La mostra di Escher a Roma
(22 ottobre 2004, 28 marzo 2005)
La mostra romana Nell'occhio di Escher, inaugurata il 22 ottobre
2004 presso i Musei Capitolini, ha ottenuto un notevole successo, tanto
che è stata prolungata di due mesi, dal previsto 23 gennaio al
28 marzo 2005.
Escher viene presentato, sala per sala, tramite sintetiche descrizioni
della sua vita e delle sue ricerche, con una particolare e lodevole
attenzione alle tecniche di riproduzione usate, la litografia, la mezzatinta,
la xilografia su legno di filo (woodcut in inglese) eseguita
con la sgorbia e la xilografia su legno di testa (wood engraving
in inglese) eseguita col bulino. Il fascino e la fama di Escher quindi
non sembrano voler invecchiare e oltrepassano il tempo e i luoghi, come
testimonia l'uso sistematico delle sue immagini per le illustrazioni
di libri e di articoli dedicati soprattutto, per un'affinità
evidente, a fisica, astronomia, geometria, psicoanalisi e altre scienze,
in ogni parte del mondo.
Prima ancora di seguire o di cercare un percorso, tuttavia, raggruppiamo
con qualche approssimazione le ricerche di Escher secondo cinque
grandi temi, che ci serviranno per avere un quadro generale introduttivo
sulla personalità dell'artista e per proseguire nella nostra
visita e nella nostra analisi.
a) Formano il tema degli oggetti naturali gran parte della produzione
giovanile, in cui è evidente il retaggio espressionista tipico
della cultura germanica, molte opere del periodo italiano, i paesaggi
in particolare, e non molte opere successive (l' Autoritratto
in alto è una xilografia del 1919; il primo dettaglio, qui sopra
a sinistra, è tratto dalla litografia Ravello e la Costiera
amalfitana del 1925) .
b) Le immagini in cui sono presenti oggetti regolari insieme a oggetti
impossibili o fortemente deformati da complesse prospettive (il secondo
dettaglio, qui sopra a destra, è tratto dalla litografia Tre
sfere II del 1946) sono gli oggetti deformati e fantastici.
c) Le composizioni di figure atte a coprire interamente una superficie,
senza cioè che s'intraveda lo sfondo tra di esse (il terzo dettaglio,
qui sopra a sinistra, è tratto dalla xilografia Metamorfosi
II del 1940) sono le coperture.
d) I disegni in cui Escher gioca con le due dimensioni delle coperture
e con le tre dimensioni illusorie dei disegni in prospettiva, incrociandole
e mescolandole in modo spesso sorprendente, sono le coperture incrociate
con volumi; il sistema di incastro tra le figure e la loro reciproca
trasformazione, il gioco e la metamorfosi tra figure della geometria
piana e figure prese dalla realtà, il passaggio di scala, la
riduzione, la riflessione, rientrano in questa tematica (il quarto dettaglio,
qui sopra al centro, è tratto dalla litografia Ciclo del
1938).
e) Le composizioni basate su costruzioni e spazi impossibili per una
qualche aberrazione prospettica voluta dall'artista, in grado di generare
doppiezze e sovrapposizioni (il quinto dettaglio, qui sopra a destra,
è tratto dalla litografia Belvedere del 1958), sono le
architetture impossibili.
Va sottolineato, senza sorpresa, che nell'evoluzione di Escher è
rintracciabile una linearità rarissima e quasi perfetta; dagli
esordi figurativi alle tessiture metamorfiche, l'artista segue un percorso
in cui i temi si affacciano e quindi si sviluppano con regolarità,
approfondendosi e complicandosi fin quasi all'esaurimento, per poi a
volte ritornare, anche a distanza di anni, inseriti
in nuovi contesti. Escher raggruppava analiticamente i propri soggetti
in dieci sezioni (1)
e affermava di sentirsi più vicino agli scienziati che agli artisti,
una tesi sostenuta, con una certa supponenza verso i
critici d'arte, anche da Bruno Ernst, matematico, biografo e amico di
Escher. Del resto, i commenti di Escher alle proprie opere, raccolti
in varie antologie (2),
sono piuttosto laconici e privi di qualunque relazione o confronto con
l'arte del suo tempo.
