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NUDITA'
RICERCHE


Il “corpo nudo” nei “Quaderni di Rodez”
e negli ultimi scritti di Artaud


di Jean-Claude Lévêque



1. Gli inizi: dal “pesa-nervi” ai “Tarahumara”.

La questione del corpo occupa un luogo centrale negli scritti di Artaud fin dalle poesie di “Pèse-nerfs”; la necessità di far fronte a una malattia fisica e spirituale, a un “impotere” al quale si può sfuggire momentaneamente solo attraverso l’uso della droga o la creazione artistica, peraltro sempre problematica.

Come ricorda C. Dumouillé,

Così come gli eroi di Seneca, Artaud esalta smisuratamente il proprio dolore, lo nutre di immagini e di rappresentazioni che gli attribuiscono un aspetto inumano. Il dolore tragico nasce da un sentimento di spoliazione vissuto da un personaggio umiliato e tradito, che reclama il godimento di un suo legittimo bene, del suo diritto. In tal modo Artaud pone, immediatamente, la questione radicale del suo essere e, in conformità al registro giuridico da cui dipende il teatro del furore, la pone in termini di diritto (…).1

Ed è proprio di questo diritto, del pieno possesso di sé e del proprio corpo, che Artaud si sente spogliato fin dalla nascita e che lo spingerà, più tardi, a “rifarsi un corpo”.

Come ricorda lo stesso Artaud,

Quando una volontà intellettuale interviene, anche poco, per consentire a un’immagine, a un’idea qualsiasi di prendere corpo prendendo forma, quando si cerca di pronunciare lucida e chiara una di quelle parole interiori che lo spirito unisce senza posa, la malattia manifesta la propria presenza, la propria continuità, si potrebbe dire che basta che lo spirito abbia voluto godere di un’idea o di un’immagine interiore affinché il godimento gli sia sottratto, regolarmente, l’immagine parlata fallisce, e il tentativo di condurre all’esterno quell’idea o quell’immagine è ancora più difficile e non fa altro che rilevare, immediatamente e in modo flagrante, l’assenza di continuità, di densità nervosa sulla quale si fonda la mia attuale personalità.2

Già queste pagine giovanili rivelano la difficoltà di reintegrare il corpo in un ‘unità; un corpo diffratto, minato dalla malattia; questa difficoltà si accentuerà negli anni di Rodez, in cui l’internamento coatto e la terapia del Dott. Ferdière, basata sugli elettrochocs, metteranno l’autore sempre più a contatto con la possibilità dell’essere-posseduto e del furto del corpo.

Sono stigmatizzato da una morte pressante, nella quale la morte reale è per me priva di terrore.3

L’esperienza del corpo è per Artaud, fin dalle prime opere, una possibilità della spossessione di sé, della possibilità “ di non essere più se stesso”: l’ envoûtement consiste proprio nell’essere- vittima di una forza spirituale esterna all’Io che lo priva delle forze e lo porta ad uno stato di “mancanza d’essere”.

Come rileva Dumouillé,

Negli scritti di Artaud ricorre un fantasma, il fantasma di una membrana che divide, eternamente, la vita e la morte, ma le fa comunicare, separa l’io dal mondo ma, come la pelle di un tamburo mitico, risuona degli urti degli opposti; e il poeta, a contatto con questa terrificante matrice, deve far ritornare alle origini la musica della sua poesia.4

La lacerazione interna di Artaud lo porta a cercare di vivere fino in fondo l’esperienza dello strangolamento per poter trovare la parola, difficile, rara, e adatta ad esprimere questo stato sospeso tra la vita e la morte.

Tutto questo traspare dagli scritti giovanili. Ma è nei lavori che compongono il “Teatro e il suo doppio” che il lavoro di Artaud sul corpo si rivela in tutta la sua complessità: come è risaputo, la crudeltà artaudiana non ha nulla a che vedere con il dolore infinito o con la tortura, né con la crudeltà umana in senso stretto.

