Jean-Luc Nancy, Essere
singolare plurale, introduzione di Roberto Esposito in dialogo
con Jean-Luc Nancy, tr. it. di D. Tarizzo,
Torino, Einaudi, 2001, 131 pp., ISBN 88-06-15906-2, € 15,49
Être singulier pluriel è
un testo essenziale nella produzione filosofica di Jean-Luc Nancy, forse
il suo testo "essenziale", poiché non nasconde «la pretesa di
rifondare interamente la "filosofia prima" basandola sul "singolare
plurale" dell'essere» (p. 3). Un testo spesso faticoso, a volte
ellittico, ma con cui bisogna fare i conti, perché non è possibile non
fare i conti coi problemi che tratta.
Non essendo possibile seguire analiticamente
tutte le piste teoretiche messe in gioco da Nancy, cercheremo di porre
in risalto quelle che ci sono sembrate fondamentali.
Il centro del discorso di Nancy è
quello che egli definisce l’ontologia del con. Partendo dall’analitica
esistenziale contenuta nella prima sezione di Sein und Zeit di
Heidegger, ed evidenziando la mancata articolazione, all’interno dell’analitica
dell’esserci (Da-Sein), della tematica del con-essere (Mit-Sein),
Nancy cerca di mostrare come l’essere dell’ente (di qualsiasi ente)
non sia concepibile se non come con-essere, e come il con-essere non
possa che essere inteso che come la spaziatura e la disposizione
del suo evento stesso: «Pollakôs legomenon – l’essere
si dice in molti modi: si tratta appunto, per certi versi, di ripetere
l’assioma aristotelico. […] La singolarità dell’essere è
il suo plurale. Ma l’essere non è più detto in molti modi
a partire da un unico presunto nocciolo di senso […]. L’essere co-incide
con se stesso solo nella misura in cui questa co-incidenza spicca
subito ed essenzialmente per la co-struttura del suo evento […].
L’essere è la spaziatura, è il sopraggiungere –
la spaziatura sopraggiungente – del co, singolare plurale»
(p. 54).
L’essere si dice in molteplici modi
perché è molteplicemente singolare. Questo e non
altro, ci dice Nancy, è il senso del mondo. Un senso che,
valutato a partire dalla vecchia metafisica del Soggetto, del Fine,
del Principio, appare come l’insensato, perché attesta
la radicale infondatezza dell’essere (non c’è Soggetto, né
Fine, né Principio). Nietzsche, come si vede, è assunto
da Nancy senza alcuno sconto. L’essere dell’ente non è che il
suo apparire, di volta in volta singolare e di volta in volta co-presente
con altri essenti («la singolarità di ciascuno è
indissociabile dal suo essere-con-tanti»). Questo è il
senso del mondo: la realtà delle cose non è la
manifestazione di una sostanza unica, né consiste nell’estrinseca
e pulviscolare giustapposizione degli essenti, ma nella dis-posizione
dell’un-con-l’altro. Nancy sottolinea quest’aspetto spaziale dell’essere-con.
Per tale motivo non utilizza i termini "relazione", "rapporto",
forse perché troppo denotati in un senso puramente logico e/o
psicologico; parla di disposizione, spaziatura, com-parizione, con-tatto
perché «l’ontologia dell’essere-con è un’ontologia
dei corpi, di tutti i corpi, inanimati, animati, senzienti, parlanti,
pensanti, pesanti. "Corpo" vuol dire infatti per prima cosa:
ciò che è fuori, in quanto fuori, accanto, contro, presso,
con un (altro) corpo, nel corpo a corpo, nella dis-posizione»
(p. 113-114). «La pluralità dell’essente è a
fondamento dell’essere» (p. 20) – afferma Nancy; vale a dire
che l’origine è «irrimediabilmente plurale» (p. 21),
vale a dire che non c’è un’Origine perché essa è
"spartita all’origine". Ogni singolarità è un’origine
del mondo in continuo con-tatto con altre origini del mondo, con
altre singolarità. Per questo motivo ha un senso affermare
che noi tocchiamo l’origine: «noi la tocchiamo nella misura
in cui ci tocchiamo, e tocchiamo il resto dell’essente. Noi ci
tocchiamo in quanto esistiamo. Il nostro toccare è ciò
che ci rende noi e non c’è nessun segreto da scoprire
o da nascondere dietro il toccare stesso, dietro il "con"
della co-esistenza» (p. 22). L’altro, ogni altra singolarità
che incontriamo nel mondo, ci è senz’altro accessibile; non c’è
alcun insondabile abisso nascosto nell’altro, ma solo una differente
prospettiva sul mondo. Quel che noi sperimentiamo come alterità
nell’altro che ci viene incontro (con cui ci scontriamo, con
cui concordiamo) non manifesta alcun mistero insondabile, ma solo
il di-contro di un altro accesso al mondo: «Noi non accediamo
a una cosa o a uno stato, ma a una venuta. Noi accediamo – a un accesso.
In questo consiste la "stranezza" [della gente]: ogni singolarità
è un altro accesso al mondo» (p. 23). Cos’altro ci tocca
nella letteratura e nelle arti, si chiede a questo punto Nancy, «se
non l’esibizione di un accesso sottratto nella sua apertura e per ciò
stesso "inimitabile"?» (ivi).