Oggetti naturali
Si può restare stupiti davanti a immagini come Tropea
(litografia del 1931, fig.1), Strada a Scanno (xilografia
del 1930, fig. 2), Vitorchiano nel Cimino (xilografia
del 1925, fig. 3) e varie altre; sono paesaggi eseguiti da Escher
durante la lunga permanenza in Italia tra le due guerre, improntati
ad un naturalismo in contrasto con l'immagine surreale e fantastica
che di solito si associa all'artista. Eppure, non sembra azzardato dedurre
quali criteri guidassero le sue scelte formali davanti a suggestivi
paesi arroccati su alture, a strade delimitate da case ravvicinate,
a panorami variamente composti di colline e specchi d'acqua; sia pure
in modo intuitivo, ci sentiamo sicuri che la geometricità, intesa
come regolarità dei volumi naturali o costruiti dagli uomini
affascinasse l'artista. Escher appare quasi dominato da un'esigenza
di ordine e laddove uno spigolo, una crepa, un detrito o una foglia
potrebbero generare sporgenze, irregolarità, rumori nell'armonia
dell'universo e del creato, la sua matita o la sua sgorbia intervengono
per spianare, limare, regolarizzare. A conferma di questo interesse,
i disegni di scorci architettonici effettuati in quegli anni sono normalmente
legati alle volumetrie, alla resa di elementi particolarmente limpidi
delle strutture, o agli incastri di colonne, archi e volte come in Porta
Maria dell'Ospedale a Ravello ( xilografia del 1932, fig. 4).
Oggetti deformati e fantastici
Escher afferma che il distacco dall'Italia e dai suoi ricchi e variegati
paesaggi lo costrinse a rivedere i propri soggetti artistici da un punto
di vista interno, cioè mentale. Le anomalie e le irregolarità
degli anni successivi al 1937 non nasceranno dall'osservazione in dettaglio
di eventi naturali, ma dall'invenzione, dall'estro, dalla volontà
dell'artista che, in un contesto normalizzato, inserirà allora,
a suo piacere, qualcosa di otticamente impossibile, di deforme, di ambiguo
o di fuoriscala; Balconata (litografia del 1945, fig. 5)
presenta, al centro di un gruppo di case attestate su una scogliera
e disegnate componendo superfici fortemente schematiche, una audace
e brusca deformazione, una sorta di bolla che gonfia dall'interno le
facciate e le spinge verso lo spettatore.
In Corteccia (xilografia del 1955, fig. 6) una striscia
fluttuante sembra delineare in un cielo nuvoloso il volto di una donna,
"frammento di una scultura vuota" come lo definisce Escher
(3).
Coperture/Tessiture
Sin dal principio della sua attività Escher, stando a quanto
si legge sulle sue biografie ufficiali (4),
era interessato, per non dire ossessionato, dai problemi geometrici
e formali legati alla copertura di una superficie con elementi identici
o serialmente identici. Le decorazioni moresche dell'Alhambra di Granada,
visitata nel 1922, lo illuminano e lo entusiasmano al punto da dedicare
una notevole parte della sua ricerca a questo aspetto, che -se vogliamo-
ha un'origine artigianale, legata ad esempio alle tassellature ceramiche,
alle pavimentazioni in marmo o in mosaico, alle tarsie lignee di mobili
e infissi. La tessitura della superficie con figurine intrecciate, tali
da coprirla interamente senza lasciare scarti, viene ottenuta da Escher
in molteplici e varissimi esempi sino alla fine della sua vita; si può
partire dalle Otto teste (xilografia del 1922, fig. 7)
del 1922 per arrivare a una geometria dei frattali ante-litteram nel
1956 con Sempre più piccolo (xilografia del 1956, fig.
8) o nel 1959 con Limite del cerchio III (xilografia del
1959, fig. 9), due lavori in cui sono protagonisti il concetto
matematico di limite e l'essenza stessa della geometria del piano, desunta
dagli studi di Poincaré e forse di Peano, e che sono ispirati
soprattutto ai disegni del matematico anglo-canadese Donald Coxeter
(v. "Scelti sul Web"). In questo
ambito, Escher ha ottenuto successo e stima sia tra gli scienziati,
grazie al rigore grafico e alle intuizioni geometriche, sia tra il grande
pubblico, soprattutto per l'imprevedibilità e complessità
delle sue soluzioni; l'artista rivela d'altro canto una sorta di disinvoltura
o di estatica leggerezza, quando sembra lasciare vita propria alle sue
stesse creazioni, che si incontrano, si trasformano e si lasciano davanti
ai nostri occhi (qui sotto un dettaglio di Metamorfosi III, xilografia
del 1967-1968).