Si tratta piuttosto di questo:

Come la peste, il teatro è un formidabile appello a forze che riportano con l’esempio lo spirito alla fonte dei suoi conflitti. Ed evidentemente l’esempio personale di Ford altro non è che il simbolo di un lavoro più gigantesco e assolutamente essenziale.

La terrorizzante apparizione del male, che nei misteri di Eleusi avveniva nella sua forma pura, ed era realmente rivelata, corrisponde al momento nero di certe tragedie antiche che ogni vero teatro deve ritrovare.

Il teatro essenziale è come la peste, non perché è contagioso, ma perché come la peste è rivelazione, la trasposizione in primo piano, la spinta verso l’esterno di un fondo di crudeltà latente attraverso il quale si localizzano in un individuo o in un popolo tutte le possibilità perverse dello spirito.5

Il teatro assume quindi la dimensione di un rituale il cui centro è il rapporto tra il corpo e lo spirito e che comprende tra le sue possibilità anche quella dell’annientamento. L’attore è un “geroglifico vivente” che deve accettare in toto le indicazioni del regista-demiurgo per poter realizzare il rituale, rompendo ogni convenzione teatrale.

Come ricorda Dumouillé,

La recitazione dell’attore è assimilabile a quella poesia concreata che scrive direttamente la carne, direttamente la vita.

Il KA è una nuova figura della vita onnipotente che è necessario crivellare, tagliare in forme e in immagini, direttamente nel suo corpo, al fine di localizzare e padroneggiare gli spostamenti del respiro vitale.

La teoria dei respiri, che Artaud riprende dalla cabala, serve a “discriminare tra i respiri quello adatto” a un tale sentimento, a modellare il flusso primitivo della vita la “materialità fluidica dell’anima”.6

È un teatro che finisce per affermare la propria impossibilità, nell’esposizione dell’attore “messo a nudo”, secondo una drammaturgia non-occidentale; il teatro della crudeltà ex-pone la messa-a-nudo dell’attore ma mai il nudo in quanto tale, o almeno questa è solo una possibilità marginale nel progetto artaudiano.

Il viaggio in Messico presso i Tarahumara, dopo il fallimento delle messe in scena parigine, apre nuove possibilità alla messa a nudo di Artaud; qui egli fa i conti con la magia e con la sua nuova condizione di predestinato:

Questa idea della vita è magica, presuppone la presenza di un fuoco in tutte le manifestazioni del pensiero umano; e l’immagine di un pensiero ci sembra che oggi sia contenuta nel teatro; e crediamo che il teatro non sia fatto che per manifestarla.7

In questi anni, nelle opere di Artaud, il confine tra la ragione e la follia è estremamente sottile: il poeta crede nel potere dei sacerdoti Tarahumara e nell’efficacia delle forze da loro scatenate nel mondo.

D’altra parte,

Il paese dei Trahumara è pieno di segni. Di forme, di effigi naturali, che non sembrano affatto nati dal caso, come se gli dei, che qui si sentono ovunque, avessero voluto significare i loro poteri con queste strane firme in cui è la figura dell’uomo a venir perseguita da ogni parte.8

Il viaggio al paese dei Trahumara è caratterizzato appunto da un proliferare di segni che sembrano confermare la predestinazione di Artaud; in particolare è il rito di “Ciguri o Tutuguri” ad attirare Artaud:

Come ho già detto, sono i preti del Tutuguri che mi hanno aperto la strada del Ciguri come qualche giorno prima il Signore di tutte le cose mi aveva aperto la strada del Tutuguri- Il Signore di tutte le cose è colui che presiede alle relazioni esterne tra gli uomini: l’amicizia, la pietà, l’elemosina, la fedeltà, la generosità, il lavoro. Il suo potere si ferma alla porta di ciò che in Europa chiamiamo Metafisica o Teologia, ma va molto più in là nel dominio della coscienza interiore di qualunque capo politico europeo.9

Il rituale del Peyote, almeno all’inizio, sembra aprire ad Artaud una nuova dimensione dell’essere, la possibilità di liberarsi dalla possessione, di sottrarsi al potere dell’Altro.

