indice del numero 4

 

 

 

 

Duchamp e il «resto»

di Mario Costa

cfr. la nota introduttiva


È mia opinione che i criteri di giudizio di tipo artistico o estetico siano, nei confronti di Duchamp, fortemente limitativi e inadeguati.

Le operazioni duchampiane usano solo accidentalmente il sistema dell'arte e mirano in sostanza, nell'atto stesso in cui disgregano e oltrepassano il costrutto teorico relativo all'artistico e all'estetico, a porre dei problemi generali di tipo logico ed epistemologico.

Il Duchamp della critica d'arte è una delle più grosse mistificazioni di questo secolo messa in opera per esigenze di mercato e per la necessità della « cultura » di ricondurre alla chiacchiera e alla banalità un contenuto che la deborda e la oltrepassa da ogni lato (1).

L'atteggiamento di Duchamp è quello di una radicale rimessa in questione delle strutture epistemiche del sapere.

Questo suo atteggiamento si ricava immediatamente da due sue espressioni particolarmente significative.

In un'intervista a Seitz egli dichiarò che era necessario «... spingere l'idea di dubbio di Descartes molto più lontano di quanto abbiano mai fatto nella scuola cartesiana...» (2).

In una nota del 1913 egli definisce il «possibile» come «... un 'mordant' * physique (* genre vitriol) brûlant toute esthétique...» (3).

Si tratta dunque per Duchamp di una applicazione radicale e metodica del dubbio, si tratta di riattivare il possibile reso inerte dalla ovvietà e dalla ripetizione, di pensare fino in fondo la realtà per disgregarla con lo strumento implacabile di una rigorosa e tagliente logica analitica.

In Duchamp l'incontro col mondo si risolve a livello corticale: si tratta di ritirare da esso ogni investimento affettivo e di pensarlo rigorosamente fino in fondo; si tratta di assorbirlo integralmente nella mente per poter operare sui suoi termini essenziali e restituirlo, alla fine, contraddetto e negato.

Egli consuma la situazione nel pensiero, la scompone logicamente, ne ricava ogni possibile implicazione e, alla fine, con un gesto concettuale premeditato, interviene sul fatto, ne fa emergere le smagliature della trama logica e ne incrina così la possibilità di continuare ad essere.

L'interesse per l'arte fu in Duchamp appena marginale e accidentale; al di là dell'arte egli mirava ad aggredire e dissolvere il costrutto teorico sulla realtà nel suo complesso.

Per ciò che si riferisce all'arte, si tratta di colpire a morte la sua stessa possibilità teorica.

L'arte è un territorio dell'esperienza nel quale i conti non tornano; in essa c'è sempre un resto che sfugge... Duchamp ne smonta il dispositivo teorico e ne mette a nudo le contraddizioni, le assenze, le insostenibili ambiguità.

Le considerazioni che egli ha fatto sull'arte e le operazioni da lui svolte, sono in sostanza delle sottili insinuazioni concettuali che tendono a dissociarla dalle fondamenta.

Attraverso una lucida e rigorosa applicazione della scepsi di origine cartesiana, Duchamp ricava dal sistema teorico dell'arte e della valutazione le estreme implicazioni logiche e, così facendo, lo fa esplodere e lo annienta: l'arte, pensata fino in fondo, si contraddice e si nega.

L'eliminazione delle contraddizioni dell'arte può realizzarsi soltanto attraverso l'eliminazione dei resti che la sua messa in opera produce...

I resti dell'arte sono numerosi e di vario tipo:

1) L'opera d'arte è costruita su un'assenza; l'atto creativo realizza sempre qualcosa che era non consapevole e non intenzionale mentre buona parte del progetto originale va perduta.

Duchamp ha chiaramente indicata questa assenza costitutiva dell’opera ed in essa ha individuato la manchevolezza e l'impotenza dell'atto artistico: « ... Pendant l'acte de création, l'artiste va de 1’intention à la réalisation... La lutte vers la réalisation est une série d'efforts, de douleur, de satisfaction, de refus, de décisions qui ne peuvent ni ne doivent être pleinement conscients... Le résultat de cette lutte est une différence entre l’intention et la réalisation... En fait, un chaînon manque a la chaîne des reactions qui accompagnent l'acte de création; cette coupure qui représente l'impossibilité pour l’artiste d'exprimer complètement son intention, cette différence entre ce qu'il avait projeté de réaliser et ce qu'il a réalisé est le «coefficient d'art» personnel contenu dans l'oeuvre.

En d'autres termes, le «coefficient d'art» personnel est comme une relation arithmétique entre «ce qui est inexprimé mais était projeté » et «ce qui est exprimé inintentionnellement...» (4).

«... L'arte è, in realtà, l'anello mancante, non quelli che esistono. Arte non è quello che tu vedi, arte è gap…»(5).

