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“L'imaginaire matérialisé”:
Immagine e scrittura in J.-P. Sartre.
di Paolo Tamassia

 

L'immaginazione e la tesi d'irrealtà

 

Gli studi sull'immaginazione e sull'immaginario, elaborati alla fine degli anni trenta, costituiscono il primo momento di riflessione teorica nell'opera di Sartre[1]. Un interesse così pronunciato in quel periodo per la teoria dell'immagine risulta tutt'altro che ingiustificato o sprovvisto di motivazioni: s'inserisce infatti nel processo di acquisizione, nonché di rielaborazione della fenomenologia husserliana, operato da Sartre in seguito al suo soggiorno a Berlino. Nel tentativo di dare un nuovo statuto all'immagine e all'immaginario, Sartre enuclea dei principi estetici che non solo saranno presenti e operativi in tutta la sua opera critica ma, pur subendo profonde rielaborazioni e modifiche, gli permetteranno di superare i limiti e le impasses sorti con la sua teorizzazione della letteratura impegnata. Non è un caso infatti se L'Idiot de la famille (1970-71) - l'ultima ricchissima e incompiuta opera di Sartre - verrà considerato dall'au­tore stesso una prosecuzione ed un'evoluzione delle teorie elaborate nell'I­maginaire[2].

Nell'Imagination,  dov'è sviluppata soprattutto la pars destruens d'una nuova teoria dell'immaginazione, Sartre si applica a confutare, con notevole acutezza e indubbia parzialità, le principali teorie dell'immagine enucleate da Cartesio a Bergson. Queste a suo vedere, pur nelle loro diffe­renti articolazioni, sono tutte fondate su un particolare errore:  "l'illusione d'immanenza". Questo sviante atteggiamento teoretico consiste nel concepire l'immagine come un oggetto, ossia come un possibile ed eventuale contenuto della coscienza. Sartre al contrario, facendo propria la teoria husserliana dell'intenzionalità, afferma con decisione che l'immagine non è una cosa bensì un atto  di coscienza:

 

Il n'y a pas, il ne saurait y avoir d'images dans la conscience. Mais l'image est un certain type de conscience. L'image est un acte et non une chose. L'image est con­science de quelque chose[3].

 

L'immagine dunque non si offre con la consistenza d'un dato reale ma si risolve in un processo intenzionale: è  un rapporto i cui poli sono la coscienza e l'oggetto verso cui essa si trascende. Qualche anno dopo, nell'Imaginaire, Sartre analizza più in dettaglio la struttura intenzionale della coscienza immaginativa e il risultato cui essa dà vita: l'immaginario, concepito come suo correlativo noematico. In questa ulteriore riflessione Sartre sottrae l'immagine a ogni processo conoscitivo e la separa dall'ambito della percezione. Così, nell'articolarsi dei ragionamenti con cui l'immaginazione viene separata dalla percezione, si delinea il fondamento dell'attività immaginante.  Le minuziose argomentazioni dimostrative  sartriane mostrano come percezione e immaginazione siano effettivamente due funzioni proprie della coscienza; le quali però non possono essere poste in atto contemporaneamente. Infatti, se l'attività percettiva intenziona oggetti reali e presenti, quella immaginativa, per contro, dà luogo a oggetti irreali o comunque assenti. Ecco dunque la specificità dell'immaginazione: essa non produce dei dati reali ma pone oggetti irreali:

 

Toute conscience pose son objet, mais chacune à sa manière. La perception, par exemple, pose son objet comme existant. L'image enferme, elle aussi, un acte de croyance ou acte positionnel. Cet acte peut prendre quatre formes et quatre seule­ment: il peut poser l'objet comme inexistant,  ou comme absent, ou comme existant ailleurs; il peut aussi se «neutraliser», c'est-à-dire ne pas poser son objet comme exi­stant. Deux de ces actes sont des négations: le quatrième correspond à une suspen­sion ou neutralisation de la thèse. Le troisième, qui est positif, suppose une négation implicite de l'existence naturelle et présente de l'objet[4].

