Patocka,
"filosofo resistente"
di Domenico Jervolino*
Jan Patocka (1907-1977) è un
pensatore che sempre più col passare degli anni emerge sullo
scenario europeo, non solo per la sua alta figura etico-politica, ma
anche per la sua opera filosofica: egli appare come una delle
personalità di primo piano del "movimento fenomenologico", in
compagnia di autori come Merleau-Ponty, Fink, Landgrebe, Ricoeur, che
si collocano non solo dopo ma anche in qualche modo oltre
Husserl e Heidegger. Il grande linguista russo Roman Jakobson,
animatore del celebre "circolo linguistico di Praga", lo aveva
già annoverato, in un articolo appassionato, pubblicato dopo la
tragica morte del filosofo, fra le tre personalità filosofiche
ceche di livello mondiale, insieme al grande pedagogista del Seicento
Comenio e al fondatore e primo presidente della Repubblica cecoslovacca
T. G. Masaryk.
Patocka, che
era stato in gioventù uno degli ultimi discepoli di Husserl a
Friburgo, fu tra i principali animatori del Circolo filosofico di Praga
(costituito sul modello del Circolo linguistico), e tra gli
organizzatori nel 1935 della celebre conferenza del suo maestro,
conferenza che rappresentò il primo nucleo dell’opera postuma
husserliana su La crisi delle scienze europee e la
fenomenologia trascendentale. Secondo l’anziano filosofo, come
è noto, le scienze europee sono in crisi, nonostante i successi
del progresso tecnico-scientifico, perché esse hanno perso il
loro senso umano, che può essere recuperato solo a partire dal
loro radicarsi nel "mondo della vita". A questo tema il giovane
studioso dedicò la sua tesi di abilitazione all’insegnamento
universitario, presso l’Università Carlo, nel 1936 e si
adoperò, nel 1938, alla morte del maestro, che era di origine
ebraica e inviso al regime nazista, per il salvataggio della preziosa
eredità dei manoscritti husserliani, che sono ora conservati e
studiati nell’università cattolica di Lovanio, in Belgio.
Purtroppo, Patocka non ebbe vita facile.
Salvo brevi periodi dovette fare i conti prima con la barbarie
dell’occupazione tedesca e poi con il lungo inverno staliniano. Nel
1968, lo ritroviamo come uno dei protagonisti della breve "primavera"
di Praga. Poi deve affrontare la repressione e una nuova più
pesante emarginazione, costretto a dare seminari a un gruppo ristretto
di discepoli in un sottoscala, mentre i suoi scritti potevano circolare
solo in forma di dattiloscritti, clandestinamente. Fondatore e
portavoce di "Charta 77", movimento che rivendicava il rispetto dei
diritti sanciti dalla Costituzione ma negati dal regime, muore dopo
brutali interrogatori da parte della polizia in quello stesso anno, il
13 marzo 1977. All’opinione pubblica mondiale la sua figura appare come
quella del "filosofo resistente", secondo l’espressione del filosofo
francese Paul Ricoeur, come l’esempio di un "socratismo politico" che
testimonia con la vita e il sacrificio la dedizione alla libera ricerca
della verità.
La fenomenologia dell'esistenza umana
sviluppata da Patocka sottolinea come dato primario il carattere
corporeo e pratico-sociale della condizione umana e ne articola
l'analisi lungo la direttrice di tre "movimenti" fondamentali.
I tre movimenti fondamentali dell'esistenza
sono, secondo il nostro autore: a) il movimento dell'accettazione.
L'esistenza non è solo esser-gettati nel mondo, ma anche esservi
introdotti, accolti, radicarsi in esso. Quello che per le cose e per i
prodotti della natura è un puro adattamento meccanico o una
armonizzazione reciproca, per l'uomo diventa necessità di essere
introdotto nella comunità interumana. In questo modo il rapporto
con l'altro viene introdotto fin da principio. All'essere accettati
risponde il secondo movimento: b) il movimento della difesa o del
lavoro. Si può accettare l'altro solo esponendo se stessi,
provvedendo ai suoi bisogni non meno che ai nostri, e cioè
lavorando. Il lavoro è questo mettersi a disposizione e al tempo
stesso disporre degli altri che ha le sue radici nella vita stessa.
