François
Jullien
Il nudo impossibile Roma, luca sossella editore, 2004, pp. 94, ISBN 88-87995-59-1, Euro 10,00
Il nudo sembra impregnare di sé la cultura occidentale, la sua arte, la sua sensibilità, persino il suo rapporto con il sacro, è estraneo invece ad altre culture, per esempio a quella cinese, che pure ha dato tradizionalmente un ampio spazio alla rappresentazione della figura umana: a partire da questa semplice constatazione, il filosofo e sinologo François Jullien indaga le condizioni di possibilità del nudo alla luce dell’evidente attestazione di impossibilità espressa dall’assenza di ogni suo significato o importanza altrove. Il testo si apre identificando inequivocabilmente il nudo con l’Occidente stesso: “Credo lo si possa dire, una volta tanto, senza paura di cadere in generalità eccessive: se c’è un tratto rivelatore dell’avventura intellettuale dell’Occidente, estetica ma anche teorica, ossia che lo caratterizzi nei termini di una scelta propria (e permetta così di parlare d’Europa o di ‘Occidente’), è proprio il nudo. Scelta implicita, ovviamente, scelta sepolta, e che occorre dunque ricondurre alla luce per esplicitarla” (p. 9). Se nella tradizione occidentale il nudo è la cosa stessa, l’in sé, l’essenza dell’umano fin dalle prime testimonianze preistoriche, in Cina e nella sua estetica qualcosa deve invece aver opposto resistenza, visto che persino le rappresentazioni erotiche attestate almeno a partire dal XVI secolo non modellano affatto i corpi, anzi li lasciano apparire informi e grossolani, in contrasto con la raffinatezza del contorno. Radicalmente diversa risulta innanzitutto la concezione del corpo, non inteso secondo la sua articolazione anatomica isolabile dal resto e ben determinata, ma come un gioco complesso di forze e di energie cosmiche in circolazione, costantemente in contatto con l’ambiente circostante, il che spiega per esempio la tradizione dell’agopuntura o la grande attenzione che la pittura cinese accorda al paesaggio come qualcosa di vivente e in continua trasformazione. Nel pensiero occidentale prevale, almeno a partire dalla filosofia greca, la forma-idea come modello archetipico, il cui contorno si profila nel sensibile e nella sua conformazione più eccellente: qui Jullien individua la condizione di possibilità del nudo come indicazione della forma pura e perfetta nella sua distinzione: “il nudo non è una forma tra le altre, è la forma per eccellenza (il Nudo). È la forma essenziale che appare direttamente dal sensibile; […] in fondo, non abbiamo smesso di cercare, nel Nudo, una ipostasi della Forma” (pp. 29-30). Anche la perfezione del dio è rappresentata in Grecia dallo Zeus o Poseidone nudo di Capo Artemisio, le cui membra perfettamente scolpite e modellate secondo proporzioni geometricamente appurate rimandano in realtà alla trascendenza, tanto che persino Plotino, nelle Enneadi (V, 8), poteva sottolineare come quell’immagine non si riferisse ad alcun modello sensibile, ma riproducesse l’epifania stessa del divino, la sua rivelazione. La Cina non ha concepito invece una forma intelligibile oltre il sensibile, né una forma essenziale immutabile, il reale è stato pensato piuttosto in termini di sviluppo e processo (per esempio la via del Tao) o come energia cosmica costantemente in formazione e in emergenza, movimento che sarebbe assurdo voler mettere in posa: “Mentre il pensiero greco valorizza il formato e il distinto, da cui deriva il culto della Forma definitiva, esemplificata dal Nudo, la Cina pensa – raffigura – il transizionale e l’indiziale (nei modi del ‘sottile’, del ‘fine’, dell’‘indistinto’); ed è in questo che il suo pensiero è prezioso. Infatti il pensiero greco, fondandosi sul principio di contraddizione e attribuendo il massimo credito alla chiarezza (ancora Descartes: le idee chiare e distinte…), ci ha lasciato stranamente sguarniti a questo proposito: pensare (raffigurare) l’indistinto della transizione. Ecco perché la Cina ha privilegiato la raffigurazione dei bambù e delle rocce, delle onde e delle nebbie, e non del nudo” (p. 37). Il pittore cinese ‘scrive’ in realtà il mondo e l’intenzionalità umana allusivamente e ‘di traverso’, dando alle sue suggestioni vibrazione poetica ed espressione spirituale, ma questo è per Jullien “quanto vi è di più lontano dal partito preso oggettivante – isolante – incarnato dal nudo” (p. 62). In un caso abbiamo infatti solo un indizio o una traccia, nell’altro un vero e proprio simbolo del vero e dell’intero, di cui il bello è la forma ideale e il nudo l’immagine essenziale, pronta per un’incarnazione mitica (Adamo, Venere, Cristo). Attraverso il nudo, secondo Jullien, è la bellezza a trionfare nella tradizione occidentale, oggettivandosi formalmente ed esponendosi allo sguardo dell’occhio e alle sfide dello spirito. “L’uomo si ferma per contemplarsi. Si riconosce nel nudo, non più come un ente particolare, preso nella trama indefinita del mondo, ma in quanto è dell’‘essere’: in quanto è ‘uomo’ e nel suo destino di essere. Un nudo è questo tour de force” (p. 90).
Premessa (a cura di Gabriella Baptist)
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