 

L'immaginazione - asserisce Sartre - si distacca dalla realtà, la nega e costituisce un oggetto irreale: "ainsi l'acte imaginatif est à la fois, constituant, isolant, et anéantissant"[5]. In ultima analisi, l'acquisizione più importante tra queste riflessioni è di certo quella che attribuisce alla coscienza immaginativa un potere nullificante; l'immaginario opera una riduzione al nulla  del reale, ponendo una tesi d'irrealtà: "Nous saisisson à présent la condition essentielle pour qu'une conscience puisse imager: il faut qu'elle ait la possibilité de poser une thése d'irréalité"[6].

La discussione sulle tesi sartriane dell'immagine non è certo mancata ma le critiche sono state dirette soprattutto a diversi punti fondanti della sua teoria esposta nell'Imagination e  nell'Imaginaire[7]. Ci si è però solo raramente soffermati ad osservare il recupero e la trasformazione della dimensione immaginaria in altre opere di Sartre.

Percorrere gli itinerari in cui Sartre utilizza, ripensandoli e rielaborandoli, i principi della teoria dell'immaginario presenti nei testi teorici d'anteguerra è tanto più importante in quanto consente di evincere e tentare di risolvere un curioso paradosso: come conciliare, infatti, la tesi d'irrealtà posta a fondamento dell'attività immagi­nante e dell'immaginario, con le intenzioni e le proposizioni del Sartre teorico dell'im­pegno[8]? La letteratura engagée veniva concepita come azione concreta nel mondo: svelamento e trasformazione della realtà e della società da parte d'un autore libero e cosciente. Come sarà possibile allora raggiungere la realtà passando attraverso una scelta d'irreale, dato che la letteratura e l'arte in genere sono comunque basate, per Sartre, sull'immaginazione e sull'immaginario? Isola di irrealtà, l'immaginario quale Sartre lo concepisce, sembrerebbe un ostacolo piuttosto che un'effettiva possibilità di operare sul mondo.

Per sciogliere tale nodo bisogna individuare quei momenti in cui l'attività immaginante viene colta nel suo attuarsi, nel suo concreto nascere e svilupparsi. È nell'opera singolare e paradossale di Sartre biografo che s'incontrano le maggiori espressioni dell'immaginario: la metamorfosi di Jean Genet da ladro a scrittore, descritta nel Saint Genet comédien et martyr e la complessa trasformazione di Flaubert da idiota della famiglia a grande scrittore, raccontata nell'Idiot de la famille, sono luoghi eminenti in cui emerge un approfondimento della teoria dell'immaginario, dove si delineano nondimeno alcune soluzioni estetiche di notevole attualità.

 

L'immaginario e la «vittoria verbale» di Genet

 

Ancora bambino, Genet viene condannato dalla società dei Giusti ad essere ladro. Ben presto comprende che per superare la propria alienazione, provocata dall'identità imposta, può solo adoperarsi per approfondirla e consolidarla: in tal modo potrà impadronirsene e rendersene autore. Stando così le cose, volendo infine ribellarsi  ai suoi accusatori, schierati dalla parte del Bene os­sia della pienezza dell'essere, Genet si vede costretto a collocarsi nella po­sizione opposta: dalla parte del Male, vale a dire del non-essere.

In realtà nello schema ontologico di Genet-Sartre il Male, piuttosto che realizzare il non-essere, lo progetta. Infatti il Male, non potendo coinci­dere con l'essere, che è totalmente buono, e non riuscendo a identificarsi effettivamente col non-essere, che non è nulla, consiste in un essere che si sottrae alla bontà dell'essere e che si dirige verso il non-essere. Dati questi presupposti, si può concludere che il male affonda le sue radici nell'immaginario la cui at­tività, secondo Sartre, effettua un'irrealizzazione del reale: "le Mal ne se fait pas; il s'imagine; là  est la solution de toutes ses contradictions. Le Mal radical n'est pas le choix de la sensibilité, c'est celui de l'imaginaire"[9].    Trasformandosi da ladro ad esteta, Genet incarna nella sua persona il nulla dell'immagi­nario e trova la legge che può guidarlo: la Bellezza; essa infatti impone al mondo immaginario un ordine estraneo al Bene.