E dunque, la differenza tra intenzione e realizzazione non dà per resto zero, intenzione e realizzazione non coincidono e il loro sfalsamento produce un resto che sfugge, un residuo non assimilato nel calcolo. Si tratta dunque di eliminare questo primo resto.

Duchamp pensa a come abolire dal suo lavoro la possibilità della presenza di un sostrato inconscio e non intenzionale e a come realizzare un atto pieno, assolutamente presente a se stesso.

Di Kandinsky scrisse nel 1943: «...In tracing his lines with ruler and compass, Kandinsky opened to the spectator a new way of looking at painting. It was no more the lines of the subconscious, but a deliberate condemnation of the emotional; a clear transfer of thought on canvas...» (6).

Parlando del significato che per lui aveva avuto la «Macinatrice di cioccolato», Duchamp dimostra chiaramente di essere alla ricerca di un tipo di espressione priva di ambiguità e di assenze: « ... Je voulais revenir a un dessin absolument sec, à la composition d'un art sec, et quel meilleur exemple de ce nouvel art que le dessin mécanique...» (7).

E dunque, il primo resto dell'arte scompare tanto più quanto più si elimina la presenza umana dall'opera. Il ready-made è il risultato estremo dei tentativi duchampiani di ridurre ed eliminare il «coefficiente d'arte personale». Nell'oggetto bello e fatto la presenza umana dal punto di vista dell'intenzione artistica, è ridotta a zero; qui l'intervento non produce resti.

2) II fatto che l'arte abbia una destinazione sociale e diventi un «oggetto economico» contraddice la sua «purezza» ed il suo essere «valore».

E dunque un nuovo resto. Il valore spirituale dell'oggetto artistico e la sua destinazione sociale non sono sovrapponibili. Il valore, calato nella mondanità, produce un nuovo resto, un altro residuo non assimilabile al calcolo dello spirito.

Duchamp affermò più volte la sua preferenza per l'«arte » degli scacchi per la sua indisponibilità all'economia: «...gli scacchi non hanno alcuna destinazione sociale...» (8), essi sono più puri dell'arte perché con essi «...non si possono far soldi...» (9).

Ma anche in questo caso la soluzione a questa contraddizione dell'arte è offerta dal ready-made. Il ready-made inflaziona la sacralità dell’originale, demolisce il valore, fa esplodere la categoria stessa di oggetto artistico. La possibilità del resto è anche questa volta annientata.

3) L'opera d'arte, paradossalmente, è tale solo nell'atto ulteriore del giudizio e della valutazione, e questo atto, inoltre, è gratuito, accidentale e mutevole o, si potrebbe aggiungere, premeditato dal potere culturale.

«..Des millions d'artistes créent, quelques milliers seulement sont discutés ou acceptés par le spectateur et moins encore sont consacrés par la postérité.

En dernière analyse l’artiste peut crier sur tous les toits qu'il a du génie, il devra attendre le verdict du spectateur pour que ses déclarations prennent une valeur sociale et que finalement la postérité le cite dans les manuels d'histoire de l'art... l’artiste... ne joue aucun rôle dans le jugement de son oeuvre...Somme toute, l’artiste n'est pas seul à accomplir l'acte de création car le spectateur établit le contact de l’oeuvre avec le monde extérieur en déchiffrant et en intérpretant ses qualifications profondes et par là ajoute sa propre contribution au processus créatif...» (10).

«... Ce sont les REGARDEURS qui font les tableaux. On découvre aujourd'hui le Greco; le public peint ses tableaux trois cents ans après l’auteur en titre... » (11).

Altro resto. L'in sé dell'opera ed il suo per me non coincidono, sembra anzi che il suo in sé si costituisca soltanto nel giudizio, nel punto di vista, e che perciò si dissolva nella accidentalità e nella mutevolezza di questi.

Questa volta il resto è una potenza disgregatrice che possiede l’impareggiabile capacità di ridurre ogni essere ad un essere dell'apparenza. E allora, ancora il ready-made come strategia contro la potenza del resto. Il ready-made non lascia luogo al per me, il suo essere e l'essere della sua apparenza coincidono perfettamente. Il ready-made paralizza il giudizio e nullifica il pubblico.

4) II territorio dell'arte è in sé mal definito; dal punto di vista dei meccanismi soggettivi dell'espressione l’arte perde la sua identità: «... l'art peut être bon, mauvais ou indifférent mais que, quelle que soit l’épithète employée, nous devons l’appeler art: un mauvais art est quand même de l'art comme une mauvaise émotion est encore une émotion. Donc quand plus loin je parle de «coefficient d'art», il reste bien entendu que non seulement j'emploie ce terme en relation avec le grand art mais aussi que j'essaie de décrire le mécanisme subjectif qui produit une oeuvre d'art a l'état brut, mauvais, bonne ou indifferente... » (12).

Ancora uno sfasamento e un resto. Fuori dall'espressione artistica resta tutto il campo della espressività e, ancora più in generale, della creatività. Ogni delimitazione di confine risulta a questo punto rischiosa e infondata.

