And the
red wolf is gone ...
lettera da questa terra
di Paolo B. Vernaglione
Caro Alex Supertramp (1968-1992),
ti
scrivo dopo aver visto il film di Sean Penn,
Into the wild, che
racconta la tua ultima vita e mi spinge a dire qualcosa che tu forse,
nella tua voglia di allontanarti dal futuro che stiamo vivendo avevi
già capito.
Ti scrivo pensando alla natura, secondo la
definizione di Darwin: l'azione combinata e il risultato di leggi
naturali. In questa definizione trovo l'unicità di realtà
e linguaggio, mente e ambiente, non più sottoposte a
scissione. Un principio teorico e pratico insieme: una logica, che
riunisce scienza e fenomeno, modello ed evento, teoria e agire
(Quine, 1951).
Ogni giuoco linguistico infatti fonda un
significato e ne è rappresentazione (Wittgenstein, 1953). Ogni
logica è cibernetica. Ogni linguaggio è traducibile in
ogni altro grazie a regole di trasformazione.
Per quanto sostenuta da un cognitivismo
riduzionista, l'applicazione della logica al mondo, che oggi è
quello dello shock, non è la via breve all'astrazione e alla
giustificazione dello status quo, come pretende un realismo alla
Popper, noioso e intransigente, ma ciò che ci permette di
pensarlo come un tutto, di farsene un'idea, di natura caotica
(Gleitch, 1987, Feyerabend,1989), cioè di suturare la frattura
operata sulla realtà da un post-capitalismo integralista,
essenzialista, specista. Invece, “la struttura che connette” di
G. Bateson (1972) è la logica per la quale l'universo è
caotico, felicemente desiderante in connessioni neuroniche, per cui
il battito d'ali di una farfalla a Tokio provoca Kathrina...
Ma per
esserci giuoco linguistico, scivolamento
del senso sull'esistenza dev'esserci differenza tra senso e
significato (Peirce, 1867, Frege,1892); un divenire appunto, in cui
ad un significato possono corrispondere sensi diversi, gioiosi
contrari.
Ti voglio scrivere, del superdocumentario
Grizzly Man,
di Werner Herzog sulla vita di Timothy Treadwell, che come te era
fuggito in Alaska, tra gli orsi, e ha superato la linea dell'umano,
in un divenireorso che ha fatto invidia a Deleuze.
Questa storia non sembra essere l'esito
dell'evoluzione. (Lo è il film infatti) in cui l'impossibile
ha preso il posto delle possibilità ed è diventato la
zona impervia di disponibilità: la zona della natura. Essa
produce la ricchezza del possibile per riversarla nell'impossibile,
nella sua continua variabilità.
La
crisi della realtà globale del
turismo, delle macchine (fossili, meccaniche, fotografiche), dei
teleobiettivi-fucili dei safari è il mondo post-darwiniano che
tu hai patito, in cui gli equilibri punteggiati (Gould, Eldredge,
1972) e la crisi del gradualismo (Pievani, 2005) si intrecciano al
becero creazionismo fascista e alla ricerca petrolifera delle
multinazionali. L'Alaska è il terreno vago in cui si
affrontano ecologia profonda e globalismo liberista: il corpo
dell'uomo-orso, che è il tuo, e di coloro, pochi, che scelgono
la morte per la vita. L'Alaska è il residuo dei propositi del
mondo-Bush, dello Tsunami, di Katrina, delle trivelle multinazionali.
L'Alaska è il labirinto degli orsi, ma anche la terra senza
animali, senza cibo commestibile, solo piante velenose, nemiche e
inattendibili. Per te il confine, il fiume, è
inattraversabile, perchè non c'è un al di là,
alcun divenire praticabile. Tu infatti eri già un “orso”,
braccato nel bus rottame in cui ti sei rintanato.
Ma chi è l'uomo che diviene orso, il
grizzlyman into the wild, se non chi attraversa la soglia tra vita e
morte, tra civiltà e natura, sentendosi morto e trovando al di
là del confine la vita dell'orso – oltre la morte di questa
“plaga lussureggiante” (Darwin, 1859) e declinante? Il prezzo del
divenire orso è la vita, al di là del confine sulla cui
linea si fermano entrambe le terre. Eddie Vedder ha composto questa
sinfonia ecoradicale. Per questo, è urgente una scienza
ecologica, nella materialità delle condizioni in cui un
ecosistema rivive, come mi hai insegnato. Laddove infatti la civiltà
si arresta, non c'è neanche la sua alternativa “naturale”.
