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Francis Bacon, Figure Writing Reflected in a Mirror, 1976

 

 

 

 

 

 

 

Introduzione a Enrique Dussel, la Pedagogia della Liberazione

di Antonino Infranca

 

 

I due saggi di Enrique Dussel che qui presentiamo in anteprima fanno parte della Pedagogica della liberazione, opera in corso di traduzione in italiano e che sarà pubblicata alla fine di questo anno dalla casa editrice FERV di Roma e curata dal sottoscritto. Il titolo originale dell’opera è La pedagogica latinoamericana ed è stata pubblicata come prima parte del terzo volume della Filosofía ética de la liberación in Messico nel 1977 (Ediciones Edicol), ripubblicata poi nel 1988 in Argentina dalla casa editrice Megapolis (Buenos Aires) e nel 1980 in Colombia (Nueva America, Bogotà). Da quest’ultima edizione, più esattamente dalla ristampa del 1991, è stata condotta la traduzione che qui presentiamo.

I temi trattati da Enrique Dussel sono ormai ampiamente conosciuti dal lettore italiano grazie alla pubblicazione nel nostro paese di sette volumi del filosofo argentino: Etica comunitaria, Storia della chiesa in America latina, Filosofia della liberazione, La chiesa in America latina, L’occultamento dell’altro, Un Marx sconosciuto, Filosofia della liberazione ed etica della comunicazione. In questa opera in particolare Dussel affronta quelli della nascita di una pedagogia a partire dall’imposizione di modelli culturali che dal Primo Mondo si impongono al Terzo Mondo, o meglio, dal centro si irradiano alla periferia.

In tal modo Dussel parte dalla critica della formazione della soggettività moderna eurocentrica. Particolare attenzione è dedicata al grande momento formativo della pedagogia europea che è rappresentato dall’Emilio di Rousseau. La critica di Dussel, condotta dalla condizione dell’Altro e della vittima del sistema dominante occidentale, mette in mostra i limiti di una pedagogia, che seppure superata anche nel centro del sistema, conserva nella sua lettura storicizzante una valenza teorica e morale indiscussa, almeno nel centro del sistema di dominio occidentale. Dussel mostra che questa indiscutibile valenza è, in realtà, organica al progetto di dominio che l’Occidente ha imposto al Terzo Mondo, attraverso modelli pedagogici che seppure ispirati alla libertà non hanno portato alla liberazione dell’Altro, anzi lo hanno relegato alla solitudine rispetto al mondo nel quale si trova a vivere e ad operare. Il giovane che viene educato secondo i principi pedagogici liberali dell’Occidente si trova nella paradossale condizione di essere isolato dalla sua cultura originaria, la madre, e sostanzialmente non accettato dal sistema occidentale di dominio, il padre, perché la sua esistenza è considerata soltanto all’interno di un sistema economico di sfruttamento della periferia a vantaggio del centro. Da qui la sostanziale solitudine del soggetto moderno nato ed educato nel Terzo Mondo.

La solitudine è un tema tipico del pensiero di Emanuel Levinas, di cui Dussel fu allievo durante il suo periodo di studio a Parigi, ma in Dussel assume una valenza politica del tutto inedita nel pensiero del filosofo francese. Una valenza che è una radicale critica della soggettività moderna, critica che vale non soltanto nel caso dell’esportazione ed imposizione di questa soggettività nel Terzo Mondo, ma anche all’interno del Primo Mondo. L’Occidente si fonda sulla categoria dell’arché ("principio"), primo concetto della filosofia greca e occidentale, ma che in greco antico oltre che "principio" significa anche "dominio". L’Occidente è, quindi, la dimensione culturale e spirituale del dominio su qualsiasi altra cultura che non sia occidentale. Ma questo dominio si è costituito come dominio su se stesso, prima che sulle culture non occidentali. Rileggere, quindi, la formazione pedagogica della soggettività moderna a partire dalle sue forme di dominio sul Terzo Mondo permette di ricostruire la struttura del dominio che è insita all’interno dello stesso Occidente.

