Introduzione
a Enrique Dussel, la Pedagogia della Liberazione
di
Antonino Infranca
I due saggi di Enrique Dussel che qui
presentiamo in anteprima fanno parte della Pedagogica della liberazione,
opera in corso di traduzione in italiano e che sarà pubblicata
alla fine di questo anno dalla casa editrice FERV di Roma e curata dal
sottoscritto. Il titolo originale dell’opera è La pedagogica
latinoamericana ed è stata pubblicata come prima parte del
terzo volume della Filosofía ética de la liberación
in Messico nel 1977 (Ediciones Edicol), ripubblicata poi nel 1988
in Argentina dalla casa editrice Megapolis (Buenos Aires) e nel 1980
in Colombia (Nueva America, Bogotà). Da quest’ultima edizione,
più esattamente dalla ristampa del 1991, è stata condotta
la traduzione che qui presentiamo.
I temi trattati da Enrique Dussel
sono ormai ampiamente conosciuti dal lettore italiano grazie alla pubblicazione
nel nostro paese di sette volumi del filosofo argentino: Etica comunitaria,
Storia della chiesa in America latina, Filosofia della liberazione,
La chiesa in America latina, L’occultamento dell’altro, Un Marx sconosciuto,
Filosofia della liberazione ed etica della comunicazione. In questa
opera in particolare Dussel affronta quelli della nascita di una pedagogia
a partire dall’imposizione di modelli culturali che dal Primo Mondo
si impongono al Terzo Mondo, o meglio, dal centro si irradiano alla
periferia.
In tal modo Dussel parte dalla critica
della formazione della soggettività moderna eurocentrica. Particolare
attenzione è dedicata al grande momento formativo della pedagogia
europea che è rappresentato dall’Emilio di Rousseau. La
critica di Dussel, condotta dalla condizione dell’Altro e della vittima
del sistema dominante occidentale, mette in mostra i limiti di una pedagogia,
che seppure superata anche nel centro del sistema, conserva nella sua
lettura storicizzante una valenza teorica e morale indiscussa, almeno
nel centro del sistema di dominio occidentale. Dussel mostra che questa
indiscutibile valenza è, in realtà, organica al progetto
di dominio che l’Occidente ha imposto al Terzo Mondo, attraverso modelli
pedagogici che seppure ispirati alla libertà non hanno portato
alla liberazione dell’Altro, anzi lo hanno relegato alla solitudine
rispetto al mondo nel quale si trova a vivere e ad operare. Il giovane
che viene educato secondo i principi pedagogici liberali dell’Occidente
si trova nella paradossale condizione di essere isolato dalla sua cultura
originaria, la madre, e sostanzialmente non accettato dal sistema occidentale
di dominio, il padre, perché la sua esistenza è considerata
soltanto all’interno di un sistema economico di sfruttamento della periferia
a vantaggio del centro. Da qui la sostanziale solitudine del
soggetto moderno nato ed educato nel Terzo Mondo.
La solitudine è un tema tipico
del pensiero di Emanuel Levinas, di cui Dussel fu allievo durante il
suo periodo di studio a Parigi, ma in Dussel assume una valenza politica
del tutto inedita nel pensiero del filosofo francese. Una valenza che
è una radicale critica della soggettività moderna, critica
che vale non soltanto nel caso dell’esportazione ed imposizione di questa
soggettività nel Terzo Mondo, ma anche all’interno del Primo
Mondo. L’Occidente si fonda sulla categoria dell’arché
("principio"), primo concetto della filosofia greca e occidentale,
ma che in greco antico oltre che "principio" significa anche
"dominio". L’Occidente è, quindi, la dimensione culturale
e spirituale del dominio su qualsiasi altra cultura che non sia occidentale.
Ma questo dominio si è costituito come dominio su se stesso,
prima che sulle culture non occidentali. Rileggere, quindi, la formazione
pedagogica della soggettività moderna a partire dalle sue forme
di dominio sul Terzo Mondo permette di ricostruire la struttura del
dominio che è insita all’interno dello stesso Occidente.