Ma per attuare tale progetto di liberazione, riappropriandosi volontariamente di un'identità attribuita dall'esterno, all'esteta non rimane che conquistare la dimensione artistica: deve realizzare fuori di sé quell'immagina­rio che fino ad allora costituiva la sua forma d'esistenza. La vittoria di Genet, afferma Sartre, è verbale: la scrittura, materializzazione dell'imma­ginario, gli permette di poter compiere la rivolta nei confronti dei Giusti e farsi soggetto attivo:

 

En se faisant exister comme objet pour autrui, Genet se crée dans l'en soi. Sans doute, il n'aura jamais l'intuition de ce qu'il crée. Mais s'il ne peut jouir de soi dans l'autre, du moins connaît-il la joie de se produire.  Il joue sur un clavier dont il n'en­tend pas le son mais il sait qu'on entend là-bas dans la chambre voisine, les notes se suivent dans l'ordre qu'il a choisi, avec l'intensité qu'il a voulue, il sent le mouvement de ses doigts, la résistance des touches, il devine qu'il réussit tous ses effets dans les oreilles des autres. Il a gagné. Tenu pour voleur, il voulait le devenir: mais on ne donne pas l'être à ce qui est. Le coup de génie, l'illumination qui découvre l'issue, c'est le choix d'écrire[10].

 

Il percorso che conduce Genet alla sua vittoria "verbale" e reale, si svolge seguendo l'approfondimento d'una idea che Sartre aveva soltanto accennato nell'Imaginaire: chi vuole produrre l'immaginario deve irrealizzare non solo il mondo, o una parte di questo, ma contemporaneamente anche se stesso:

 

Pour le reste, l'objet en image est un irréel. Sans doute il est présent mais, en même temps, il est hors d'atteinte. Je ne puis le toucher, le changer de place: ou plutôt  je le peux bien, mais à la condition de le faire irréellement, de renoncer à me servir de mes propres mains, pour recourir à des mains fantômes qui distribueront à ce visage des coup irréels: pour agir sur ces objets  irréels, il faut que moi-même je me dédouble, que je m'irréalise[11].

 

In sede strettamente teorica, Sartre non avvertiva la necessità di sviluppare, o comunque far emergere alcune eventuali conseguenze dal principio dell'irrealizzazione; nel Saint Genet, invece, l'imporsi di alcune scelte nelle vicissitudini della vita d'un individuo concreto costringono il biografo a mettere alla prova, soppesare e trasformare le proprie teorizzazioni, nonché a valutarne l'effettiva portata nel loro impatto con la realtà. L'incontro di Genet con l'immaginario avviene in pieno accordo con lo schema semplicemente abbozzato nell'Imaginaire: "pour former une image, il faut  se décrocher de l'être et se projeter vers ce qui n'est pas encore ou vers ce qui n'est plus, bref se néantiser"[12]. Nella fattispecie ciò comporta un evento di enorme importanza: "à chaque fois qu'il imagine, Genet fait l'expérience de son néant"[13]. L'esperienza della propria irrealizzazione rivela a Genet delle qualità e delle possibilità proprie dell'immaginario che prima gli erano sconosciute. In particolare scopre che l'immaginazione ha una duplice valenza: la scelta del nulla non è solo una dichiarazione d'impotenza, può essere anche un atto blasfemo di autocreazione:

 

L'imagination est à double face; si le juste veut en faire un bon usage, elle est aveu d'impuissance: on imagine ce qu'on ne possède pas et ce qu'on ne peut créer; mais si quelque âme orgueilleuse et perdue aime les images pour elles-mêmes et prétend créer un ordre des faux-semblants, univers parasitaire qui se nourrit cyniquement du nôtre, caricature diabolique de la Création, alors l'imagination devient blasphème et défi: puisque l'homme en tant qu'être vient de Dieu, il se choisira résolument imaginaire pour ne se tenir que de lui seul. Le rêve manifeste le règne humain parce que l'homme seul peut produire l'apparence; mais c'est pour présenter aussitôt ce royaume comme un néant. En rêve l'homme peut tout mais cet empire absolu n'est que l'absolu pouvoir de se détruire. L'homme de Genet, créature de l'orgueil, s'arrache à l'être pour se cantonner dans le pur paraître. Faute de pouvoir se créer, il se produit en apparence et comme une apparence[14].