Ma le cose non andranno, alla fine, per il verso giusto e si concluderanno con l’arresto e l’internamento a Le Havre. Ma torniamo ai rituali Tarahumara, così decisivi per il pensiero di Artaud.

La descrizione del rito di Tutuguri prelude alla descrizione di un tipo d’uomo che sta per scomparire: Artaud, attraverso il resoconto della danza rituale dei Tarahumara, mette in scena l’abiezione, la perversione del simbolo della croce.

Come ha rilevato Dumouillé,

Il rito del sole nero diventa un rito di abiezione nel quale la croce del Messico e la croce cristiana sono ancora una volta riunite, ma per dire quanto “la croce sia un segno nero, un segno abietto”, la cui funzione è di impedire la nascita del sole.

Le croci, che punteggiano la progressione del sole, come per ritmare “una frase abietta da salvare”, non potranno impedire la dolorosa nascita dell’astro, così come i segni occulti, le religioni e gli elettrochocs non hanno impedito alla frase di Artaud di rinascere con quella potenza di abiezione che ormai scaglia contro tutto ciò che ha voluto rinchiuderlo.10

Artaud, a nostro avviso, è ancora segnato dal sapere alchemico ed esoterico, anche se ormai egli non intende più conferire alle operazioni dell’Arte tradizionale un significato condiviso: ad esempio, la croce indica in questi testi della maturità il vero e proprio squartamento dell’uomo sulla graticola quando, perseguitato dall’Essere, cerca di rifarsi un corpo.

Per questo intendiamo la ricerca artaudiana nel senso di una vera e propria “messa a nudo” che va contro le definizioni occidentali della nudità così come va contro la pornografia o l’esibizione e l’esposizione del corpo.

Come sottolinea J. Evola,

C’est donc le propre de l’art hermétique, comme de toute autre forme de technique initiatique, orientale ou occidentale, de détacher l’individu des valeurs « humaines » pour lui poser, au contraire, le problème de l’esprit en termes de réalité.

Mais l’individu se trouve alors en face de son corps, nœud fondamental de toutes les conditions de son état. La considération du principe-moi, dans sa double forme de connaissance et d’action, et la corporéité ( aus ens complet de ce mot), et la transformation d’un tel rapport au moyen d’opérations et d’actes bien déterminés, efficaces et nécessitants, bien qu’essentiellement intérieurs, constitue l’objet de l’art royal hermétique.11

Il viaggio presso i Tarahumara è così l’occasione per una riconsiderazione della tradizione occidentale e dei suoi rapporti con la corporeità, alla luce dei singolari rituali di questo popolo del nord del Messico.

Tuttavia, alla fine del rituale del peyote per Artaud non vi è liberazione annunciata: vi è piuttosto l’inizio di un itinerario di espropriazione che si compirà con il successivo viaggio in Irlanda e i successivi internamenti.

La seconda parte del nostro saggio si occuperà dunque dell’ultimo segmento dell’itinerario artaudiano verso una nuova e più completa “messa a nudo “ di sé.

2. I Quaderni di Rodez e del ritorno a Parigi e la ridefinizione del corpo.

La notevole mole rappresentata dagli scritti contenuti nei “Quaderni” che Artaud ha utilizzato dal ’45 fino alla sua morte e pubblicati, almeno in parte, da Paule Thévenin, ha dato molto da pensare agli interpreti artaudiani.

Non ci soffermeremo sulle interpretazioni di Deleuze e di Derrida, variamente citate e discusse dalla critica più recente; il nostro intento sarà piuttosto quello di analizzare dall’interno come Artaud approdi ad una riflessione sul corpo che riprende e approfondisce quella svolta nel teatro e il suo doppio insistendo sulla necessità di “rifarsi un corpo” per dis-creare l’opera di Dio.

Tutto il materiale degli anni quaranta è caratterizzato dall’ossessione per la possibilità dello spossessamento a cui è sottoposto l’uomo-Artaud; come rileva Dumouillé,

(si tratta di) …una perforazione della lingua che implica anche un forsennamento della sintassi. Sia, umoristicamente, attraverso lo straripamento iperbolico delle proposizioni, che ritorce la retorica contro se stessa,, accumula i procedimenti argomentativi e le articolazioni logiche fino al punto in cui il senso si perde e l’affermazione si rovescia.