Coperture incrociate con volumi
Se le coperture sono frequenti in Escher, da esse nasce una ulteriore
tematica mista con gli oggetti naturali o impossibili, confermando il
gusto dell'artista nel ritornare su motivi precedenti, riutlizzandoli
del tutto o in parte. Il gioco tra le due e le tre dimensioni, vale
a dire tra la corretta superficialità del piano di lavoro e l'illusione
prospettica fornita dalla conoscenza della geometria descrittiva, suggestiona
Escher a tal punto da spingerlo su strade sempre più complesse,
sofisticate, ridondanti. Ciclo, litografia del 1938, le varie
serie di Metamorfosi, xilografie eseguite dagli anni Quaranta
fino agli anni Sessanta, e poi le celebri Rettili (fig. 10)
e Mani che disegnano (fig. 11), litografie del 1943 e
del 1948, fanno parte di uno studio incessante e continuo, che a volte
sembra cercare l'infinito modificarsi delle cose, a volte proietta la
sua luce su un unico icastico tema. Anche l'attenzione, apprezzata come
sempre dai matematici, sui nastri di Moebius, strisce rigirate nello
spazio in un'unica superficie, si manifesta in incisioni stupefacenti
per nitidezza, basate sull'apparente stravaganza di questi anelli avvolti
su se stessi.
Lo specchio magico, litografia del 1946 (fig. 12) esposta
come le altre a Roma, non a caso fu scelta da Bruno Ernst per il titolo
del suo importante testo su Escher (5);
è un'opera in cui il nostro occhio di spettatore e il nostro
cervello sembrano doversi spingere ai limiti delle capacità di
comprensione. La tessitura disegnata sul piano quadrettato è
formata da cani alati disegnati di profilo, intrecciati tra loro,
uno chiaro e uno scuro, che dal centro verso l'esterno diventano più
nitidi e progressivamente diventano volumetrici, escono cioè
illusoriamente dal piano. In realtà, la direzione in cui le creature
tridimensionali si muovono è verso il centro, verso la superficie:
infatti esse camminano, sia a destra sia a sinistra, secondo un percorso
circolare che ha origine incredibilmente in uno specchio, collocato
in modo casuale al centro del piano. Lo specchio obliquo è corretto,
non deforma, non provoca effetti impossibili, ma il suo riflesso in
parte coincide con l'immagine che nasconde, in parte è autonomo;
inoltre, lungo il suo bordo inferiore avviene qualcosa di indescrivibile:
parti solide degli animali alati, riflettendosi, fuoriescono dallo specchio
come se fosse lo specchio stesso a generarli (cfr. il dettaglio qui
accanto). Non possono non venire in mente La condizione umana
o La chiave dei campi di René Magritte (oli su tela degli
anni Trenta) per quanto riguarda l'inconcepibile immagine centrale,
ma il lavoro di Escher non si presenta con quel tono misterioso e sospeso
che è stilema del grande surrealista belga, piuttosto appare
incunearsi nella complicazione estrema della riflessione, dell'illusione
prospettica, dell'artificio stesso della rappresentazione. I cani alati
di Escher si immergono nel loro destino senza volume, sono nati in uno
specchio e il loro percorso è descritto dalla figura del doppio
anello orizzontale, l'infinito, che non ha principio e che non ha termine..
Architetture impossibili
L'interesse fin qui spiegato di Escher verso i paradossi della rappresentazione
grafica risulta coerentemente sviluppato nei suoi disegni di architetture
e spazi impossibili: gli spazi disegnati secondo il metodo dell'inversione
concavo-convesso, le architetture in forma di poliedro, le architetture
sovrapposte secondo diversi punti di vista, le architetture impossibili.
Sono opere complesse e stracolme di dettagli, elaborate da Escher con
un lavoro meticoloso e incredibilmente difficile non solo nell'ideazione
grafica, ma anche nella eleborazione xilografica o litografica.
Negli anni Quaranta Escher, dopo aver abbandonato l'Italia fascista
nel 1935 e dopo due periodi in Svizzera e Belgio, rientra in Olanda.
Del 1947 sono due opere molto note, molto imitate e molto commentate:
la litografia Su e giù (fig. 13) e la xilografia
Altro mondo (fig. 14), davanti alle quali si accalcano
gli appassionati visitatori romani. Si tratta di architetture sovrapposte
secondo diversi punti di vista. La prima rappresenta, con l'utilizzo
di inchiostri marroni, la doppia veduta di una scena innocente, un uomo
seduto su una scala si rivolge a una donna affacciata a una finestra
poco più in alto. La scena in basso è vista dal basso,
e ci mostra gli archi, il soffitto a volta e altri particolari dell'edificio
nel quale si trova la donna e sotto il quale è seduto l'uomo,
ma gli elementi di copertura si trasformano, ribaltandosi ai nostri
occhi, nei pavimenti della scena sovrastante, che è identica
alla precedente ma vista dall'alto! Si tratta di un abilissimo e raffinato
gioco di linee e di superfici, trasparente nella sua impossibilità
quando si noti l'assurdo dell'edificio a destra, non soltanto incurvato
dal disegnatore per ottenere i suoi effetti di distorsione spaziale,
ma anche palesemente composto da due pareti contraddittorie, una che
cresce verso destra e l'altra che cresce verso sinistra, con tanto di
finestre reciprocamente rovesciate. Escher mentre ci inganna ci svela
l'inganno, e forse proprio in questa ironia, o ammiccamento, richiesta
di complicità, risiede buona parte del suo fascino e del suo
rapporto empatico con lo spettatore.