Domandiamoci (chiedendolo a Nancy):
se l’essere degli essenti è la loro singolare pluralità
d’origine, se non si dà altro che questa "positività"
nell’essere, come è possibile intendere (e spiegare) il "negativo"
dell’esistenza (il dolore, il male, la morte)? È una domanda
che Nancy non si fa esplicitamente, ma che corre sotterranea dall’inizio
alla fine del suo testo. La si ritrova (non a caso) nella questione
della critica alla globalizzazione capitalistica (cui sono dedicati
ben quattro capitoli su tredici).
Secondo Nancy, per fare i conti con
l’attuale globalizzazione capitalistica, bisogna preliminarmente farli
con la critica più radicale che di essa la filosofia ha prodotto:
vale a dire con la critica situazionista (Guy Debord in particolare)
alla società dello spettacolo, intesa (quest’ultima) come il
compimento della «mercificazione generale dei feticci […] con
la produzione e il consumo di "beni" materiali e simbolici
(tra cui, in primo luogo, l’ordinamento del diritto democratico) che
hanno tutti il carattere d’immagine, d’inganno o di sembiante»
(pp. 69-70). La società dello spettacolo criticata dal situazionismo
è, in definitiva, quella «che porta a compimento pieno
l’alienazione, grazie ad un’appropriazione immaginaria dell’appropriazione
reale. Il segreto dell’inganno è questo: l’appropriazione reale
non è altro che una libera immaginazione creatrice di sé,
indissolubilmente individuale e collettiva ma la merce spettacolare,
in tutte le sue forme, non è a sua volta altro che un immaginario
venduto al posto di questa immaginazione autentica» (p. 70). In
tale sintesi che Nancy dà del nucleo della critica situazionista
è evidente anche la sua obiezione critica ad essa. Questa consiste
nel rilevare come la giustezza dell’analisi situazionista sia dimidiata
dall’implicita obbedienza alla tradizionale e metafisica contrapposizione
di una verità dell’essere contrapposta alla menzognera
apparenza: «la critica situazionista […] ha continuato
a rinviare essenzialmente a qualcosa che è dell’ordine della
verità interiore e che si può definire ad esempio "desiderio"
o "immaginazione", a qualcosa il cui concetto completo è
quello di un’appropriazione soggettiva di una "vera vita",
concepita a sua volta come origine propria, come auto-dispiegamento
e auto-soddisfazione» (p. 74). Insomma, il limite della critica
situazionista consisterebbe nel non aver compreso appieno ciò
che rendeva manifesto, ossia la costitutiva dimensione simbolico-spettacolare
del legame sociale: «la questione [è quella] di capire
se lo "spettacolo" non sia, in un modo o nell’altro, una dimensione
costitutiva della società: in altri termini, se quanto chiamiamo
il "legame sociale" possa essere pensato al di fuori di un
ordine simbolico e se quest’ultimo possa a sua volta essere concepito
al di fuori di un registro dell’immaginazione o della figurazione,
che sembrerebbe necessario a questo punto ripensare daccapo» (p.
76). Dopo aver posto in evidenza i limiti della "critica"
Nancy è evidentemente costretto, in apparente paradosso, a (ri)definirne
le condizioni, per evitare che la critica alla "critica" ne
elimini la stessa possibilità. E lo fa con un gesto che ricorda
il migliore Marx: è necessario che la critica sia all’altezza
di quell’evento che, attraverso e nonostante la globalizzazione,
si impone e che Nancy chiama com-parizione, intendendo con tale
termine l’evento di un essere-in-società che si riduce all’esposizione
del con-essere. «Può darsi – egli afferma – che
l’attuale situazione dell’essere sociale debba essere colta in
tutt’altro modo rispetto allo schema di un immenso auto-consumo spettacolare
in cui finisce per dissolversi e disperdersi la verità della
comunità – della comunità in quanto soggetto e della comunità
dei soggetti tra di loro. Può darsi che il fenomeno dello "spettacolo"
generalizzato, con la dimensione, diciamo "tele-mondiale",
che non soltanto lo accompagna, ma che gli è consustanziale,
riveli tutt’altro, se ci sforziamo di decifrarlo altrimenti» (p.
79). Guardandolo da un certo punto di vista, «lo "spettacolo"
non è infatti altro che la "comunicazione", e viceversa»
(p. 80); vale a dire che non è teoricamente più praticabile
l’idea di una comunicazione inter-umana "autentica" da contrapporre
ad una "alienata": «può darsi, in effetti, che
quanto sta accadendo sia un’altra sorta di "rivoluzione copernicana":
non quella del sistema cosmologico, né quella del rapporto tra
l’oggetto e il soggetto, ma quella dell’"essere sociale",
che gira ormai intorno a se stesso, o su se stesso, e non più
attorno a qualcos’altro (Soggetto, Altro o Stesso)» (ivi).