Sia, forsennatamente, attraverso la disarticolazione della frase le cui membra si scontrano e che, dissolvendo i rapporti logici e gerarchici del soggetto e dell’oggetto, lascia l’iniziativa alla corrente sotterranea del senso come se, dall’humus prodotto dalla decomposizione della sintassi e della grammatica, germinassero nuovi fermenti. 12

L’uso delle glossolalie rivela il tentativo estremo di Artaud di produrre nuovi effetti di senso fino alla possibilità estrema di una sua assenza, unita al sogno di una riconquista di una lingua originaria anteriore a Babele. Rifare il proprio corpo e rifare il linguaggio sono due processi che si svolgono in parallelo nella pratica artaudiana e che rivelano il tentativo di riappropriarsi di un sé che è minacciato di essere posseduto ed espropriato dall’Altro.

Attaud de-lira certamente, ma nelle sue glossolalie vi è piu’ che un delirio, vi è un progetto di pensiero molto determinato. La “messa- nudo” è insieme corporea e linguistica e va sicuramente nel senso di un’ascesi che contrasta con qualsiasi forma di esaltazione delle forme nude. Si potrebbe parlare piuttosto di “oscenità” della scrittura – e della postura – artaudiana.

Vediamone qualche esempio.

L’envoûtement de la râpe par tuméfaction du cerveau avec le sexe contre la tuméfaction.

Les envoûtements par tuméfaction de la gorge.

Il n’y a pas de verso de l’existence qui détruisit l’esprit.

Tanak enik

Sumbez

Vertarah

Enikt

Turbié

Dehi. 13

E proseguendo, nello stesso quaderno,

Les douleurs sont du théâtre et en elles en viennent

Les chagrins en sont et ils en viennnent.

La propriété corps est le croc

Il n’y a pas de propriété esprit.

Et je leurs ai foutu des raclées triomphales,

Sans penser,

En luttant et en combattant.

Les Etres sont indécrottables et on ne peut pas leur dire d’où ils viennent prace qu’il ne sont même pas

Venus.

Les choses sont faites pour être toujours là

Et ne pas disparaître.

Où iraient-elles?

Dans les planètes contenantes?

Ou dans leurs boîtes?

La loi de la vie est la continuité, la permanence infinie.14

Artaud in queste pagine rifiuta lo spiritualismo della tradizione occidentale e afferma l’inesistenza dello spirito, del Geist: esiste solo il corpo nella sua materialità, nella sua immanenza al di là della quale non si può andare.

Le glossolalie vanno nella direzione della messa-a-nudo di questa condizione radicale dell’uomo, il quale per conquistarsi deve vivere nella transitorietà della materia. Come rileva ancora Artaud,

L’Etre est que tout le disponible pour autre que moi m’a èté

Pros un jour

Et ils n’en ont fait que de la merde

Et il est resté moi, strict,

ce qui n’est pas si mal.

Moi j’ai fai tomber les hommes en corps

Et ils m’ont fait tomber en esprit.

Ce qui n’existe pas,

Et on l’a bien vu.

Mon esprit est vide,

Mon corps est plein. 15

Rifarsi un corpo significa prima di tutto disfare il proprio corpo “organico” per restituirgli quell’unità e quella continuità minacciata dal pensiero occidentale che, secondo la tradizione platonica, lo vede contrapposto all’anima.

Come ha rilevato F. Cambria,

La motilità è già sempre massa corporea, corpo da sempre formato in un movimento già sempre compiuto, e tuttavia mai ultimato. La massa corporea di tale motilità infatti “si indurisce e si appesantisce continuamente” perché continuamente prende luogo estendendosi, tendendosi oltre che come gesto.