La seconda opera del 1947, Altro mondo, rappresenta tre volte
una stessa scena: due archi sotto i quali sono visibili un uccello dal
volto umano (si tratta di un oggetto già presente in altre opere
di Escher) e un corno appeso con due fili all'intradosso dell'arco;
a destra la scena è rappresentata sia dal basso sia dall'alto,
con l'affiancamento a destra di due colonne, che dovrebbero essere la
stessa colonna vista da sopra e vista da sotto; da sopra il paesaggio
è lunare, con ben visibili crateri, da sotto lo sfondo è
un cielo notturno con stelle, pianeti, comete. A
sinistra la scena appare invece vista frontalmente e le proporzioni
degli archi sono diverse. Sono tre viste diverse della medesima scena?
Escher stesso parla de "l'interno di una struttura cubica, con
finestre ad arco che si aprono su tre paesaggi differenti" (6),
pertanto nessuno ci impedisce di pensare che esistano tre uccelli e
tre corni e che in questo Altro mondo sia possibile muoversi
diversamente nello spazio, ma allo stesso tempo ci rendiamo conto che
questo tipo di domande ha poco senso. La vera difficoltà di comprensione
dell'immagine sta non solo nella duplicità o triplicità
del nostro punto di vista, ma anche nella stravaganza degli oggetti
e dei luoghi, che non ci aiutano nel cercare chiarezza. Se ne potrebbe
dedurre che Escher vuole soltanto farci viaggiare lontano, sulla Luna
o su Marte, seguendo rotte mentali costruite secondo geometrie e dimensioni
non umane, ma il senso di sorpresa e di straniamento risulta qui davvero
fortissimo e, non a caso, fa di quest'opera una delle più rappresentative
e una delle più riprodotte dell'artista olandese.
Negli anni Cinquanta e Sessanta Escher esegue alcuni disegni di architetture
impossibili basate sul cosiddetto cubo di Necker,
un disegno a filo di ferro, trasparente, che dimostra l'ambiguità
della rappresentazione geometrica. Inoltre, Bruno Ernst e lo stesso
Escher nei suoi scritti, ricordano che due figure ideate da Roger e
Lionel Penrose, pubblicate nel 1958 (7),
affascinarono profondamente l'artista: la cosiddetta tribar o
triangolo impossibile, formato da tre sbarre collegate tra loro
graficamente secondo un incastro non possibile nella realtà,
e la scala senza fine, una veduta prospettica di quattro muri
sui quali quattro rampe di scale, pur salendo sempre, non portano più
in alto. La suggestione formale e mentale di un oggetto tridimensionale
che esista solo nel disegno bidimensionale era già radicata nell'indole
visionaria di Escher e i disegni di Penrose non rappresentavano
altro che un ulteriore sviluppo delle sue speculazioni. Nascono da qui
alcune celebri architetture impossibili, basate sul fatto che sulla
carta si può disegnare un cubo in cui "davanti e dietro
esistono contemporaneamente" (8)
e una scala che sembra salire e invece è in piano. Belvedere
(litografia del 1958, fig. 15), Cascata (litografia del
1960, fig. 16) e Salita e Discesa (litografia del 1961,
fig. 17) rappresentano il prodotto escheriano di queste elocubrazioni
e sono state sicuramente le più analizzate dai matematici in
epoca recente.
In Belvedere una specie di padiglione rinascimentale, dotato
di due logge coperte da tre cupolette, si affaccia su un paesaggio montano;
la sovrapposizione delle due logge è però completamente
sbagliata, perchè il lato corto del piano di sotto risulta sovrastato
dal lato lungo del piano di sopra. E' l'applicazione divertita e fantasiosa
del cubo di Necker, citato esplicitamente in un foglio caduto
a terra nella parte bassa del disegno; Escher rende volumetrici gli
spigoli del cubo e li incrocia ad arte, creando effetti di totale spiazzamento
nella nostra percezione. L'uomo dietro le sbarre che urla per farsi
liberare, nel basamento del padiglione, siamo forse noi?