 

 Dunque l'irrealizzazione di se stesso consente a Genet di operare trasformazioni determinanti nella propria vita, schiudendo nuove prospettive all'immaginazione: essa muta fisionomia, e assume differenti statuti, a seconda dei presupposti etici del soggetto che la intenziona. Dalla parte opposta ai giusti è possibile trovare un immaginario non connotato come pura fuga da una realtà difficile da affrontare; anzi, all'interno di differenti confini etici, l'immaginazione si fa motore d'un processo attivo di trasformazione di sé e della realtà circostante.

La creazione d'un mondo parassitario di vane apparenze e falsi esseri, intenzionato e posseduto solo a costo di rendere irreali anche se stessi, finisce per identificarsi, secondo Sartre, con un'attività masturbatoria; l'immagine diventa la mediazione del Narciso con se stesso: "Nous découvrons enfin le secret de cette vie imaginaire: l'image est l'inconsistante médiation qui rejoint Narcisse à lui-même. L'Opéra fabuleux aboutit à la masturbation"[15]. Eppure la specificità di questa azione onanistica (per definizione sterile e gratuita) rivela  una proprietà straordinaria e inaspettata dell'immaginario:  

 

Non, l'onanisme de Narcisse n'est pas, comme un vain peuple le pense,  une petite galanterie qu'on se fait vers le soir, la récompense gentille et gamine d'un jour de labeur: il se veut crime. C'est de son néant que Genet a tiré sa jouissance: la solitude, l'impuissance, l'irréel, le mal ont produit directement et sans recourir à l'être un événement dans le monde[16].

 

Il nulla, l'irreale hanno prodotto un effetto nel mondo, proprio in quella realtà dove la pienezza dell'essere incarnata dai Giusti aveva impedito al reprobo ogni sorta di sopravvivenza che non fosse quella alienata nell'identità di ladro: "Il peut donc y avoir une causalité de l'imaginaire. Le néant, sans cesser d'être néant, peut produire des effets réels"[17]. Ma che valenza ha tale causalità dell'immaginario, annunciata in questa tappa dell'esistenza di Genet? Soprattutto bisogna evitare di cadere nell'equivoco di attribuirle quel valore funzionale peculiare della prosa su cui si fondava la letteratura impegnata: l'immaginazione non sostituisce uno strumento ad un altro. Infatti l'immaginario non appartiene al mondo dei segni: le immagini non sono assimilabili alla dimensione della prosa, quale era stata tematizzata da Sartre in Qu'est-ce que la littérature?. Se il segno rimanda a qualcosa di esterno a sé, l'immagine trascina la realtà sotto il segno del nulla.

 In questa fase della liberazione di Genet emerge un dato fondamentale: l'immaginario non è luogo d'evasione e di fuga ma costituisce al contrario un momento di operatività sul reale. Genet si vuole realista - afferma Sartre - e la sua scelta di realtà lo conduce a immergersi nell'immaginario:

 

Sa volonté est réaliste. Il veut ce qui est. Mais l'objet même de cette volonté la change bientôt en un rêve. Genet sans cesser de vouloir le réel s'embarque dans l'imaginaire. Fidèle à son projet premier, il refuse de s'abandonner aux fictions: il ne sera pas de ceux qui tournent le dos à l'univers et qui s'enchantent de leurs images[18].

 

Insomma, se la prosa della letteratura impegnata presupponeva un rapporto di causa-effetto tra lo scrittore e il mondo attraverso l'opera, il nulla dell'immaginazione interrompe questa linearità trasparente: l'immaginario incarnato nell'opera produce effetti sulla realtà, al di là dei limiti predefiniti dal progetto dell'autore.

La vittoria definitiva di Genet, ossia la scelta della scrittura quale realizzazione dell'immaginario, genera nuove determinazioni della teoria dell'immagine,  che verrà comunque ulteriormente approfondita e articolata nell'Idiot de la famille.

 

"Scripta manent"[19]: L'Idiot de la famille e l'opera come centro permanente d'irrealizzazione

 

Nel percorso critico che intendeva individuare le motivazioni e le modalità dell'approdo di Flaubert alla letteratura, Sartre affida all'immaginario un ruolo centrale. Soprattutto si trovano nell'Idiot de la famille delle riflessioni illuminanti sulle complesse relazioni tra immaginario, letteratura e realtà. 

