NUDITA'
RECENSIONI

Rosella PrezzoVeli d’Occidente. Temi, metafore simboli

Bruno Mondadori, Milano 2008, pp. 140, ISBN 9 788861 591264

Velare, s-velare: da sempre il velo è associato alla femminilità o meglio alla nudità femminile, ora come icona esclusiva che evoca il desiderio di possesso, ora come movimento dell’intra-vedere in cui si nasconde e si custodisce la grazia e il mistero delle forme femminili. Del velo si può parlare in molti modi come illustra assai bene il prezioso volume di Rosella Prezzo, che inoltra il lettore in un variegato universo di pratiche discorsive caratterizzanti la ricca trama della nostra tradizione; si può dire che il velo rinvii alla nudità disvelata della verità (nuda Veritas), o alle apparenze ingannevoli dietro cui si cela la Natura (il velo di Maya o di Iside), o funga da mito speculare che si interpone nei rapporti tra Occidente e Oriente sia come desiderio più o meno esplicito di s-velare le donne sia come alimento per le fantasie erotiche dell’uomo occidentale, (si guardi l’ambito pittorico dalle Donne di Algeri di Delacroix alla Grande Odalisca di Ingres).

L’Autrice, che è una raffinata saggista e studiosa di Maria Zambrano, nel primo capitolo, Rivelazioni: in principio era il velo, assume il velo come evento dell’origine perché riveste un ruolo decisivo nelle “ri-velazioni” e nelle narrazioni delle grandi religioni monoteistiche e poi come traccia genealogica per decostruire e ricostruire «la questione dell’origine e della verità, del femminile e del fantasma di castrazione, della sessualità e della violenza in una zona di confine tra l’immaginario, il visivo, lo psichico e il concettuale» (p. 4).

Il pensiero occidentale da Platone a Lacan nasce dal movimento triplice di desiderare-vedere-sapere in cui il vedere è costitutivo del desiderio stesso come movimento di uno sguardo che spoglia e penetra, toglie i veli e mette a nudo: il filosofo è amante della Verità che si lascia spogliare e toccare con gli occhi.

La nuda Veritas, infatti, è una di quelle metafore assolute nel cui solco il velo mostra tutto il suo peso: «da accessorio, supplemento, si carica di un potere strutturante e si trasforma in principio ordinatore» (p.43). In un continuo gioco di rimandi, il nudo velato della Verità si associa alla figura femminile al punto che il trittico desiderare-vedere-sapere si raddoppia in quello femminile-velo-verità.

Del resto, la Verità ha sempre assunto dall’età classica forme e sembianze femminili; infatti, nel pieno trionfo dell’illuminismo, è una donna in piedi, nuda sotto veli leggeri, e da cui emana una luce irradiante, alle cui spalle la Ragione incoronata sta per toglierle il velo; si tratta dell’immagine-frontespizio dell’ultimo volume dell’Encyclopédie di Diderot cui fa da contraltare un’altra immagine, un’altra dea, la misteriosa Iside la cui statua a Sais recava la scritta: «Io sono tutto ciò che fu, che è, che sarà e nessun mortale ha ancora osato sollevare il mio velo». Qui Rosella Prezzo, accogliendo delle geniali suggestioni di un celebre saggio di Pierre Hadot “Il velo di Iside. Storia dell’idea di natura” (Einaudi, 2006), intreccia una trama filosofica debordante rispetto ai canoni della modernità. Da Kant ai Romantici, da Kierkegaard a Nietzsche, l’immagine della dea Iside, bella e fascinosa, che con il suo velo e il suo fruscio eccita il desiderio, è assunta a paradigma perturbante l’ordine stesso della conoscenza. Chi alza il velo della dea cade a terra senza sensi come il giovane protagonista del poema di Schiller, L’immagine velata di Sais (1795), il quale, penetrato nel tempio della dea di notte, è preso dal desiderio di vedere la dea.

Nella produzione di verità per Nietzsche – scrive la Prezzo – «c’è sempre anche creazione, evento, gioco, tragedia. L’oltre-mondo, con la presunta purezza della sua verità che non mette più in opera il confronto che opprime invece questo mondo, è l’inganno rassicurante dell’identità e dell’identico, dell’univoco e del fondamento» (p.69). La strategia di Nietzsche, in altri termini, nel di-svelare come ingannevole l’opposizione binaria che ha retto la storia stessa della metafisica (vero/falso, reale/apparente, bene/male), recupera l’alterità femminile “eccedente” che, coi suoi veli e i suoi giochi di scoprirsi e coprirsi, costituisce il significante sovversivo e ribaltante la medesima opposizione binaria. Giustamente l’Autrice, a conclusione di questo capitolo – che è il 2° del libro, Nelle pieghe del pensiero, una trama velata – osserva che Heidegger non afferra questa breccia nietzschiana impressa tra le possenti mura della tradizione occidentale per il semplice motivo che l’intreccio tra velo e verità giunge a compimento nella parola Aletheia (svelatezza) che è il luogo indecifrabile del velamento/svelamento dell’Essere che si ritrae mentre si mostra.

L’indagine sul velo non è però finita perché altri blocchi tipologici, altri innumerevoli fili si incuneano e si espandono in più luoghi e in più contesti lungo la storia dell’Occidente.

Nella testa delle donne è il terzo conclusivo capitolo del libro in cui la Prezzo sposta l’analisi in ambito culturale e antropologico interrogandosi sull’uso del velo, copricapo tradizionale delle donne, diffuso nella cultura islamica, ora contestato ora difeso nei rapporti tra oriente e occidente. In realtà, spiega l’Autrice, un ineluttabile desiderio di spogliare le donne musulmane è entrato così a far parte del complesso ideologico dell’Occidente in quanto conquistatore-liberatore. La lotta contro il velo è una componente strategica per neutralizzare la resistenza e favorire in maniera più rapida il processo di assimilazione ai valori occidentali.

Diverse le interpretazioni del suo significato: per alcuni la prescrizione coranica è un semplice invito alla modestia nel vestire femminile e non propriamente una regola religiosa. Il velo viene visto, quindi, come una tradizione ormai da superare. In quest’ottica, infatti, molte musulmane non lo usano più: per altri, invece, il velo è una prescrizione fondamentale o un segno di ordine sociale.

La questione si è poi complicata con la presenza crescente di donne musulmane in occidente: ci si è chiesti se il velo possa essere indossato anche nelle scuole e negli uffici, se esso possa considerarsi un’espressione di libertà culturale o invece un simbolo di discriminazione e di oppressione delle donne. Di contro, lo scoprirsi delle occidentali appare un’incredibile mancanza di pudore di fronte alla società musulmana: il velo diventa, in questo caso, un rimedio drastico e sicuro. Tuttavia, in alcuni paesi musulmani esso funziona come perno attorno a cui si è sviluppata una cultura al femminile con un proprio linguaggio simbolico come un mondo contrapposto a quello dei maschi. Le polemiche in Europa sul “ritorno del velo”, scrive la Prezzo, non colgono quasi nulla dell’ambivalenza del fenomeno e dei vari significati che esso può assumere. Occorre rivolgersi alla letteratura emergente postcoloniale, in specie alle scrittrici, per esplorare nuove frontiere identitarie capaci di posizionarsi in mezzo alle due sponde del Mediterraneo che si completano reciprocamente in uno scambio osmotico, oltre i miti speculari di Oriente ed Occidente.

(Aldo Meccariello)




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