Cascata e Salita e Discesa giocano a loro volta sugli
effetti stranianti di una prospettiva abilmente manomessa e aggiustata;
l'acqua sembra salire, ma segue un percorso creato sul triangolo
impossibile, gli uomini incappucciati salgono e scendono ma sono
sempre allo stesso livello della scala senza fine. Escher raggiunge
in queste litografie una particolare efficacia descrittiva e una maggiore
sintesi compositiva, ma la volontà di stupire e di scioccare
lo spettatore finisce forse per stemperare la spontaneità e la
leggerezza che contribuiscono al fascino di molte altre sue opere. E'
d'obbligo citare qui un libro di altissimo livello culturale, pubblicato
nel 1979 in America da Douglas R. Hofstadter, Gödel, Escher,
Bach: an Eternal Golden Braid; le considerazioni e le proposte di
Hofstadter, professore di Scienza Cognitiva e Informatica presso l'Indiana
University, sono estremamente complesse e inseriscono l'opera di Escher
in un contesto autoreferenziale, che porta per logiche diramazioni al
concetto stesso di Intelligenza e di Intelligenza Artificiale, del quale
fanno parte anche l'opera di Johann Sebastian Bach e le teorie logico-matematiche
di Kurt Gödel. L'autoreferenzialità di Escher sta secondo
questa tesi negli Strange Loops, gli Strani Anelli, di
cui il citato Specchio magico potrebbe essere un ottimo esempio,
ovvero situazioni in cui inizio e fine coincidono dopo una sorta di
movimento apparente. Scrive Hofstadter:
"Escher ha creato alcuni disegni che sono fra i più concettualmente
stimolanti di tutti i tempi. Molti hanno la loro ispirazione in paradossi,
illusioni o doppi sensi. I matematici furono tra i primi ammiratori
dei disegni di Escher , e si capisce perchè: spesso essi sono
basati su princìpi matematici di simmetria o di regolarità...
Ma in un disegno tipicamente escheriano c'è molto di più
di semplici simmetrie e regolarità; spesso c'è un'idea
di fondo che viene realizzata in forma artistica. In particolare lo
Strano Anello è uno dei temi più frequenti nell'opera
di Escher. Guardiamo per esempio la litografia Cascata e confrontiamo
il suo anello eternamente discendente (a sei componenti) con l'anello
eternamente discendente del "Canon per Tonos". La somiglianza
tra le due immagini è notevole. Bach e Escher esprimono uno
stesso tema in due "chiavi" diverse: musicale e visiva.
- Escher ha realizzato diverse versioni di Strani
Anelli, che possiamo classificare secondo la maggiore o minore ampiezza
dell'anello. La litografia Salita e discesa, nella quale vediamo
i monaci che si aggirano in eterni anelli, ci dà la versione
più ampia, vista la quantità di gradini che intervengono
prima che si raggiunga di nuovo il punto di partenza. Un anello più
stretto è contenuto in Cascata, dove, come abbiamo già
visto, intervengono soltanto sei componenti discrete. Certo si può
pensare che ci sia una qualche ambiguità nella nozione di "numero
di componenti": per esempio in Salita e Discesa non sarebbe
possibile individuare quattro livelli (le rampe) piuttosto che quarantacinque
(i gradini)? In effetti il conteggio dei livelli comporta una vaghezza
intrinseca, non solo nei quadri di Escher, ma in genere nei sistemi
gerarchici a più livelli". (9)
Escher e la Storia dell'Arte
Chi si è occupato di Escher ha spesso cercato di capire se nelle
immagini create dalla matita e dalla sgorbia del geniale artista olandese
si nascondano, nonostante le sue stesse affermazioni, simboli, allegorie,
enigmi, crittografie, rebus o comunque qualcosa di segreto. Tentativi
non riusciti a quanto si sa. Se ne è dedotto che Escher non voleva
dire nulla di più di quanto si vede nelle sue opere e che, pertanto,
da un lato la sua ricerca estetica si identifica con la ricerca geometrico-formale,
dall'altro la sua idea di bellezza risiede nella purezza del segno,
nell'armonia anche apparente delle composizioni e nei paradossi illusionistici
che solo la matita può creare. Eppure, al di là delle
intenzioni consapevoli o inconsapevoli dell'artista e al di là
dell'adesione ufficiale a un gruppo, corripondenze stilistiche e metodi
non sono nuovi e portano a un movimento preciso, il Surrealismo. Le
affinità di Escher con Magritte in particolare sono notevolissime,
come abbiamo già sottolineato, e anzi si può parlare di
sicure influenze reciproche. Eppure Escher non viene di norma citato
nè tra i surrealisti nè tra gli epigoni del movimento,
mentre risulta a volte inserito nell'Optical Art, insieme ad Albers
e a Vasarely. C'è sicuramente un problema di contenuti, perchè
se l'olandese appare nel complesso vicino alle scelte figurative surrealiste
di Ernst, Magritte, Dalì, Delvaux, Mirò e Calder, è
invece difficile apparentarlo alla ricerca interiore, psicanalitica
e onirica che trasuda in particolare dalle pagine esplicative di Breton
o di Roussel.