I corpi, gli oggetti e le cose - scrive Artaud - non sono nati da uno spirito che progressivamente si sarebbe addensato, ma da un “corpo esistente” che ha modellato la matericità del proprio movimento già da sempre accaduto. In quanto movimento del tendere oltre, il gesto modellante è anche un passaggio attraverso il nulla, attraverso lo smembramento, dal quale “corpi, oggetti e cose” escono “già compiuti”, ossia già conformati, perché confromante è proprio il tendere oltre dell’estensione (…). 16

È proprio sulla matericità che Artaud insiste nelle pagine dei Quaderni, in rivolta contro una civiltà decadente che ha rinunciato a possedere il proprio corpo e che si è lasciata possedere da una spiritualità che non ha alcun fondamento.

Anche in Succubi e supplizi la volontà di opporre allo spirito il materialismo del corpo – che, occorre ripeterlo, è tutto il contrario di una sua esibizione – risulta evidente:

Le idee non avanzano senza membra, e allora non sono più idee ma membra, membra in guerra tra loro.

Il mondo del mentale non fu mai altro se non ciò che resta di uno schiacciamento infernale di organi quando l’uomo che ce li portò non è più.

È il pensiero del disotto che conduce,

non c’è affatto criterio di spirito, di giudizio,

lo spirito non è altro che memoria avventizia,

più un corpo è un corpo, più è lontano dallo spirito e dalla sua coscienza

e più possiede meriti in sé,

e più l’idea di merito fugge via, col suo valore e le sue qualità

e più la vita del corpo proprio gli impedisce di differenziarsi

contro valore e qualità

tra valore e qualità

e dispera la qualità di esistere;

e più il corpo risplende tutto intero nell’oblio del valore intrinseco,

e dello spirito della qualità

e più risplende e diventa concreto… 17.

La lotta contro gli spiriti e l’affatturamento raggiunge in queste pagine un notevole radicalismo che consente ad Artaud di mettere in discussione il linguaggio a partire da un materialismo che cerca di cogliere il “farsi” del corpo.

E astratto,

finalmente

lo sarai, uomo,

lo sarai,

uomo,

fino al corpo, fino a che, finalmente,

il corpo

si faccia avanti,

fino al punto

in cui il corpo

si fa avanti,

in cui si annuncia come un corpo,

di là dal concreto del corpo

detto concreto

dall’intelligenza

o la scienza. 18

Il corpo della scienza è dunque altra cosa rispetto al corpo proprio che l’autore intende “rifarsi” per dis-farsi della sua immagine costituita, istituzionalizzata dalla cultura: il “corpo senza organi” è quell’unità in divenire che sfugge alla sua sostanzializzazione, alla sua “biologizzazione”.

Questa riconquista della coporeità avviene anche attraverso una violenza fatta al linguaggio, spingendolo fino alla contraddizione, all’oscurità, alla tensione massima, anche attraverso l’uso delle glossolalie che, come ha mostrato P. Thévenin, non sono in nessun caso arbitrarie ma rispondono ad un progetto ben preciso di costruzione di una lingua universale non più mediata dalle convenzioni stabilite.

La punta estrema del misticismo,

la considero adesso nel reale e nel mio corpo,

come uno scopino da cesso.

Perché io, uomo vivo, sono una città assediata dall’esercito dei morti,

intercettato dai loro carnai,

tagliato fuori da ogni oggetto esterno, mentre sono l’esterno di un morto, io,

e quelli che mi attaccano

sono fuori,

e si agitano al didentro,

al didentro del mio corpo tagliano il filo dell’antenna ner-

vosa, attraverso cui devo strigliargli il corpo… 19.

Artaud rigetta l’ascesi tradizionale, per sostituirvi un complesso processo di ricostruzione del corpo che utilizza tutti mezzi, rivisti, del teatro della crudeltà.

Il corpo non deve essere nudo ma “messo a nudo”, anche attraverso la messa in rilievo delle sue funzioni più basse. Il “basso” semmai rivela la vera natura del corpo, la sua grande energia, la sola realtà davvero esistente che nega qualsiasi “al di là”.

Niente principio,

niente asse,

niente mezzo,

niente strada.