Da parte sua il piccolo Gustave si trova in una condizione di profondo disagio perché il padre autoritario si è sostituito a lui, sottraendogli l'essere. A causa di questa derealizzazione, il bambino si percepisce come irreale ossia imma­ginario. Per autocostituirsi e conquistare una propria individualità, sceglie di approfondire la propria identità immagi­naria; tanto che la sua opzione fondamentale sarà, nell'interpretazione sartriana, la scelta dell'immaginario[20]: "… au cours de ses relations ludiques avec sa sœur il se trouve amené à faire son option fondamentale; il luttait en vain contre la déréalisation, à présent il l'assume et  l'utilise; il a choisi l'imaginaire"[21]. In un primo momento Flaubert tenta d'impadronirsi del suo essere derealizzato fa­cendosi attore, ossia diventando qualcuno che produce l'immaginario per mestiere: da oggetto immaginario, si rende soggetto immagi­nario. Allo stesso modo d'una statua di Venere, analogon esistente d'un modello inesistente, l'attore è considerato da Sartre un:

 

 centre réel et permanent d'irréalisation (…). Il se mobilise et s'engage tout entier pour que sa personne réelle devienne l'analogon d'un imaginaire qui se nomme Titus, Harpagon ou Ruy Blas. Bref, chaque soir, il se déréalise pour entraîner cinq cents personnes dans une irréalisation collective[22].

 

Tanto più efficace si rivela la scelta di Gustave in quanto segna una decisa frattura con la morale della società borghese cui appartiene, dove l'essere viene misurato in proporzione al grado di praticità della professione svolta:

 

Il se fait en lui une conversion véritable et, à mon sens, capitale: puisque, dans la société qu'il  fréquente, l'être s'exprime avant tout par la profession qu'on exerce et se mesure à l'efficacité pratique et puisque d'autre part il ne peut combattre la déréalisation dont il souffre qu'en s'irréalisant chaque jour un peu plus, il va réparer cette fissure sans cesse agrandie en faisant de l'irréalisation son métier[23].

 

Ma incarnare sulla propria persona la nullificazione immaginaria, in virtù dell'attività di commediante, non è più sufficiente alle esigenze di liberazione di Flaubert. Il giovane Gustave deve effettuare un passaggio ulteriore e riuscire a materia­lizzare l'immaginario fuori di sé: da attore deve diventare autore. Il fallimento della sua aspirazione a diventare commediante è stato provvidenziale e determinante, perché gli ha consentito di scoprire un valore sconosciuto delle parole: "les médiateurs entre l'enfant déréalisé et le monde irréel où il se transporte par sa propre irréalisation, ce sont les mots"[24]. Durante gli anni del liceo, Gustave scopre il fascino e il potere della parola, e più propriamente della parola scritta.

Descrivendo il rapporto di Flaubert con le parole, in questa fase della sua personalizzazione, Sartre trova l'occasione per arricchire e, in qualche modo, completare la propria teoria dell'immaginario e della letteratura. Accade infatti che l'atto di scrivere rivela a Flaubert delle caratteristiche del tutto ignote e insospettate della parola scritta. Probabilmente l'attività verbale propria dell'attore gli impediva di percepire una valenza fondamentale della parola scritta:

 

Mais, si le mot résonnant dans sa tête ou vaguement prononcé fait fonction d'hallucinatoire, qu'a-t-il besoin, Gustave, de le faire passer dans sa plume pour le déposer, écrit, sur sa feuille? La réponse est qu'il veut le matérialiser et, tout ensemble, en pousser à fond l'imaginarisation. Les vocables qu'il répète dans sa tête et que personne n'entend ressemblent trop à des images, en un sens, pour fournir à la conscience imageante de bons analoga. Fugitifs, inécoutés, ils glissent et, malgré leur fascinante altérité, semblent appartenir au vécu dans sa pure subjectivité. Même  quand, dans la solitude, le petit Flaubert les prononce à voix haute, ils sont trop  siens encore pour s'imposer à son onirisme et le soutenir  jusqu'au bout car ils n'existent dans leur actualité sonore que le temps même que sa voix les déclame. Scripta manent. Certes sa main trace les graphèmes mais ils survivent au mouvement des doigts, s'isolent, se referment sur soi, prennent, dès que l'encre a séché, une existence indépendante, objective[25].