Molti saggisti hanno anche cercato di identificare i predecessori di
Escher negli inganni e nelle llusioni ottiche, nei pezzi di bravura
legati alla specularità e nella costruzione di oggetti impossibili.
I nomi più di frequente accostati a Escher sono Jan Van Eyck,
il Parmigianino, l'Arcimboldo, Bosch, i Bruegel, Velazquez, Vermeer,
Piranesi e alcuni pittori gotici di scuola toscana. Tra questi, l'unico
esplicitamente indicato da Escher è Hieronymous Bosch, del quale
esistono citazioni documentate in alcune opere (i personaggi di Belvedere
ad esempio) e una copia litografica dell'Inferno, eseguita da
Escher nel 1935. Le radici fiamminghe, sorprendenti come lo specchio
convesso di Van Ejck nei Coniugi Arnolfini, rappresentano sicuramente
una matrice evidente del lavoro di Escher, ma la ricerca analitica di
simili particolari, se non addirittura di errori prospettici della pittura
del passato che potrebbero aver influenzato Escher, non sembra
portare molto più in là di un esercizio accademico. Forse
è più stimolante invece chiedersi quali altri pittori
prima di lui abbiano così profondamente privilegiato il rapporto
tra pittura e geometria, tra superficie e volume, tra illusione e realtà;
i nomi di Paolo Uccello, di Piero della Francesca, ancora di Bosch e
Velazquez naturalmente, di Caravaggio, di Andrea Pozzo, di George Seurat,
di Paul Cezanne, vengono sùbito alla mente insieme ai contemporanei
Malevic e Mondrian, ma un altro grande genio meriterebbe innanzitutto
di essere con Escher confrontato e studiato, nei suoi disegni tecnici
in particolare: Leonardo da Vinci. Tutte pagine di storia e di critica
ancora da scrivere.
Nella mostra romana, sui cartelloni di presentazione,
si legge una citazione di Escher su un'opera tra le sue più note,
Relatività (litografia del 1953, fig. 18, dettaglio
qui a fianco):"Sulla
scala superiore procedono due persone, una accanto all'altra nella stessa
direzione. Evidentemente è impossibile che queste persone entrino
in contatto perché vivono in due mondi diversi e, per questo,
l'uno non è a conoscenza dell'esistenza dell'altro"(10).
Per Escher quindi l'immagine non è ambigua, ma doppia, cioè
sovrapposta: la sua intenzione non è di rappresentare un mondo
in cui non si sa se si sale o se si scende, ma di rappresentare contemporaneamente
due mondi intersecati tra loro in uno dei quali, su quella rampa di
scale, si scende, mentre nell'altro, su quella stessa rampa di scale,
si sale. Per ottenere questo effetto mirabolante, Escher manipola da
maestro gli oggetti e costruisce ad esempio gradini che hanno, a differenza
di quasi tutti i gradini del mondo, l'alzata uguale alla pedata (di
solito il rapporto è invece nettamente diseguale, anche di uno
a due) e non sono rivestiti. Detto in altri termini: Escher qui come
in tanti altri quadri ci inganna, gioca con l'architettura come con
le montagne, con le ali degli uccelli come con i volti degli uomini,
e ci rende partecipi dell'inganno. Per questo ha bisogno di semplificare
le immagini, perché le sfumature o i dettagli renderebbero impossibile
il trucco, la sovrapposizione, la doppiezza; e anche quando la struttura
prospettica non è complessa, il suo segno di intagliatore rimane
netto, pulito, quasi da grafico pubblicitario, con figure che sembrano
definite - sia detto senza alcuna intenzione dispregiativa - in guisa
di fumetto.
Una cifra stilistica e una scelta tecnica molto precise, che tuttavia
lo hanno limitato in qualche modo, lo hanno escluso dalla Pittura intesa
come grande arte della rappresentazione o dell'astrazione, arte dei
mille colori del mondo o della fantasia, arte della ricchezza della
natura o dei sogni, e che di fatto lo hanno escluso da gran parte dei
manuali di Storia dell'Arte. Un paradosso, se si guarda alla grande
e vasta popolarità di Escher, ma anche un segnale del suo essere
considerato, da molti addetti ai lavori, più un virtuoso che
un vero grande artista, più un disegnatore che un pittore autentico,
erede in questa sorta di declassamento storicocritico tanto di un altro
grande eccentrico, il manierista Arcimboldo, quanto di un altro fantasioso
incisore, il romantico-neoclassico Giovanni Battista Piranesi.