Le cose non cominciano affatto,

per la buona ragione che non sono,

e che ci sono solo corpi

oggetti,

che non sono cose ma corpi e oggetti inqualificabili,

e tanto più concreti che sono indeterminati.20

Artaud rigetta l’istituirsi del corpo nella società e rivendica la necessità di “farsi da sé il proprio corpo” in antitesi con il simbolismo condiviso.

Il “nuovo” teatro della crudeltà consiste dunque nel “mettersi a nudo” per sbarazzarsi dell’oscenità del mondo sociale e delle sue convenzioni.

Tale teatro consiste in una rappresentazione senza scena, in cui ciò che viene messo in gioco è il “corpo proprio”, in un rituale che mira a scongiurare l’emprise dell’Altro, il proprio spossessamento da parte delle istituzioni.

Si tratta altresì di sfuggire alla logica della genealogia e della riproduzione, che Artaud respinge insieme all’ordine simbolico del Padre, sempre al limite della perdita del sé.

E da dove uscì allora lo spirito?

Dalla spulciatura della mia terra fatta da tutte le larve padre o

Madre

Che non hanno smesso di grattare in me, di sondare, di offuscare il re, di mostrarsi, di scomparire, di corrodere, di livellare, ecc., ecc..

Ma non è il vero lato.

Il mio stato è molto più astratto

E vi sono caduto soltanto per cedimento patologico di coscienza,

è la concretezza dell’autentico lato.

La coscienza trema di essere scacciata.

Ma non è la mia, lei ha voluto essere me,

e penetrarmi da capo a piedi.21

3. Conclusioni: Corpo, nudità e istituzioni.

In quest’ultima parte del nostro articolo non cercheremo di tornare sulla questione dei rapporti tra Artaud e la follia, ampiamente trattata dalla letteratura secondaria; si tratterà piuttosto di approfondire il tema dell’ “auto-istituzione” del corpo tentata da Artaud nei suoi ultimi scritti e della sua rivolta contro le istituzioni sociali nel loro complesso.

Come ha rilevato Dumouillé nel suo saggio del 1996,

Nel condannare, negli ultimi testi, la mistica, egli ribalta il senso di quell’esperienza per trarne un “materialismo assoluto”.

L’infinito, egli dice, è il corpo, ed io sono, assolutamente, il mio corpo. Infinito non come stato ma come lavorio di un’instancabile crudeltà che si esercita proprio sul corpo anatomico per fabbricare il “corpo-senza-organi”. Il corpo, l’io-corpo, non sarà forse un altro supporto, infinitamente crivellato ma, come la mitica membrana, in grado di ricomporsi all’infinito? .22

L’autore francese cerca di sottrarre il proprio corpo all’imposizione di una società che cerca di “istituirlo” in base alla genealogia, prima di tutto, assegnandolo a un padre ed una madre, e poi di fissarlo in un’immagine pubblica “accettabile”, riconosciuta da tutti.

È questo che per Artaud risulta inaccettabile nel contesto di un pensiero “materialista” e autonomo da condizionamenti.

Come afferma nella Lettera ai balinesi,

Ma chi non vede l’azione e la creazione

Se non in un dinamismo mai caratterizzato, mai situato,

mai definito,

dove l’invenzione continua è legge,ù e il mio capriccio e dove tutto ha valore

solo attraverso lo choc e l’infra-choc

senza che sia possibile attribuire a qualsiasi cosa una virtù logica

o dialettica caratterizzata

in quanto il motivo

respinge la vista dello spirito e l’influenza dello spirito,

da cui prende forma, volume, tono, fulgore, non posso vedere che appaiano degli elementi,

dei principi, delle essenze,

o delle qualità, delle virtù

o soprattutto DEGLI ESSERI. 23

La Metafisica stessa istituisce il rapporto tra il corpo e lo spirito e costringe il primo ad essere mero “carcere” del secondo, bloccando la “materia vibratile dei disegni dei corpi e della pittura”.

Il movimento “contro-istitutivo” del corpo artaudiano cerca di mettere fine a questa subordinazione e questa falsa interpretazione della realtà.