Il ready-made elimina questo resto eliminando la possibilità stessa dell'espressione e della creazione. Il ready-made non esprime e non crea assolutamente niente. Dietro di lui non c'è il soggetto. L'intervento per cui esso è «scelto» ed «esibito» è del tutto casuale e accidentale e potrebbe indifferentemente essere compiuto da una macchina.

A questo punto il procedimento duchampiano è compiuto. Un'applicazione lucida e implacabile del dubbio e della scepsi di origine cartesiana ha disarticolato dalle fondamenta il sistema teorico dell'arte. Per tutta una serie di nozioni, apparentemente scontate ('oggetto artistico', 'valore', 'giudizio', 'originale', 'artisticità', 'creazione', 'interpretazione', 'fruizione', 'pubblico'...), Duchamp ha dimostrato che i conti non tornano facendo vedere come da ognuna di esse scaturisce un resto che sfugge al calcolo e che costituisce un residuo capace in sé di provocare una radicale rimessa in questione di tutto.

Come ho precedentemente affermato, Duchamp usa solo accidentalmente il 'sistema dell'arte'; al di là dell'arte egli mira ad ambiti e a significati più generali e più di fondo.

Il ready-made è la metafora del volto ambiguo del futuro la cui scena si apre su una prospettiva doppia:

a) Tradotto in termini generali, il ready-made è la possibilità aperta del pareggiamento dell'esperienza e dell'eliminazione del resto; lo sforzo di Duchamp prefigura l'eventualità di una adeguazione del mondo ad una trama mentale perfettamente rigorosa e priva di resti.

La prospettiva, in questo caso, è quella del mondo come organizzazione della esteriorità. Ma l'espressione va chiarita.

L'«esteriorità» rimanda all'«interiorità» cui si oppone, così come la «superficie» rimanda al «volume» e l’«immagine» al «significato»... Siamo dunque ancora lontano dalla prospettiva duchampiana.

Ciò che Duchamp indica è la possibilità di un'invadenza totale di una esteriorità, di una superficie, di una immagine, prive di un qualsiasi rimando all'interiorità, allo spessore, al significato.. cioè la possibilità aperta del mondo e della vita umana come ready-mades.

Se nessun resto deve esserci, nulla deve esserci al di là del ready-made totale: la vita umana è ormai soltanto una traccia di assenza.

Duchamp ha chiaro tutto questo, egli capisce che l'eliminazione del resto coincide con la disumanizzazione della vita umana:

«... C'est naturellement en essayant de tirer une conclusion ou une conséquence quelconque de cette déshumanisation de l'oeuvre d'art que j'en suis venu a conçevoir les ready-mades... » ".

 

b) Ma la indicazione di Duchamp può essere diversa.

La sua è come una dimostrazione per assurdo dell'assoluta necessità del resto.

Come ho detto sopra, il volto del futuro è ambiguo.

L'eliminazione rigorosa del resto conduce alla disumanizzazione della vita umana: forse un nuovo movimento nasce ora dalla precoscienza di questo pericolo mortale.

Alla prospettiva di un mondo privo di resti, in cui tutti i conti tornano, si sostituisce l'altra di un mondo in cui i resti crescono e si accumulano e producono nuovi resti la cui somma è sempre e solo la potenza unita di ciò che resta.

Al pareggiamento dell'esperienza e all'eliminazione del resto, succede qui la dilatazione del resto e la fine dell'operazione.

Il futuro è dunque aperto su una prospettiva doppia. Il gioco si gioca ancora. La partita è tra noi, il ready-made e il resto.



Note

 

(1) Ho tentato di dimostrare questo in una mostra-documentaria, accompagnata da un saggio Sulle funzioni della critica d'arte e una messa a punto a proposito di Marcel Duchamp, Mario Ricciardi Editore (Torre Annunziata 1976), tenuta a Napoli e a Roma nel corso del 1977. Nella cultura italiana, il carattere logico-epistemologico delle operazioni duchampiane è stato meglio intravisto, a mio avviso, da E. Migliorini.

(2) M. Duchamp intervistato da Seitz, in W. C. SEITZ, What's Happened to Art? intervista con Duchamp, in « Vogue », n. 4, New York, 15 febbraio 1965, p.113. Riportato da A. SCHWARZ, La sposa messa a nudo in Marcel Duchamp, anche. Einaudi, Torino 1974, p. 42. (3) M. Duchamp, Marchand du sei. Le Terrain Vague, Paris 1968, p. 176.

(4) Duchamp riportato da Schwarz, in A. SCHWARZ, op. cit., pp. 278-79.

(5) M. Duchamp, op. cit., p. 131.

(6) Ibidem, p. 154 sgg.

(7) A. Schwarz, op. cit., p. 88.

(8) Ivi.

(9) M. Duchamp, op. cit., p. 170 sgg.

(10) Ibidem, p. 173.

(11) Ibidem, p. 171.

(12) Ibidem, p. 154.

 


 

 

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