Ecco allora proporsi in modo intuitivo, ma su basi senz'altro ragionevoli,
una spiegazione alla curiosa negligenza degli storici nei confronti
di Escher: nel contesto dell'arte del Novecento, Escher non ha proposto
temi espliciti legati al pensiero politico o sociale, al disagio esistenziale,
all'ambiguità della cultura, e non ha proposto soluzioni e invenzioni
tecniche, anzi si è comportato da provetto artigiano. Eppure,
le sue immagini sono utilizzate spesso per illustrare, in articoli o
libri, proprio quello che Escher non voleva proporre, allegorie, simbologie,
metafore, schizofrenie. Ma se l'artista vuole rimanere al di sotto della
soglia dell'indicibile e proporre esclusivamente paradossi grafici e
matematici a un pubblico curioso, è lecito utilizzare i suoi
disegni per illustrare tutt'altro? è lecito investirli di altri
significati e simbologie? La domanda è retorica, perchè
chiunque si occupi di arte sa bene che tutto ciò è
lecito e anzi inevitabile. Anche Escher lo sa, ma sembra entrare in
antagonismo addirittura con tutti, quando scrive che "anche se
la maggior parte dei miei temi mi sembrano obiettivi e impersonali,
ho constatato che quasi nessuno percepisce nello stesso mio modo ciò
che si può osservare nel nostro ambiente" (11).
E' la sottile polemica di un raffinato disegnatore che, al pari del
professor Coxeter, vorrebbe con i disegni fare scienza e non arte? Di
certo, si avverte in tutte le affermazioni di Escher una voluta trascuratezza
verso gli aspetti psicologici della percezione, che pure è il
tema principale delle sue ricerche.
A Escher, il proprio gioco appare esplicito e trasparente, obiettivo
e impersonale; non crea angosce o dubbi, deve solo stupire e divertire,
come una prestidigitazione. Ma nel momento in cui un'opera non resta
nello studio dell'artista e viene consegnata al pubblico, quell'opera
apparterrà a tutti. E' assolutamente legittimo allora trovare
nelle opere di Escher ambiguità o ironia, incertezza o liricità,
ottimismo o disperazione, nei limiti ovviamente di interpretazioni calibrate
e razionali. E se quindi, come si diceva prima, Escher non ha coscientemente
proposto determinati temi, ci hanno pensato le sue opere a farlo. La
lontananza del creatore da movimenti, gruppi o stili dominanti non può
certamente isolarlo, come se i suoi occhi fossero ciechi o le sue orecchie
sorde alle immagini e alle voci intorno a lui. Escher forse sentiva
di essere diverso, forse credeva di scoprire in sè qualcosa di
mai realizzato e di mai affrontato, ma nel momento in cui affidava,
con ansia, la sua ricerca al pubblico e quindi agli altri, annullava
la propria distanza, si calava nel suo tempo e nell'arte del suo tempo.
L'intuito e alcuni dati concreti sembrano allora volerci dire che Escher,
seppure isolato, seppure alieno dai movimenti, non esce fuori dal
nulla; era un artista indipendente, che va comunque collocato in
una dimensione parallela alle Avanguardie del Novecento, tra Surrealismo
e Optical Art. Non si tratta di una novità, mille altri personaggi
difficili e difficilmente etichettabili sono sempre esistiti, e non
sembri incongruo ricordare qui per tutti il nome non di un pittore,
ma di un poeta e narratore tra i più grandi, Jorge Luis Borges,
accomunabile a Escher anche per altre vie. Se, infine, nei manuali di
Storia dell'Arte del 2105 Escher sarà compreso o no, e se nel
2105 sarà organizzata una mostra a Roma per ricordare quella
di oggi, è impossibile a dirsi naturalmente, ma le impronte lasciate
da Maurits Cornelis Escher nella storia della pittura, e non solo della
grafica, sono probabilmente più profonde di quanto oggi potremmo
immaginare.
Pozzanghera, xilografia, 1952
Note al testo
1) In M. C. Escher, Grafica e Disegni,
Köln, Taschen 1990, Escher propone queste dieci sezioni: I. Prime
opere, II. Divisione regolare del piano, III. Lo spazio illimitato, IV.
Cerchi e spirali spaziali, V. Immagini riflesse, VI. Inversioni, VII.