Laddove c'è il vivente c'è la morte. Finora
all'ecoanarchismo non rimaneva che compiere la fine della civiltà,
sulle orme di Walden e Thoreau e con l'autorizzazione di Withman, la
fine allucinante del rapporto alla natura con la critica estrema,
nell'azione diretta.
Ma il lento e premeditato suicidio, la
nientificazione nel selvaggio dell'individualismo ecologista, indica
che bisogna battere un'altra strada: non aderire all'incondizionato,
all'Ideale, bensì alla condivisione (e anzitutto alla
scrittura, che riunisce teoria e pratica).
Ma questo, caro Alex, significa ricostruire
la
storia dell'ecologismo-movimento, attraversando il primitivismo e
l'anarco-eco di Bob Black, John Zerzan e Fredy Perlman, criticando la
deriva terrorista (Kaczynski, che ha finito per essere l'icona
mediatica pro-life) e spingendo oltre la critica alla civiltà,
l'ecologia sociale di M. Bookchin.
Nei primi anni '80 infatti H. Gardner con
la
teoria delle intelligenze multiple (Frames
of Mind, 1983) estende la
modellistica cognitivista. La prospettiva interdisciplinare si apre
nel 1985 con il fondamentale The
Mind's new science, in cui si
afferma l'integrazione di linguistica, neuroscienze, psicologia e
I.A. Con il tema delle rappresentazioni (simboli e schemi), in una
prospettiva universalista, il computer è il modello di
simulazione della mente. C'è corrispondenza biunivoca tra elementi e
tra variabili neurali e ambiente.
Per Gardner la corrispondenza tra processi mentali e processi nel
mondo deve avere finalità biologiche, cioè spiegare ma
anche produrre le condizioni evolutive dei viventi.
Il concetto di natura si connette
all'ecologismo (Gould, Diamond) e il cognitivismo attraversa il
primitivismo : questo passo, l'esodo dalla società del lavoro
e del dominio, ha bisogno di un agire, come aveva intuìto
Alexander Langer, un “viaggiatore leggero” e solitario come te,
un costruttore di ponti, come scrive Karl L. Schiebel...
Perchè la prospettiva che appare nella
terra desolata, nello scenario post-catastrofe dell'economia dello
shock è lo schema Bateson-Schumacker, le appropriates
technologies (“small is beatiful”, 1973, ma oggi senza alcun
romanticismo estetico), e poi Neisser-Gardner, la ricerca di
pluralità nella facoltà intellettiva e, estendendo, di
modelli posturbanistici di integrazione, che ci portano dritti alla
bigness e
allo Junkspace di Koolhas (1995) – di cui l'Alaska attraversata e
vissuta come impossibile è l'altra faccia congruente.
Infatti un radicalecologismo che non azzera
la
ricchezza della crescita, ma la scava dall'interno accettandola, è
nel J. Gibson delle invarianti percettive (Ecological
approach to visual perception,
1979), che svolge il rapporto mente-natura in parallelo all'ecologia
cognitiva di U. Neisser. La sua teoria ha dato immediatezza al
cognitivismo facendo da sfondo ad un'ecologia della percezione,
riportandola alla quotidianità, e facendo ad essa seguire il
“laboratorio”, che precedeva.
Ma questa ricostruzione potrebbe iniziare
dal
1962 con la Primavera silenziosa
(denuncia del DDT) di Rachel
Carson,
che in pratica fonda l'ambientalismo. Questa linea è ideamente
proseguita dall'ecologismo disobbediente di Marcus e Alan Albon in
Gran Bretagna, con “Green Anarchist”, con Hunt, con il punk e
l'insurrezionalismo e il movimento per la liberazione animale, fino
alla ghettizzazione alla fine degli anni '80, operata da “Alternative
Green”: su quale scienza infatti si fondava la convinzione che i
contadini del terzo mondo fossero avanguardie rivoluzionarie? Perchè
l'antispecismo di Laughton e Rogers doveva chiudersi? Perchè
non fondato su una critica genealogica, davvero anarchica, al sistema
del sapere eurooccidentale, ma sulla presuntuosa convinzione che la
militanza ecologista bastasse a se stessa...
La lezione degli anni '90, impartita
all'ecologia profonda, alla pratica degli ecovillaggi e del
comunitarismo discriminativo, all'autoritarismo arcaico delle
énclaves, è stata la sconfitta di esperienze minoritare
che non volevano essere nient'altro: la distruzione della civiltà,
Earthfirst! Un ecologismo anarchico deve invece costruire sulla
modernità: il corpo-macchina, il corpo-automa, il
corpo-animale, l'intelligenza artificiale che riarticola il
corpo-mente.