La lotta per la riappropriazione istitutiva del proprio corpo ha impegnato dunque Artaud per tutti gli anni del ricovero a Rodez e anche in quelli trascorsi a Ivry, in una lotta incessante con gli spiriti che lo ossessionavano e contro l’incomprensione degli uomini.

Come ha rilevato F. Cambria,

I miti, scriveva Artaud, vanno danzati fino in fondo, fino al loro tramonto. Già acquisire la consapevolezza di questa necessità vorrebbe dire attingere un grado di crudeltà efficace sia sul piano etico, sia su quello politico.

La sua efficacia non si esprime però nella forma di una illusoria liberazione dai miti, ma nell’esatto contrario: nella consapevolezza cioè che i miti entro i quali un’umanità si racconta necessariamente tramontano per dar luogo a nuovi miti conformi, che dissacreranno e riconsacreranno a loro volta corpi e funzioni determinate, slanciandosi nell’impermanenza del loro dramma.24

Se “istituire” significa “affermare”, “tenere fermo”, “rendere saldo”, Artaud lotta proprio per mettere in discussione le istituzioni attaraverso la “messa-a-nudo” delle contraddizioni insite nel corpo “socializzato”, contro qualsiasi uso sociale del corpo proprio e contro la sessualità sfrenata che gli sembrava caratterizzare il mondo contemporaneo.

Per questo, la dis-istuzionalizzazione del corpo va di pari passo con la critica della concezione occidentale del corpo o come involucro da esibire oppure come “carcere”.

La liberazione del gesto è lo scopo ultimo del “secondo teatro della crudeltà” di Artaud, un teatro ormai lontano dalle scene e sempre più legato al corpo dell’artista e alla sua materialità.

Come egli ripete nella Lettera ai balinesi,

Sono un corpo/ una massa, / un peso/ una superficie, / un volume/, una dimensione,/ un lato/, un versante/, una facciata/, una parete/, una lateralità/…..25

Rottura con i concetti tradizionali di spazio e di tempo, ma anche con quel corpo che abbiamo sempre creduto di possedere e del quale invece siamo espropriati fin dalla nascita….

1 C. Dumouillé, Antonin Artaud. Genova, Costa e Nolan, 1998, pp. 15-16.

2 A. Artaud, Oe.C.I, tome 1. Paris, Gallimard, 1965, p. 185 (trad. modificata).

3 Ivi, p. 115.

4 C. Dumouillé, Artaud.., cit., p. 31.

5 A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, Einaudi, Torino, 2001, pp. 148-150.

6 C. Dumouillé, Artaud, cit., pp. 86-87.

7 A. Artaud, Oe.C. VIII, p.161, trad. nostra.

8 A. Artaud, Oe.c. IX, p.35, cit in Dumouillé, p. 99, trad. modificata.

9 Ivi, p. 11 (trad. nostra).

10 C. Dumouillé, Artaud.., cit.,p. 108.

11 J. Evola, La tradition hermétique. Ed. Traditionnelles, Paris 1990, p. 11.

12 C. Dumouillé, Artaud, cit., p. 155.

13 A. Artaud, Oe.C., XXV. Gallimard, Paris 1990, p. 47.

14 Ivi, p. 58.

15 Ivi, p. 59.

16 F. Cambria, Far danzare l’anatomia. Itinerari del corpo simbolico in Antonin Artaud, ETS, Pisa 2007, p. 231.

17 A. Artaud, Succubi e supplizi, ed. it. Adelphi, Milano 2004, pp. 196-197.

18 Ivi, p. 198.

19 ivi, p. 217.

20 ivi, p.227.

21 ivi, p.254-255.

22 C. Dumouillé, Artaud, cit., p. 171.

23 Ivi, p. 173.

24 F. Cambria, Far danzare.., cit., p. 241.

25 A. Artaud, Lettera ai balinesi, in CsO: il corpo senz’organi, a cura di M. Dotti. Mimesis, Milano 2003, pp. 69-70.

 


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