cfr. la nota introduttiva
È mia opinione che i criteri di giudizio di tipo
artistico o estetico siano, nei confronti di Duchamp, fortemente limitativi
e inadeguati.
Le operazioni duchampiane usano solo accidentalmente
il sistema dell'arte e mirano in sostanza, nell'atto stesso in cui disgregano
e oltrepassano il costrutto teorico relativo all'artistico e all'estetico,
a porre dei problemi generali di tipo logico ed epistemologico.
Il Duchamp della critica d'arte è una delle più
grosse mistificazioni di questo secolo messa in opera per esigenze di
mercato e per la necessità della « cultura » di ricondurre
alla chiacchiera e alla banalità un contenuto
che la deborda e la oltrepassa da ogni lato (1).
L'atteggiamento di Duchamp è quello di una radicale
rimessa in questione delle strutture epistemiche del sapere.
Questo suo atteggiamento si ricava immediatamente da
due sue espressioni particolarmente significative.
In un'intervista a Seitz egli dichiarò che era
necessario «... spingere l'idea di dubbio di Descartes
molto più lontano di quanto abbiano mai fatto nella scuola cartesiana...»
(2).
In una nota del 1913 egli definisce il «possibile»
come «... un 'mordant' * physique (* genre
vitriol) brûlant toute esthétique...» (3).
Si tratta dunque per Duchamp di una applicazione radicale
e metodica del dubbio, si tratta di riattivare il possibile
reso inerte dalla ovvietà e dalla ripetizione, di pensare
fino in fondo la realtà per disgregarla con lo strumento
implacabile di una rigorosa e tagliente logica analitica.
In Duchamp l'incontro col mondo si risolve a livello
corticale: si tratta di ritirare da esso ogni investimento affettivo
e di pensarlo rigorosamente fino in fondo; si tratta di assorbirlo integralmente
nella mente per poter operare sui suoi termini essenziali e restituirlo,
alla fine, contraddetto e negato.
Egli consuma la situazione nel pensiero, la scompone
logicamente, ne ricava ogni possibile implicazione e, alla fine, con
un gesto concettuale premeditato, interviene sul fatto, ne fa emergere
le smagliature della trama logica e ne incrina così la possibilità
di continuare ad essere.
L'interesse per l'arte fu in Duchamp appena marginale
e accidentale; al di là dell'arte egli mirava ad aggredire e
dissolvere il costrutto teorico sulla realtà nel suo complesso.
Per ciò che si riferisce all'arte, si tratta di
colpire a morte la sua stessa possibilità teorica.
L'arte è un territorio dell'esperienza nel quale
i conti non tornano; in essa c'è sempre un resto che sfugge...
Duchamp ne smonta il dispositivo teorico e ne mette a nudo le contraddizioni,
le assenze, le insostenibili ambiguità.
Le considerazioni che egli ha fatto sull'arte e le operazioni
da lui svolte, sono in sostanza delle sottili insinuazioni concettuali
che tendono a dissociarla dalle fondamenta.
Attraverso una lucida e rigorosa applicazione della scepsi
di origine cartesiana, Duchamp ricava dal sistema teorico dell'arte
e della valutazione le estreme implicazioni logiche e, così facendo,
lo fa esplodere e lo annienta: l'arte, pensata fino in fondo, si contraddice
e si nega.
L'eliminazione delle contraddizioni dell'arte può
realizzarsi soltanto attraverso l'eliminazione dei resti che
la sua messa in opera produce...
I resti dell'arte sono numerosi e di vario tipo:
1) L'opera d'arte è costruita su un'assenza; l'atto
creativo realizza sempre qualcosa che era non consapevole e non intenzionale
mentre buona parte del progetto originale va perduta.
Duchamp ha chiaramente indicata questa assenza costitutiva
dell’opera ed in essa ha individuato la manchevolezza e l'impotenza
dell'atto artistico: « ... Pendant l'acte de création,
l'artiste va de 1’intention à la réalisation...
La lutte vers la réalisation est une série d'efforts,
de douleur, de satisfaction, de refus, de décisions qui ne peuvent
ni ne doivent être pleinement conscients... Le résultat
de cette lutte est une différence entre l’intention et
la réalisation... En fait, un chaînon manque a la chaîne
des reactions qui accompagnent l'acte de création; cette coupure
qui représente l'impossibilité pour l’artiste d'exprimer
complètement son intention, cette différence entre ce
qu'il avait projeté de réaliser et ce qu'il a réalisé
est le «coefficient d'art» personnel contenu dans l'oeuvre.
En d'autres termes, le «coefficient
d'art» personnel est comme une relation arithmétique entre
«ce qui est inexprimé mais était projeté
» et «ce qui est exprimé inintentionnellement...»
(4).
«... L'arte è, in realtà,
l'anello mancante, non quelli che esistono. Arte non è quello
che tu vedi, arte è gap…»(5).
E dunque, la differenza tra intenzione e realizzazione
non dà per resto zero, intenzione e realizzazione non coincidono
e il loro sfalsamento produce un resto che sfugge, un residuo non assimilato
nel calcolo. Si tratta dunque di eliminare questo primo resto.