L'alternativa
alla morte della vita è la
vita artificiale, la potenzialità di una natura naturans che
non si risparmia. L'eccedenza di un fare che difende il “futuro”
della natura nella postmodernità, la sua catastrofe.
Il catastrofico non è l'evento della
fine, della negatività, bensì, nella shock economy
(Klein, 2007), l'attuale condizione di eccedenza. L'alternanza
suicida di crescita e decrescita, sviluppo e sottosviluppo, civiltà
e barbarie riesce in questo? No.
Non
riesce un' insopportabile decrescita;
bisogna piuttosto rivendicare Nietzsche, Benjamin, portare al
tramonto il tramonto della modernità, del lavorismo, del
macchinismo, di cui acquisire tutto: tecnologie, automazione,
robotica, telecomunicazioni, energie, al servizio di luoghi ricreati
di natura. Vivere il tramonto della post-modernità significa
puntare sull'eccedenza, non sulla scarsità delle risorse.
Questo non significa accendere gli ultimi fuochi della civiltà
e morire con essa, bensì scommettere su una storia come
avvenire. Il futuro-passato di Koselleck.
Viviamo il passaggio dal petrolio
all'informazione, dal carbone all'eolico e solare, all'idrico come
shock globale (Leggett, 2005) e come surplus non capitalizzato. Non
siamo più nell'era dell'accesso (Rifkin, 2000), descritto come
un passaggio quasi indolore alla post-modernità, ma al crack
finanziario del moderno. Evidenziata dall'anarcoecologismo nell’
esteriorità di un primitivismo, di un Assoluto, che è
il prezzo dell'uscita dalla modernità, la mera forma dell'oggi
è un assoluto del capitalismo, immanente alle cose quotidiane.
Tu, che non hai percorso la critica idiota
all'agricoltura e al linguaggio, in vista di chissà quale
apparizione della “comunità” nell'orda antiindustrialista,
sei rimasto immune da ciò che sta accadendo. La tua scelta è
quella di quanti hanno vissuto per la natura-a-venire, e l'hai pagata
con una felicità ascetica, individualista, un'infelicità.
Ma intuire il mutamento (la natura come mutamento) serve a costruire
un orizzonte della natura come scienza e tecnologia, adoperando la
pre-scientifica consapevolezza dell'unicità singolare di ogni
natura. L'animale che dunque sono (Derrida, 2006).
In Mente e
natura (1979) G. Bateson racconta di
un equilibrio conflittuale tra mappa e territorio, sistemi di
feedback e deuteroapprendimento, le cui conseguenze non sono l'odio
per l'automa e la simulazione, ma l'evidenza di quella struttura:
l'intelletto comune che disloca storia e culture. Il delfino in
grembo a Bateson e un sistema esperto non sono simboli ma eventi
linguistici, cioè vita.
Questa eccedenza è ciò che manca
alla forma del postcapitalismo globale: essa non balza agli occhi,
benchè sia un dato strutturale della post-modernità,
l'evento ecologico nascosto, forse l'unico objet non trouvé
della reificazione (l'oggetto piccolo di Lacan?).
Serve un'apertura di campo su: sistemi dinamici, struttura della
mente, rapporto mentecorpo. Un connessionismo.
Il pensiero analitico ha tracciato la mappa
della natura umana come evento linguistico esprimibile in una logica
in divenire: Peirce, Frege, Russell, Whitehead, Wittgenstein, Quine.
A partire da lì, Il cognitivismo è un post-umanesimo.
Questa è la sua ricchezza, oggi la sua autocritica: Minsky,
Gardner, Watzlawick.
Per questo ti voglio scrivere di molteplici
mondi, racchiusi in una funzione e là espressi: “(f)x”, in
B. Russell implica relazioni multiple e una teoria dei tipi logici
(Russell, 1929, Bateson, 1972, 1979) che differenzia la classe e suoi
elementi. Per questo, l'artificializzazione del linguaggio è
oggi più che mai, natura. Natura della mente, intelligenza
artificiale, prospettiva totale che va praticata (Marchesini, 2005).
È una vita sociale della mente quella
che ti propongo, non un'astrazione, né un'utopia. Un
cognitivismo ecologico, (ancora Neisser), in cui c'è
implicazione reciproca tra modello e realtà, in cui c'è
praticabilità, come ha indicato la psicologia ecologica di J.
Gibson e Jhoansson (1950). Ma come vedi, per far ciò, per
disporre in una logica ciò che oggi fa problema, nei sistemi
cognitivi, in quelli ecologici e nell'apparato logico delle scienze,
bisogna farne la storia, ricostruirne le tappe.