Poliedri, VIII. Relatività, IX. Conflitto tra superficie e spazio,
X. Edifici impossibili
2) In italiano
si trovano su Grafica e Disegni (op.cit.) e M . C. Escher, Esplorando
l'infinito, Milano, Garzanti 1991.
3) Cfr. la descrizione relativa
su Grafica e Disegni (op.cit.)
4) In particolare
si veda il testo di Bruno Ernst, Der Zauberspiegel des M. C. Escher,
Berlin, TACO, 1986
5) Bruno Ernst, op.
cit.
6) Cfr. la descrizione
relativa su Esplorando l'infinito (op.cit.)
7) Lionel and Roger
Penrose, Impossible objects: A Special Type of Visual Illusion,
British Journal of Psychology, vol. 49, 1958
8) Cfr. la descrizione
relativa su Grafica e Disegni (op.cit.)
9) Cfr. Douglas R.
Hofstadter, Gödel, Escher, Bach. Un'eterna ghirlanda brillante,
Milano, Adelphi, 1990, pp. 11-12
10) Cfr. la descrizione
relativa su Grafica e Disegni (op.cit.)
11) Cfr. l'introduzione
di Grafica e Disegni (op.cit.)
Tutte le opere di M. C. Escher riprodotte in questo
articolo sono protette da copyright (c) 2005 e appaiono grazie al permesso
della M. C. Escher Company, Olanda.
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Elenco della illustrazioni nella colonna a destra (con il titolo
inglese di riferimento):
Figura 1 - Tropea, litografia del 1931
Figura 2 - Strada a Scanno, xilografia del 1930 (Street in
Scanno)
Figura 3 - Vitorchiano nel Cimino, xilografia del 1925
Figura 4 - Porta Maria dell'Ospedale, Ravello, xilografia del
1932
Figura 5 - Balconata, litografia del 1945 (Balcony)
Figura 6 - Corteccia, xilografia del 1955 (Rind)
Figura 7 - Otto teste, xilografia del 1922 (Eight Heads)
Figura 8 - Sempre più piccolo, xilografia del 1956 (Smaller
and Smaller)
Figura 9 - Limite del cerchio III, xilografia del 1959 (Circle
Limit III)
Figura 10- Rettili, litografia del 1943 (Reptiles)
Figura 11- Mani che disegnano litografia del 1948 (Drawing
Hands)
Figura 12- Specchio magico, litografia del 1946 (Magic Mirror)
Figura 13- Su e giù litografia del 1947 (Up and Down)
Figura 14- Altro mondo, xilografia del 1947 (Other World)
Figura 15- Belvedere, litografia del 1958
Figura 16- Cascata, litografia del 1960 (Waterfall)
Figura 17- Salita e Discesa, litografia del 1961 (Ascending
and Descending)
Figura 18- Relatività, litografia del 1953 (Relativity)
Bibliografia di riferimento
Nell'occhio di Escher. Catalogo della mostra, Milano, Electa
2004
Marco Bussagli, Escher, Firenze, Giunti 2004
Michele Emmer, Il fascino enigmatico di Escher, Napoli, CUEN
1989
Bruno Ernst, Der Zauberspiegel des M.C. Escher, Berlin, TACO,
1986
M. C. Escher, Grafica e Disegni, Köln, Taschen 1990
M. C. Escher, Esplorando l'infinito, Milano, Garzanti, 1991
Douglas R. Hofstadter, Gödel, Escher, Bach. Un'eterna ghirlanda
brillante. Una fuga metaforica su menti e macchine nello spirito di
Lewis Carroll, Milano, Adelphi, 1990
J. L. Locher, M.C. Escher: His Life and Complete Graphic Work,
New York, Thames and Hudson, 1992
Doris Schattschneider, Visioni della simmetria. I disegni periodici
di M. C. Escher, Bologna, Zanichelli, 1992
Scelti sul Web
The
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http://home.comcast.net/~eschermc/
The Official WebSite
of M. C. Escher Foundation
http://www.mcescher.com/
The
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http://www.mathacademy.com/pr/minitext/escher/index.asp
Professor
Emeritus H.S.M. Coxeter
http://www.math.toronto.edu/~coxeter/
Per approfondire la conoscenza della vita di Escher, dei rapporti tra
Escher e le scienze e degli scritti più recenti si utilizzi il
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scrivendo il cognome dell'artista aggiunto ai vari argomenti da analizzare,
ad es. "escher geometria" oppure "escher frattali"
oppure "escher magritte", eccetera. I risultati sono numerosissimi
e vale la pena di visitare, di volta in volta, tutti i primi siti elencati.