Il giovane latinoamericano è, quindi, un senza patria, perché il concetto stesso di "patria" è l’assunzione di una cultura paterna che è cultura nata dalla violenza, dallo sradicamento, dall’imposizione di una cultura che non è la sua originaria e autentica. L’essere senza patria non significa essere senza radici, piuttosto le radici latinoamericane sono radici impiantate nella cultura della madre e delle tradizioni spirituali dell’America precolombina, quando ancora l’America era un continente senza un nome europeo, ma con culture che non erano, spiritualmente parlando, arretrate o primitive rispetto a quella europea, forte soltanto del suo senso di dominio. Non avere "patria" significa avere matrice. Dall’assenza di una "patria" ne derivano i limiti del nazionalismo latinoamericano, che a noi europei pare una ridicola caricatura, in realtà è la riproduzione distorta del nostro stesso modo di essere. Noi europei siamo legati ai concetti di patria e di nazione, che in realtà sono costruzioni recenti, proprie delle soggettività moderna e hanno apportato al corso della storia europea più catastrofi che vantaggi. Patria e nazione andrebbero sostituite da concetti più progressivi della modernità come quello di comunità che è una categoria, ma anche una dimensione dell’essere che ci portiamo nell’interiorità spirituale e che era già chiara alle antiche culture precolombiane. Gli atzechi esprimevano questo concetto con la posposizione yotl, che indicava "l’essenza e l’insieme delle creazioni" di qualcuno, in particolare di un popolo. In pratica con la posposizione yotl si intendeva indicare le realizzazione culturali, la sapienza, le manifestazioni culturali, la destrezza artistica, i contenuti più raffinati di una cultura. Tutto ciò che l’idealismo tedesco indicherebbe con il termine Geist, "spirito". Ma gli europei hanno dovuto conquistare e dominare il mondo per scoprirlo e hanno dovuto insegnarselo, mentre le popolazioni che hanno matrici e non patrie lo conoscevano da sempre.

Da questo punto di vista il discorso di Dussel assume importanza e attualità anche in questi tempi di critica antiglobalizzazione. La sua critica tesa alla liberazione dal dominio eurocentrico è la prima forma ante litteram di lotta antiglobalizzazione. Non è un caso che la partecipazione di Dussel al recente Secondo World Social Forum di Porto Alegre, ha suscitato interesse e attenzione non soltanto nel movimento No Global, che già da tempo guardava alle sue opere teoriche, ma anche nella sinistra italiana, sempre in ritardo nella scoperta dei maggiori pensatori dell’alternativa e della critica all’Occidente. Il giovane latinoamericano di cui parla Dussel nei saggi qui proposti potrebbe essere il militante No Global che rifiuta il sistema esistente e ne mette in mostra tutti i limiti non soltanto economici, politici e sociali, ma anche culturali.

La liberazione per Dussel è un rifiuto netto dell’esistente, ma anche un cercare nell’esistente quegli elementi che possono costruire un’alternativa possibile all’esistente a partire dal recupero di una tradizione negata e occultata. Questa concezione di Dussel potrebbe sembrare utopica, ma è di un utopismo particolare, perché è il recupero di un passato che seppure negato e occultato è pur sempre tradizione e, quindi, coesiste con la dominazione esistente. Anzi essa non sarebbe dominazione se non ci fosse questa tradizione da dominare.

Da questo punto di vista la liberazione di Dussel è ritorno alla tradizione socratica, del Socrate che di fronte alla nuova Atene, seguace del denaro, preferisce ricordare ai suoi concittadini le virtù tradizionali della città dedicata alla dea della Giustizia. Socrate sapeva che non sarebbe stato ascoltato dai suoi giudici, ma avrebbe comunque trovato tra i giovani il terreno fertile per seminare il suo messaggio di liberazione, di superamento dell’esistente, di difesa di ciò che si è già. Il compito di Socrate era offrire gli strumenti per approdare al "conosci Te stesso" e anche Dussel ci offre strumenti e categorie per condurre la nostra critica "roditrice" del fondamento dell’Occidente.