In origine fu K.J.W. Craick (The
nature of human action, 1943), che
prese ad integrare psicologia e cibernetica; ciò consentiva di
apprezzare i simboli come basi del funzionamento della mente. La
mente elabora informazioni acquisite dall'ambiente tramite un
processo di codifica. Informazioni sono tradotte in simboli
combinati: la mente è simboli + regole di combinazione. Mc
Cullock e Pitts elaborano la teoria delle reti neurali artificiali
(1943). Rosemblatt, alla fine degli anni '50 elabora il percettrone,
un'unità neurale in grado di apprendere, di cui tuttavia
Minsky e Papet dimostreranno la limitatezza.
Zadeh,
negli anni '60 inventa la logica fuzzy
che gradualizza le prospezioni di fenomeni. Negli anni '70 dalla
critica di M. Minsky, Werbos svilupperà il modello di reti MLP
(Multi Layers Perceptron), che sono in grado di apprezzare la
variazione di errore.
Con l'elaborazione del paradigma HIP (Human
Information Processing), che darà vita al neofunzionalismo,
l'informazione è esprimibile indipendentemente dalla sua
implementazione fisica (“c'è dell'informazione”). La
struttura della mente sarà lo stato dell'informazione ad un
certo stadio e la funzione le operazioni condotte su essa. Ciò
che conta è il software, mentre l' hardware ha una struttura
modulare. L'acquisizione dello HIP ha colmato la distanza tra Sistema
Nervoso Centrale e computer perchè esso opera serialmente come
le macchine informatiche. La memoria è un archivio che ricrea
la realtà esterna. I modelli di memoria semantica,
linguistica, psicologica e di intelligenza artificiale sono impiegati
per un programma che crea un linguaggio naturale (Quillian, 1969) in
un' organizzazione delle conoscenze di tipo “bottom-up”
(Collins,1972, Marchesini, 2005).
Tra la metà degli anni '70 e gli '80
Anderson formula un modello a rete dell'attività cognitiva
(ACT). Conoscenze dichiarative sono analoghe a reti semantiche e
danno luogo a informazione in forma proposizionale e ad un sistema di
conoscenze procedurali (sistemi “se...allora”). Soggetto e
predicato sono uniti da una relazione che eccede l'enunciato di
esistenza.
Da questo modello deriveranno quelli di
memoria
come struttura narrativa in Goffman e Minsky, come script (Schank e
Abelson), schemi testuali (Van Dijk). Nella teoria dello script
(schema di situazione) c'è un'architettura gerarchica con slot
da riempire in sequenze bottom-up, che mobilita diversi tipi di
memoria (di eventi, generalizzante, intenzionale, situazionale).
Negli anni '70, al culmine del dibattito
sul
paradigma HIP, si sviluppa la sua revisione critica, che consiste nel
rifiuto dei micromodelli, dell'analogia uomo-computer, e nello
sviluppo dei sistemi di simulazione e delle neuroscienze. Neisser
critica il concetto di informazione (1976). Il cognitivismo si separa
dalla psicologia cognitiva e, grazie anche allo sviluppo delle
neuroscienze nel 1977 Shank, Collins, Cherniak, fondano Cognitive
Science. La rivista opera su un
programma interdisciplinare che integra Intelligenza artificiale,
logica, psicologia educativa ed epistemologia.
L'acquisizione importante, al primo
congresso
della C.S.S. a La Jolla (1979) è la rifondazione dell'analogia
uomo-computer, non più basata sulla rappresentazione delle
conoscenze. Oltre all'ecologismo di Neisser, le principali
acquisizioni del cognitivismo sono la teoria sistemica di Varela e
della struttura di Maturana, che non riducono il sistema mentale a
relazione (l'omologo della critica di Habermas (1983) alla teoria
parsonsiana dell'azione), ma indicano nell'insieme delle relazioni
organizzate la complessità del sistema e introducono un
concetto di informazione come relazione differenziante, che sarà
adoperata da N. Luhmann nella teoria della comunicazione e dei
sistemi sociali (Luhmann,1984).
Negli anni '80 si diffonde la modellistica
cognitivista in cui il pensiero costruisce un modello in parallelo
con la realtà. I modelli sono costituiti da elementi (tokens)
e relazioni per cui non è importante la struttura ma i
rapporti tra parti (Johnson, Laird, Mental
Model, 1983).
Si opera una descrizione di modelli:
relazionali, dinamici, monadici, metalinguistici, insiemistici. Un
modello mentale per esser tale deve sottostare a: computabilità
(infinitezza dell'implementazione), finitismo (finitezza dei modelli
implementati), costruttivismo (un numero finito di elementi dà
luogo a infinite combinazioni).