 

La parola scritta, straordinario agente di derealizzazione, acquisisce un'esistenza indipendente. È questa la scoperta del giovane Flaubert e l'approdo di Sartre ad un rinnovato rapporto con l'immaginario: la caratteristica di spontaneità che nell'Imaginaire era appannaggio della coscienza immaginante, ora viene attribuita anche all'immagine intenzionata e materializzata nella scrittura. La parola scritta, che materializza l'opera di derealizzazione dell'attività immaginante, acquista una individualità propria e un'efficace operatività sul reale. In tal modo vengono superati due ordini di difficoltà: in primo luogo è definitivamente dissipato il rischio d'una immaginazione evasiva che allontani l'uomo dalla realtà e dai suoi problemi; inoltre viene eluso anche il pericolo di assumere la causalità dell'immaginario, già individuata nel Saint Genet, come mezzo d'azione nel reale in alternativa al linguaggio segnico della prosa - quella prosa strumentale teorizzata da Sartre in Qu'est-ce que la littérature?.

Per il giovane Flaubert la lettera­tura, realizzando l'immaginario, diventa concreta possibilità di rottura col proprio autismo, precedentemente adottato come meccanismo di difesa contro l'alienazione:

 

… l'écriture, en même temps, qu'elle le sauve de l'autisme, est l'objectivation et la matérialisation de celui-ci. L'écriture, pour Gustave à cette époque, est un rôle qui, à mesure que l'acteur le joue, sans cesser d'être une détermination irréelle, persuade ce­lui-ci qu'il est le personnage pour de bon. Et par cette croyance même, jamais com­plète, le comédien accède pleinement au monde de l'imagination. La littérature du jeune Flaubert, c'est l'imaginaire réalisé[26].

 

 La dimensione dell'autore nella vita di Flaubert viene raggiunta, secondo l'analisi di Sartre, attraverso due momenti: quello del poeta e quello dell'arti­sta. Se l'atteggiamento poetico consiste nel fuggire dalla realtà verso l'imma­ginario, quello artistico intende sottrarre valore al reale: si adopera a derea­lizzarlo per realizzare l'immaginario. Flaubert riesce dunque a liberarsi dall'oppressione cui era costretto, solo conquistando l'arte; la scrittura, con la quale può materializzare la propria opera di nullificazione della realtà, diventa la via d'accesso ad un rapporto trasgressivo con la società. Questo almeno è il risultato cui perviene Flaubert, quale Sartre ce lo riferisce nei primi due volumi dell'Idiot de la famille. In effetti si deve riconoscere che, alla fine del terzo volume, il giudizio viene nuovamente capovolto, e la scelta dell'immaginario di Flaubert piuttosto che eversiva e ribelle pare assumere tutti i caratteri di adeguazione ai principi della classe borghese:

 

Ainsi, en vérité, l'Art pour l'Art, objectivement, apparaît comme une féodalité noire dont le principe, le Beau, est caché mais dont les Artistes sont, imaginairement, les chevaliers du Néant. Le rapport de Flaubert au réel (bourgeois) est la destruction imaginaire. Par là, nous comprenons que l'Art pour l'Art, féodalité irréelle, est, en vérité, la «couverture» que les écrivains et les artistes tirent avant l'heure sur la bourgeoisie qui s'est dangereusement découverte. Couverture imaginaire, bien entendu, mais qui en appelle une autre, imaginaire aussi mais  qui la consolide en distinguant les chevaliers du Néant, au nom d'une autre chevalerie, celle de la Mort (militaire). Dans le fond, je l'ai dit, repoussé par sa famille, hors du monde bourgeois, dans l'anomalie, Flaubert n'a jamais profondément souhaité (sans se le dire) que sa réintégration dans l'élite de sa classe (où étaient naturellement son père et son frère) à titre de Mandarin, mais il s'est voilé ce souhait irréalisable par son désir (également irréalisable) de déclassement[27].