Ciò significa anche smettere di contrapporre – come un po’ di
anni fa sottolineava una certa vulgata lacaniana, sbugiardata dallo
stesso Lacan – il buon simbolico al cattivo immaginario. Tale semplicistica
critica dell’immagine, dice Nancy, non è che «l’effetto,
a sua volta mitico e mistificante, del desiderio sconfinato di una simbolizzazione
"pura"» (p. 81). Il simbolico, infatti, «non ha
luogo senza (rap)presentazione: è la rappresentazione degli uni
agli altri senza la quale essi non sarebbero gli-uni-con-gli-altri […].
L’essere sociale è l’essere che è apparendo di fronte
a se stesso, con se stesso: è com-parizione» (ivi).
Certo, conviene Nancy, la com-parizione «potrebbe essere solo
un nome diverso del capitale. E addirittura un nome che corre il rischio
di mascherare una volta di più di che cosa si tratta, offrendo
un pensiero consolatorio, segretamente rassegnato. Tuttavia, questo
rischio non è una ragione per accontentarsi di una critica del
capitale che resti ingabbiata nella presupposizione di un "altro
soggetto" della storia, dell’economia e dell’appropriazione del
proprio in generale» (p. 88).
Bisognerebbe seguire, afferma Nancy,
la profonda intuizione di Marx (che nella sua ambivalenza corrisponde
all’ambivalenza del capitale) in base alla quale «il capitale
esibisce al tempo stesso l’alienazione generale del proprio […] e
la messa a nudo del con come tratto dell’essere o come tratto
del senso» (ivi). Ma forse, conclude Nancy, «il nostro
pensiero non è ancora all’altezza di una simile ambivalenza»
(ivi). Rispetto al compito che spetta, quindi, al pensiero critico,
l’ontologia della com-parizione è da considerarsi il primo
e fondamentale passo.
Secondo tale prospettiva si tratterà
allora di capire, con il Nietzsche della "morte di Dio", che
dei "valori assoluti" non c’è più alcuna traccia
(e che forse mai ce n’è stata). Non c’è alcun valore in
sé, e ciò vale anche per la sfera dei diritti umani:
«che cosa potrebbe valere per sé solo? "Valore"
può valere unicamente nella sfera dell’essere-con, cioè
nella sfera di un commercio, in tutti i sensi della parola. Ma
è appunto la spartizione di questi sensi – commercio della merce
/ commercio dell’essere-insieme – che il capitale espone: la spartizione
dei sensi dello scambio, la spartizione della spartizione stessa.
Il capitale la espone come una violenza, in cui l’essere-insieme diventa
un essere-merce e un essere-mercificato. E l’essere-con viene così
eluso nel momento stesso in cui viene esibito nella sua nudità»
(p. 102).
La tesi di Nancy è, quindi, che
il capitalismo, pur svelando l’esistenza nella sua nudità, ne
elude il senso, violentandola. Eppure tale violenza ci dà la
misura di ciò che espone, una misura che contraddice quella
violenza: «c’è una misura comune, che non è un’unità
di misura applicata a tutti e a ogni cosa, ma è la commensurabilità
delle singolarità incommensurabili, l’uguaglianza di tutte
le origini-di-mondo, le quali, essendo origini, sono ogni volta
strettamente insostituibili – e in tal senso perfettamente ineguali
– ma sono tali solo nella misura in cui sono tutte egualmente le une
con le altre. Ed è di questo che noi dobbiamo prendere misura»
(p. 103).
Per Nancy l’essere-insieme-gli-uni-con-gli-altri,
la singolare pluralità dell’essere (e dell’esistere) è
un «in-comune […] puramente estensivo e distributivo» (p.
109) che non si fonda su di un Altro perduto, mancante o sempre da raggiungere,
ma unicamente sulla sua "giusta" misura. L’ontologia del con
è pur sempre un’etica: «non c’è differenza tra l’etico
e l’ontologico: l’etica espone ciò che l’ontologia
dispone» (p. 131).
Ecco allora, in conclusione, la risposta
alla domanda che ci eravamo posti (in che cosa consiste il male?): «il
male risiede allora sistematicamente in un’operazione che colma il con.
Si può colmare il con riempiendolo o svuotandolo: lo si
può portare a un fondo di pienezza e di continuità, oppure
a un abisso di intransitività. Nel primo caso, il singolare diventa
un particolare in una totalità – e non è più né
singolare né plurale. Nel secondo caso, il singolare esiste solo
a sé stante, e dunque come totalità – per cui non è
più, nemmeno in questo caso, né singolare né plurale.
In entrambi i casi l’omicidio è all’orizzonte, ossia la morte
come negatività operativa dell’Uno, la morte come opera
dell’Uno-Tutto o dell’Uno-Io» (pp. 122-123).
Vincenzo Cuomo
Indice:
Dialogo sulla filosofia a venire di R. Esposito
e J.-L. Nancy
Avvertenza
- Che noi siamo il senso
- La gente è strana
- Accedere all’origine
- La creazione del mondo e la curiosità
- Tra di noi: filosofia prima
- Essere singolare plurale
- Co-esistenza
- Condizioni di una critica
- Comparizione
- Spettacolo della società
- Misura del «con»
- Corpo, linguaggio
- Analitica co-esistenziale