Duchamp pensa a come abolire dal suo lavoro la possibilità
della presenza di un sostrato inconscio e non intenzionale e a come
realizzare un atto pieno, assolutamente presente a se stesso.
Di Kandinsky scrisse nel 1943: «...In
tracing his lines with ruler and compass, Kandinsky opened to the spectator
a new way of looking at painting. It was no more the lines of the subconscious,
but a deliberate condemnation of the emotional; a clear transfer of
thought on canvas...» (6).
Parlando del significato che per lui aveva avuto la «Macinatrice
di cioccolato», Duchamp dimostra chiaramente di essere alla ricerca
di un tipo di espressione priva di ambiguità e di assenze: «
... Je voulais revenir a un dessin absolument sec, à la
composition d'un art sec, et quel meilleur exemple de ce nouvel
art que le dessin mécanique...» (7).
E dunque, il primo resto dell'arte scompare tanto
più quanto più si elimina la presenza umana dall'opera.
Il ready-made è il risultato estremo dei tentativi duchampiani
di ridurre ed eliminare il «coefficiente d'arte personale».
Nell'oggetto bello e fatto la presenza umana dal punto di vista
dell'intenzione artistica, è ridotta a zero; qui l'intervento
non produce resti.
2) II fatto che l'arte abbia una destinazione sociale
e diventi un «oggetto economico» contraddice la sua «purezza»
ed il suo essere «valore».
E dunque un nuovo resto. Il valore spirituale
dell'oggetto artistico e la sua destinazione sociale non sono
sovrapponibili. Il valore, calato nella mondanità, produce un
nuovo resto, un altro residuo non assimilabile al calcolo dello
spirito.
Duchamp affermò più volte la
sua preferenza per l'«arte » degli scacchi per la sua indisponibilità
all'economia: «...gli scacchi non hanno alcuna destinazione sociale...»
(8), essi sono più puri dell'arte perché
con essi «...non si possono far soldi...»
(9).
Ma anche in questo caso la soluzione a questa contraddizione
dell'arte è offerta dal ready-made. Il ready-made inflaziona
la sacralità dell’originale, demolisce il valore,
fa esplodere la categoria stessa di oggetto artistico. La possibilità
del resto è anche questa volta annientata.
3) L'opera d'arte, paradossalmente, è tale solo
nell'atto ulteriore del giudizio e della valutazione, e questo atto,
inoltre, è gratuito, accidentale e mutevole o, si potrebbe aggiungere,
premeditato dal potere culturale.
«..Des millions d'artistes créent,
quelques milliers seulement sont discutés ou acceptés
par le spectateur et moins encore sont consacrés par la postérité.
En dernière analyse l’artiste
peut crier sur tous les toits qu'il a du génie, il devra attendre
le verdict du spectateur pour que ses déclarations prennent une
valeur sociale et que finalement la postérité
le cite dans les manuels d'histoire de l'art... l’artiste... ne
joue aucun rôle dans le jugement de son oeuvre...Somme toute,
l’artiste n'est pas seul à accomplir l'acte de création
car le spectateur établit le contact de l’oeuvre avec le
monde extérieur en déchiffrant et en intérpretant
ses qualifications profondes et par là ajoute sa propre contribution
au processus créatif...» (10).
«... Ce sont les REGARDEURS
qui font les tableaux. On découvre aujourd'hui le Greco; le public
peint ses tableaux trois cents ans après l’auteur en titre...
» (11).
Altro resto. L'in
sé dell'opera ed il suo per me non coincidono, sembra
anzi che il suo in sé si costituisca soltanto nel giudizio,
nel punto di vista, e che perciò si dissolva nella accidentalità
e nella mutevolezza di questi.
Questa volta il resto è una potenza disgregatrice
che possiede l’impareggiabile capacità di ridurre ogni
essere ad un essere dell'apparenza. E allora, ancora il
ready-made come strategia contro la potenza del resto. Il ready-made
non lascia luogo al per me, il suo essere e l'essere
della sua apparenza coincidono perfettamente. Il ready-made paralizza
il giudizio e nullifica il pubblico.
4) II territorio dell'arte è in sé mal
definito; dal punto di vista dei meccanismi soggettivi dell'espressione
l’arte perde la sua identità: «... l'art peut être
bon, mauvais ou indifférent mais que, quelle que soit l’épithète
employée, nous devons l’appeler art: un mauvais art est
quand même de l'art comme une mauvaise émotion est encore
une émotion. Donc quand plus loin je parle
de «coefficient d'art», il reste bien entendu que non seulement
j'emploie ce terme en relation avec le grand art mais aussi que j'essaie
de décrire le mécanisme subjectif qui produit une oeuvre
d'art a l'état brut, mauvais, bonne ou indifferente... »
(12).
Ancora uno sfasamento e un resto. Fuori dall'espressione
artistica resta tutto il campo della espressività
e, ancora più in generale, della creatività. Ogni
delimitazione di confine risulta a questo punto rischiosa e infondata.