Questi due primi "movimenti" dell'esistenza, radicarsi nel mondo e
spendersi per sopravvivere, accettare e difendere la vita, sono
correlativi fra di loro e caratterizzano l'umano fin nella sua
pre-istoria. Ma anche l'uomo preistorico ha una oscura intuizione di
una di una forma superiore e più giusta di esistenza, che gli si
presenta come in una sorta di "metafora ontologica" nelle forme del
mito e del sacro.
Anche nell'uomo primitivo, in quanto umano,
è quindi presente in qualche modo il terzo movimento
dell'esistenza, l'essere per la verità, la ricerca del senso di
se stessi e del mondo. Questa lotta per il senso diventa il tema
proprio della storia, della politica e della filosofia per
quell'umanità "greca" e poi "europea", che ha inventato appunto
storia, filosofia e politica e che, nell'ottica di Patocka, deve
diventare, non solo idealmente,
umanità universale. La filosofia "eretica" della storia di
Patocka; la filosofia di questa lotta. Una
lotta
che comporta l'esperienza della traversata del deserto della
mancanza del senso, il confronto con l'esperienza globale del mondo
moderno che culmina nella crisi del nostro secolo di cui sono
espressione le "guerre del XX secolo e il XX secolo come guerra".
Questa lotta, che è il filo conduttore della storia, è
giunta oggi ad un punto critico decisivo. Per Patocka, "filosofo
resistente", la vita umana in tutte le sue forme contiene il germe di
una vita nella verità, verità finita, che
non vuol dire verità relativa, ma verità da riconquistare
sempre nella lotta quotidiana contro tutti i tentativi di ridurre
l’uomo a cosa, ad oggetto manipolabile. La posta in gioco è la
difesa militante dell'umanità dell'uomo contro il falso
razionalismo di una ragione strumentale, asservita ai totalitarismi
palesi o latenti nell'età delle guerre mondiali e della pace
post-bellica dominata dalla stessa logica manipolatrice e totalizzante
che si è manifestata nelle guerre del nostro secolo. Chiamato
dalla sorte a rivivere la figura "socratica" del filosofo testimone,
Patocka ci ammonisce ancora, ricordandoci
la sua strada per uscire dalla condizione tragica dell'uomo
contemporaneo: la solidarietà di coloro che non si rassegnano a
sopravvivere come meri ingranaggi di un sistema anonimo ed
alienante.
Dopo la morte di Patocka si assiste a una
progressiva diffusione della
sua opera, clandestina in patria, in Europa e nel mondo. In
particolare, in Francia e nel Belgio egli può considerarsi come
un protagonista postumo della rinascita degli studi
fenomenologici nell’ultimo ventennio. Ben tredici opere sono tradotte
in francese, in tedesco vengono pubblicati cinque grossi volumi di Scritti
scelti, mentre, seppure in misura minore, traduzioni sono
disponibili o progettate nelle altre principali lingue europee. In
Italia, dove fu pubblicato già nel 1970 il primo libro di
Patocka tradotto all’estero, Il senso dell’oggi in Cecoslovacchia,
edizioni
Lampugnani
Nigri,
Milano e poi nel 1981 i Saggi eretici
sulla filosofia della storia, Cseo, Bologna, più
recentemente Platone e l’Europa, è stato tradotto presso
Vita e Pensiero di Milano, nel 1997. Segnaliamo, inoltre, le lezioni su
Socrate, nella collezione "Testi a fronte", Rusconi, Milano 1999.
*Domenico Jervolino,
professore di filosofia teoretica e di filosofia del linguaggio
all’Università Federico II di Napoli, ha organizzato il convegno
internazionale di Napoli su Patocka del 1997, nel ventesimo
anniversario della scomparsa, e curato il successivo volume L’eredità
filosofica
di
Jan
Patocka a vent’anni dalla scomparsa, Cuen, Napoli
2000, che contiene tra l’altro una dettagliata bibliografia degli studi
italiani sull’Autore e delle traduzioni delle sue opere nelle
principali lingue europee.
Ha pubblicato inoltre su
Patocka diversi articoli, anche in francese, tedesco e ceco. Alcuni
articoli in italiano sono poi confluiti nel volume Le parole della
prassi. Saggi di ermeneutica, La Città del Sole, Napoli
1996.