Il giovane latinoamericano è,
quindi, un senza patria, perché il concetto stesso di "patria"
è l’assunzione di una cultura paterna che è cultura nata
dalla violenza, dallo sradicamento, dall’imposizione di una cultura
che non è la sua originaria e autentica. L’essere senza patria
non significa essere senza radici, piuttosto le radici latinoamericane
sono radici impiantate nella cultura della madre e delle tradizioni
spirituali dell’America precolombina, quando ancora l’America era un
continente senza un nome europeo, ma con culture che non erano, spiritualmente
parlando, arretrate o primitive rispetto a quella europea, forte soltanto
del suo senso di dominio. Non avere "patria" significa avere
matrice. Dall’assenza di una "patria" ne derivano i
limiti del nazionalismo latinoamericano, che a noi europei pare una
ridicola caricatura, in realtà è la riproduzione distorta
del nostro stesso modo di essere. Noi europei siamo legati ai concetti
di patria e di nazione, che in realtà sono costruzioni recenti,
proprie delle soggettività moderna e hanno apportato al corso
della storia europea più catastrofi che vantaggi. Patria e nazione
andrebbero sostituite da concetti più progressivi della modernità
come quello di comunità che è una categoria, ma anche
una dimensione dell’essere che ci portiamo nell’interiorità spirituale
e che era già chiara alle antiche culture precolombiane. Gli
atzechi esprimevano questo concetto con la posposizione yotl,
che indicava "l’essenza e l’insieme delle creazioni" di qualcuno,
in particolare di un popolo. In pratica con la posposizione yotl
si intendeva indicare le realizzazione culturali, la sapienza, le manifestazioni
culturali, la destrezza artistica, i contenuti più raffinati
di una cultura. Tutto ciò che l’idealismo tedesco indicherebbe
con il termine Geist, "spirito". Ma gli europei hanno
dovuto conquistare e dominare il mondo per scoprirlo e hanno dovuto
insegnarselo, mentre le popolazioni che hanno matrici e non patrie lo
conoscevano da sempre.
Da questo punto di vista il discorso
di Dussel assume importanza e attualità anche in questi tempi
di critica antiglobalizzazione. La sua critica tesa alla liberazione
dal dominio eurocentrico è la prima forma ante litteram
di lotta antiglobalizzazione. Non è un caso che la partecipazione
di Dussel al recente Secondo World Social Forum di Porto Alegre, ha
suscitato interesse e attenzione non soltanto nel movimento No Global,
che già da tempo guardava alle sue opere teoriche, ma anche nella
sinistra italiana, sempre in ritardo nella scoperta dei maggiori pensatori
dell’alternativa e della critica all’Occidente. Il giovane latinoamericano
di cui parla Dussel nei saggi qui proposti potrebbe essere il militante
No Global che rifiuta il sistema esistente e ne mette in mostra tutti
i limiti non soltanto economici, politici e sociali, ma anche culturali.
La liberazione per Dussel è un
rifiuto netto dell’esistente, ma anche un cercare nell’esistente quegli
elementi che possono costruire un’alternativa possibile all’esistente
a partire dal recupero di una tradizione negata e occultata. Questa
concezione di Dussel potrebbe sembrare utopica, ma è di un utopismo
particolare, perché è il recupero di un passato che seppure
negato e occultato è pur sempre tradizione e, quindi, coesiste
con la dominazione esistente. Anzi essa non sarebbe dominazione se non
ci fosse questa tradizione da dominare.
Da questo punto di vista la liberazione
di Dussel è ritorno alla tradizione socratica, del Socrate che
di fronte alla nuova Atene, seguace del denaro, preferisce ricordare
ai suoi concittadini le virtù tradizionali della città
dedicata alla dea della Giustizia. Socrate sapeva che non sarebbe stato
ascoltato dai suoi giudici, ma avrebbe comunque trovato tra i giovani
il terreno fertile per seminare il suo messaggio di liberazione, di
superamento dell’esistente, di difesa di ciò che si è
già. Il compito di Socrate era offrire gli strumenti per approdare
al "conosci Te stesso" e anche Dussel ci offre strumenti e
categorie per condurre la nostra critica "roditrice" del fondamento
dell’Occidente.