 

Senza entrare nel merito di questo giudizio finale di Sartre, è comunque legittimo ritenere valide alcune analisi e alcune determinazioni teoriche sviluppate nel corso dell'opera critica sartriana e, nella fattispecie, all'interno dell'Idiot de la famille. Pur ritenendo questo studio un insieme unitario, non sembra fuori luogo individuarvi, delimitandoli, dei percorsi teorici e delle strategie critiche, che appaiono estremamente attuali.

La ribellione nei confronti dei Giusti da parte di Genet e nei confronti del padre e dei borghesi da parte di Flaubert avviene tramite una scelta dell'immaginario: della irrealizza­zione del mondo e di se stessi. Tramite successive fasi di maturazione e sviluppo, e differenti modi di assumere l'immaginario, riuscendo a rimuovere, o meglio a sfruttare situazioni di blocco o di stallo della propria esistenza, sia Genet che Flaubert sono pervenuti ad essere scrittori. È dunque una particolare ed inedita concezione dell'immagine e della scrittura, quindi della letteratura che emerge da queste eterodosse biografie. La letteratura, in quanto materializzazione dell'immaginario, non è uno strumento col quale lo scrittore, secondo le proposizioni della teoria dell'impegno, agisce diretta­mente sulla realtà, ma costituisce una dimensione dove interviene, al di là delle determinazioni volontarie e coscienti dell'autore,  il potere ever­sivo ed effettuale dell'irrealizzazione, del non-essere, del male.

 Sartre apre una via per superare l'impasse dell'im­pegno, ponendosi in una posizione di grande attualità. Nelle opere in cui riflette sul concreto farsi della letteratura, ricerca le motivazioni per cui alcuni individui abbiano trovato come unica via d'uscita, rispetto ad alcune aporie della propria esistenza, la scelta della letteratura. L'interrogativo posto all'inizio dell'Idiot de la famille: "que peut-on savoir d'un homme, aujourd'hui?", sembra trasformarsi piuttosto in: perché un uomo scrive? Interrogativo che implica forzatamente una presa di posizione sulla posta in gioco della scrittura. Ne viene che la scelta della letteratura è dominata da una scelta dell'immaginario, grazie alla quale lo scrittore mette in scena una nullificazione della realtà. In questo processo l'opera letteraria trasforma lo scrittore e produce effetti sulla realtà senza che ciò comporti un'attuazione volontaristica d'un progetto teorico prestabilito.



[1] J.-P. Sartre, L'Imagination,  Paris,  PUF, 1936, coll. Quadrige, 19893; L'Imaginaire,  Paris, Gallimard, 1940, coll. Folio/Essais, 1986.

[2] J.-P. Sartre, Sur «L'Idiot de la famille», in Situations X. Politique et autobiographie, Paris, Gallimard, 1976, p.101: "Je crois que la plus grande difficulté a été d'introduire l'idée d'imaginaire, l'imaginaire comme détermination cardinale d'une personne. Le livre [L'Idiot de la famille], tel qu'il se présente maintenant, se rattache d'une certaine façon à L'Imaginaire, que j'ai écrit avant guerre".

[3]J.-P. Sartre, L'Imagination,  cit., p. 162.

[4] Ibid., p. 32.

[5] J.-P. Sartre, L'Imaginaire, cit., p. 348.

[6] Ibid., p. 351.

[7] Una delle critiche più serrate alla teoria sartriana dell'immaginario è quella mossa da Gilbert Durand. Pur riconoscendo a Sartre l'indubbio merito d'aver isolato le caratteristiche dell'immaginario, separandolo dalla percezione e dalla memoria,  lo condanna per essere approdato ad una totale svalutazione dell'immagine e del ruolo dell'immaginazione nella psicologia e nell'arte: "Le mérite incontestable de Sartre a été de faire un effort pour décrire le fonctionnement spécifique de l'imagination et pour bien le distinguer - tout au moins dans les deux cents premières pages de l'ouvrage - du comportement perceptif ou mnésique. Mais à mesure que progressent les chapitres, l'image et le rôle de l'imagination semblent se volatiliser et aboutir en définitive à une totale dévaluation de l'imaginaire, dévaluation qui ne correspond nullement au rôle effectif que joue l'image dans le champ des motivations psychologiques et culturelles. Finalement, la critique que Sartre adressait aux positions classiques dans L'Imagination, leur reprochant de «détruire l'image» et de «faire une théorie de l'imagination sans images», se retourne contre l'auteur de L'Imaginaire", (G. Durand, Les Structures anthropologiques de l'imaginaire. Introduction à l'archétypologie générale, Paris, Bordas, 1969, Dunod, 1992, p. 19).