Gli scorsi anni '90 sono aperti da C.R.
Gallistel per il quale la corrispondenza mente-computer muta in
isomorfismo tra sistemi, sulla scorta del lavoro di J. Palmer. In
questa prospettiva si rende operativo il concetto di informazione per
cui il modello può rispondere a domande poste sulla realtà.
Ciò significa che posso rappresentare un enunciato con più
simboli, a prescindere dalla struttura della realtà da esso
enunciata.
A 27 anni dall'opera di Neisser la ricerca
sulle mappe cognitive naturali, le teorie semantiche del linguaggio e
l'osservazione naturalistica dell'acquisizione del linguaggio
bilanciano il bioorganicismo “duro” degli anni '90 (Fodor,
Rumelhart, MacLelland). Rispetto all'impensabile “facoltà di
linguaggio innata” di Chomsky, le tendenze connessioniste e
modulariste sono un punto di svolta, (input e schemi del sistema in
grado di apprezzare, elaborare nonché incapsulare input
informazionalmente). È un processo complesso di verifica delle
condizioni ambientali, secondo il modello di feedback TOTE, elaborato
da Miller, (Test-Operate-Test-Exit)
Senza farla più lunga, quello ti che
chiedo è: un ecoradicalismo che non sfilacci pretese e
possibilità, fatti e idee, azione e mente. È su una
scienza totale che si gioca la partita, sulla struttura che connette,
sulle teorie del caos, dei frattali. Su questa linea trovo Rising
Tide, le campagne sul climate
change, l'europeismo dei (pochi) movimenti neuroverdi antipartito, la
socialità diffusa del radicalismo reticolare,
dell'ecofemminismo, disperso ma presente, non sbraitante, meditante.
Qui si fa teoria e agire insieme, un nuovo patto mente-natura, una
potenza cognitiva e cooperativa. Modelli processuali e computazionali
insieme.
Questo patto riconosce ogni “pezzo” come un
oggetto naturale, parte di una mente comune, non più al di qua
o al di là del reale ma dentro, immerso, come scopre la
ricerca genica. Se questo è vero, siamo in un tempo
post-darwiniano, come ha scritto Freeman Dyson (2005), nel senso che
l'origine delle attuali differenze geniche e specie-specifiche è
stata preceduta da una coevoluzione in cui il “trasferimento genico
orizzontale” era comune e prevalente, tra specie non imparentate.
Questo fatto dà vita a giuochi genicolinguistici prima
impossibili da scoprire, in una potenziale esplosione di
biodiversità. “La progettazione dei genomi sarà una
nuova forma d'arte” (Freeman, Dyson), in cui reale e virtuale sono
già uno, nell'oggetto, nella pianta, nel vivente, nella
macchina.
Il
concetto di gene, in quest'era
post-genomica, è vagliato e ristretto; ciò che infatti
troviamo nel reale è la virtualità del gene. Sembra che
ciò possa significare la fine del dualismo mente-natura,
mappa-territorio, e che l'ambiente è opera di singolarità.
La natura offre la continuità tra materiale genetico e idea
che ce ne facciamo. Si ridisegna il concetto di gene (E.F. Keller,
epistemologa femminista, D. Harel, matematico 2007), secondo
un'inedita integrazione di statica, dinamica, struttura e funzione,
genotipo e fenotipo. Dene più
che gene, perchè indica un tipo generico di istruzione del
DNA, come un predicato, una proprietà; e bene,
(da behaviour statement) che
indica
una o una serie di comandi di funzione.
Il genetic
funtor è dunque l'unità
in divenire che integra un particolare dene
ad un bene
particolare. L'implicazione è
che l'unità complessa genitor
(gen. funt.) funziona in rapporto
all'ambiente. La sua giustificazione consiste nel fatto che
l'applicazione logica (di tipo booleano) dell'attività di dene
e bene
dà conto della ricchezza
espressiva dei
componenti del DNA.
Ciò significa che “l'organismo nel suo
ambiente può essere considerato come un universo di discorso –
qualcosa che un logico potrebbe chiamare un modello o una parola”
(Fox Keller, Harel, trad. mia).
La
felicità, infatti, è
condivisione ed è di questo, vero, che tu, Alex, parlavi?
Ringrazio la Prof.ssa.
Iachini,
per il prospetto sintetico sul cognitivismo, all'indirizzo:
http://151.1.141.233
Alex Foti per la mappa della
“mente verde”.