dimostrazione formale dell’indicizzazione trascendentale fornita da Badiou in appendice al suo saggio: «Formalmente, prediamo A, l’insieme che appare in un mondo. Non vi appare che nella misura in cui un’indicizzazione trascendentale Id lo mette in rapporto al trascendentale T del mondo nel modo seguente: per ogni coppia di elementi a e b di A, troviamo che Id (a, b)= p, ove p è un elemento di T. Diremo che a e b sono, nel mondo in questione, “identici al grado p”. Per esempio, se p è il minimo* μ di T, a e b sono “il meno identici possibile”. Il che vuol dire che l’essere-là di a è – in questo mondo – assolutamente diverso da quello di b. Si chiama così anche la funzione Id funzione dell’apparire, o funzione di identità, per delle ragioni evidenti» (ivi, p.610).

21 Ivi, p. 316.

22 Ivi, pp. 316-317.

23 Ivi, pp. 336-337. Per “chiusura ontologica” di un mondo, Badiou intende il fatto che «un insieme è detto ontologicamente chiuso quando non si saprebbe uscirne attraverso l’applicazione, ripetuta tutte le volte che si vuole, a un elemento qualsiasi dell’insieme, delle operazioni di disseminazione degli elementi, o di totalizzazione delle parti. Cardinali inaccessibili sono quelli che non si possono ottenere, a partire da un cardinale più piccolo, attraverso nessuna delle due costruzioni fondamentali della teoria degli insiemi: l’unione (…) e la presa delle parti» (ivi, pp. 604-605).

24 Ivi, pp. 339-340.

25 Ivi, p. 598. Alla posizione di Badiou potrebbe essere contrapposta l’opzione di J. Petitot, il quale cerca piuttosto di rivalutare la posizione kantiana a partire da una riconsiderazione del trascendentale, inteso come “principio materiale” dell’apparire dei fenomeni. Come rileva Petitot: «Le forme (Gestalten) e le qualità sensibili diventano così produzioni fisiche fondate sul sistema delle forze fondamentali. Appare qui una via magnifica per una fenomenologia che vorrebbe essere una fisica della manifestazione sensibile» (J. Petitot, Per un nuovo…, cit., p. 109).

26 A. Badiou, Second manifeste pour la philosophie, Fayard, Paris 2009, p. 141 (tr. nostra).


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