Il ready-made elimina questo resto eliminando
la possibilità stessa dell'espressione e della creazione. Il
ready-made non esprime e non crea assolutamente niente. Dietro di lui
non c'è il soggetto. L'intervento per cui esso è «scelto»
ed «esibito» è del tutto casuale e accidentale e
potrebbe indifferentemente essere compiuto da una macchina.
A questo punto il procedimento duchampiano è compiuto.
Un'applicazione lucida e implacabile del dubbio e della scepsi
di origine cartesiana ha disarticolato dalle fondamenta il sistema teorico
dell'arte. Per tutta una serie di nozioni, apparentemente scontate ('oggetto
artistico', 'valore', 'giudizio', 'originale', 'artisticità',
'creazione', 'interpretazione', 'fruizione', 'pubblico'...), Duchamp
ha dimostrato che i conti non tornano facendo vedere come da
ognuna di esse scaturisce un resto che sfugge al calcolo e che
costituisce un residuo capace in sé di provocare una radicale
rimessa in questione di tutto.
Come ho precedentemente affermato, Duchamp usa solo accidentalmente
il 'sistema dell'arte'; al di là dell'arte egli mira ad ambiti
e a significati più generali e più di fondo.
Il ready-made è la metafora del volto ambiguo
del futuro la cui scena si apre su una prospettiva doppia:
a) Tradotto in termini generali, il ready-made è
la possibilità aperta del pareggiamento dell'esperienza e dell'eliminazione
del resto; lo sforzo di Duchamp prefigura l'eventualità
di una adeguazione del mondo ad una trama mentale perfettamente rigorosa
e priva di resti.
La prospettiva, in questo caso, è quella del mondo
come organizzazione della esteriorità. Ma l'espressione
va chiarita.
L'«esteriorità» rimanda all'«interiorità»
cui si oppone, così come la «superficie» rimanda
al «volume» e l’«immagine» al «significato»...
Siamo dunque ancora lontano dalla prospettiva duchampiana.
Ciò che Duchamp indica è la possibilità
di un'invadenza totale di una esteriorità, di una superficie,
di una immagine, prive di un qualsiasi rimando all'interiorità,
allo spessore, al significato.. cioè la possibilità aperta
del mondo e della vita umana come ready-mades.
Se nessun resto deve esserci, nulla deve esserci
al di là del ready-made totale: la vita umana è ormai
soltanto una traccia di assenza.
Duchamp ha chiaro tutto questo, egli capisce che l'eliminazione
del resto coincide con la disumanizzazione della vita umana:
«... C'est naturellement en essayant de tirer une
conclusion ou une conséquence quelconque de cette déshumanisation
de l'oeuvre d'art que j'en suis venu a conçevoir les ready-mades...
» ".
b) Ma la indicazione di Duchamp può essere diversa.
La sua è come una dimostrazione per assurdo dell'assoluta
necessità del resto.
Come ho detto sopra, il volto del futuro è ambiguo.
L'eliminazione rigorosa del resto conduce alla
disumanizzazione della vita umana: forse un nuovo movimento nasce ora
dalla precoscienza di questo pericolo mortale.
Alla prospettiva di un mondo privo di resti, in
cui tutti i conti tornano, si sostituisce l'altra di un mondo in cui
i resti crescono e si accumulano e producono nuovi resti
la cui somma è sempre e solo la potenza unita di ciò
che resta.
Al pareggiamento dell'esperienza e all'eliminazione del
resto, succede qui la dilatazione del resto e la fine
dell'operazione.
Il futuro è dunque aperto su una prospettiva doppia.
Il gioco si gioca ancora. La partita è tra noi, il ready-made
e il resto.
Note
(1) Ho tentato di dimostrare
questo in una mostra-documentaria, accompagnata da un saggio Sulle
funzioni della critica d'arte e una messa a punto a proposito di Marcel
Duchamp, Mario Ricciardi Editore (Torre Annunziata 1976), tenuta
a Napoli e a Roma nel corso del 1977. Nella cultura italiana, il carattere
logico-epistemologico delle operazioni duchampiane è stato meglio
intravisto, a mio avviso, da E. Migliorini.
(2) M. Duchamp intervistato da Seitz, in W. C.
SEITZ, What's Happened to Art? intervista con Duchamp, in «
Vogue », n. 4, New York, 15 febbraio 1965,
p.113. Riportato da A. SCHWARZ, La sposa messa a nudo in Marcel Duchamp,
anche. Einaudi, Torino 1974, p. 42. (3) M. Duchamp,
Marchand du sei. Le Terrain Vague, Paris 1968, p. 176.
(4) Duchamp riportato da Schwarz, in A. SCHWARZ,
op. cit., pp. 278-79.
(5) M. Duchamp, op. cit., p. 131.
(6) Ibidem, p. 154 sgg.
(7) A. Schwarz, op. cit., p. 88.
(8) Ivi.
(9) M. Duchamp, op. cit., p. 170 sgg.
(10) Ibidem, p. 173.
(11) Ibidem, p. 171.
(12) Ibidem, p. 154.