Jean-Luc NANCY, L’intruso,
a cura di Valeria Piazza, Napoli, Cronopio,
2000 (tessere), 48 p., ISBN 88-85414-55-9, £ 12.000 (€ 6,20); L’Intrus,
Paris, Galilée, 2000 (Collection lignes fictives), 45 p., ISBN
2-7186-0539-1, 65 F
"Bisogna che vi sia un che di
intruso nello straniero che, altrimenti, perderebbe la sua estraneità"
(p. 11; 11), il che non sembra né logicamente, né eticamente
accettabile. Ma intruso è chi non è stato invitato, chi
si è imposto con la forza o l’astuzia, l’‘imbucato’ verso cui
si prova anche un senso di fastidio perché crea disordine nel
segreto dell’intimità. Accogliere uno straniero che non si lasci
semplicemente ‘naturalizzare’ significa provarne l’intrusione, letteralmente:
sulla propria pelle.
Nato a partire dalla sollecitazione
di una rivista, che ha dedicato un numero al tema "La venuta dello
straniero" ("Dédale", n. 9-10, 1999), L’intruso
di Jean-Luc Nancy racconta e riflette filosoficamente su che cosa significhi
vivere nel/col cuore di un altro, vivere grazie al dono della vita/della
morte di un altro. È l’autore stesso, cui è stato trapiantato
più di dieci anni fa il cuore di una donna, a presentarsi come
una specie di mutante che la tecnologia medica ha permesso, un sopravvissuto
al suo stesso sfacelo organico. Ed è l’autore stesso, con discrezione
e tatto, a ricordare le esperienze di estraneità rispetto al
proprio corpo che la malattia aveva innanzitutto sollecitato (quando,
per esempio, il ‘batticuore’ diventava il ‘cuore in gola’ come un cibo
indigesto) o ad indagare crudamente e mestamente sull’identità
paradossalmente rivendicata dal rigetto ed attutita dalla ciclosporina,
che abbassa le difese immunitarie e permette di sopportare l’estraneo,
assicurando la vita, ma consentendo peraltro anche l’impazzimento di
numerosi cicli vitali, il trionfo di infezioni endogene, la degenerazione
del cancro, con l’ulteriore seguito di cure invasive e devastanti.
Qual è il prezzo della sopravvivenza?
Ne valeva davvero la pena? Sono alcune domande che si pone Nancy. Ma
poi soprattutto: chi è mai questo strano io intruso a se stesso?
Chi è che riflette e scrive nella sua identità molteplice
e tecnologica? "Ciò che mi guarisce è ciò
che mi attacca e mi infetta, ciò che mi permette di vivere è
ciò che mi invecchia prematuramente. Il mio cuore ha vent’anni
meno di me e il resto del mio corpo ne ha (almeno) una dozzina in più.
Ringiovanito e invecchiato allo stesso tempo, non ho più un’età
propria e non ho più propriamente età" (p. 34; 41).
"Io sono la malattia e la medicina, io sono la cellula cancerosa
e l’organo trapiantato, io sono gli agenti immunodepressori e i loro
palliativi, io sono i pezzi di filo di ferro che tengono insieme il
mio sterno e io sono questo sito di iniezione cucito sotto la clavicola,
così com’ero già queste viti nell’anca e questa placca
nell’inguine. Divento come un androide della fantascienza o piuttosto
come un morto-vivente, come ha detto un giorno il mio ultimo figlio.
Noi, io e tutti i miei simili sempre più numerosi, siamo in effetti
l’inizio di una mutazione: l’uomo comincia a superare infinitamente
l’uomo (questo è ciò che ha sempre voluto dire ‘la morte
di dio’, in tutti i suoi sensi possibili). Egli diviene ciò che
è: il tecnico più terribile e inquietante, come Sofocle
aveva previsto venticinque secoli fa, colui che snatura e rifà
la natura, colui che ricrea la creazione, che la fa uscire dal niente
e che, forse, la riconduce a niente. Colui che è capace dell’origine
e della fine" (pp. 35-36; 42-44).
L’intruso, per Nancy, viene in realtà
da dentro, è "nessun altro se non me stesso e l’uomo stesso.
Non è nessun altro se non lo stesso che non smette mai di alterarsi,
insieme acuito e fiaccato, denudato e bardato, intruso nel mondo come
in se stesso, inquietante spinta dello strano, conatus di un’infinità
escrescente" (p. 37; 45).
Nell’intervista che segue nell’edizione
italiana ("Il taglio nel senso", pp. 39-48) Nancy riflette
poi soprattutto sul senso del dolore, anzi sul suo essere un non-senso,
un taglio nel senso, ciò di fronte a cui niente ha più
senso. "Sul dolore non c’è nulla da dire. Si può
solo gridare o gemere. Vorrei quasi dire: si deve solo gridare
o gemere e non fare né discorsi, né retorica" (p.
46). Nel dolore il senso si ritrae e l’individuo esprime la sua estraneità
a sé, il suo essere esposto all’intollerabile, all’inconciliabile,
ingiustificabile, irrecuperabile, appunto alla capacità insieme
grandiosa e triviale, eroica e vile di dare inizio e di finire.
Gabriella Baptist
Indice:
L’intruso
Il taglio nel senso – Intervista a
Jean-Luc Nancy