Durand sembra addebitare questo scacco della teoria sartriana soprattutto alla sua incapacità di cogliere il ruolo generale dell'opera d'arte e del suo supporto immaginario. Causa prima di tale difetto sarebbe il tradimento del metodo fenomenologico in favore d'uno psicologismo ristretto, nel quale il patrimonio immaginario dell'umanità viene indebitamente sottomesso all'ambito della coscienza (ibidem, pp. 19-21). La critica della concezione sartriana dell'immaginario coinvolge una più ampia riserva di Durand circa l'estetica di Sartre nel suo insieme. Questa, assimilata semplicemente e sbrigativamente alla teoria dell'impegno, ridurrebbe  l'arte ad una valenza strumentale, ad un momento dell'impegno del singolo nella situazione. Un'estetica siffatta insomma "subordonne - sostiene Durand - l'œuvre d'art à un «engagement» utilitaire qui en est fort éloigné, répudie les conceptions de l'art pour l'art et même la genèse de l'art à partir de ses sources anthropologiques: la religion et la magie" (ibidem, p. 20).

In realtà le crititiche di Durand, se da un lato mostrano d'avere qualche fondamento, da un altro appaiono piuttosto deficitarie in quanto non considerano altri luoghi dell'opera sartriana che presuppongono un approfondimento teorico della dimensione immaginaria e integrano le lacune presenti nell'originaria tematizzazione dell'Imaginaire. Va comunque ricordato che nel 1964, anno in cui Durand pubblica Les Structures anthropologiques de l'imaginaire, non era ancora uscito L'Idiot de la famille (1970).

Anche Carchia, in Immaginazione e Imaginaire in Jean-Paul Sartre ("Rivista di estetica", 42, XXXII, 1994, pp. 45-54), mette l'accento sui lati negativi dell'immaginario in Sartre (sapere degradato, inganno o autoinganno, diminuzione ontologica che pone l'immagine sotto il segno dell'evasione); ma riconosce che nella  dimensione artistica l'immaginario può essere recuperato perché qui l'immagine non si propone come mistificazione o copia ma si pone deliberatamente come anti-mondo e come finzione. Anche l'analisi di Carchia però si arresta alla considerazione dell'ultimo capitolo dell'Immaginaire senza spingere oltre la propria indagine. 

[8] Cfr. soprattutto Présentation des Temps Modernes,, in "Temps Modernes", n. 1, 1° ottobre, 1945, pp. 1-21, ripreso in Situations II, Paris, Gallimard, 1948 e Qu'est-ce que la littérature? ,  in Situations II, cit..

[9] J.-P. Sartre,  Saint Genet comédient et martyr, Paris, Gallimard, 1952, 1988, p. 398.

[10] Ibidem, p. 607.

[11] J.-P. Sartre, L'Imaginaire, cit., p. 240.

[12] J.-P. Sartre, Saint Genet comédient et martyr, cit., p. 401.

[13] Ibidem, p. 401.

[14] Ibidem.

[15] Ibidem, p. 409.

[16] Ibidem, p. 411.

[17] Ivi.

[18]  Ibidem, pp. 445-446.

[19] Scripta manent è il titolo di un paragrafo dell'Idiot de la famille, cit., vol. I, pp. 907-979

[20] L'opzione fondamentale corrisponde a ciò che Sartre chiama scelta originale, choix originel,  nel paragrafo intitolato "La psychanalyse existentielle" dell'Être et le Néant, (Paris, Gallimard, coll. Tel, 1988, pp. 616-635).

[21] J.-P. Sartre, L'Idiot de la famille, Paris, Gallimard, 1970, vol. I, p. 763.

[22] Ibidem, p. 788.

[23] Ibidem, p. 791.

[24] Ibidem, p. 923.

[25] Ibidem, p. 927.

[26] Ibidem, p. 940.

[27] Ibidem,  vol. III, p. 658.

 

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