C'è nudo e
nudo
di Andrea Bonavoglia La storia del nudo nell'arte occidentale coincide per buona parte con la storia della pittura e della scultura, persino laddove e quando il nudo risulta proibito o semplicemente non usato. Nelle rappresentazioni artistiche la presenza del corpo umano è in qualche modo implicita, come se la nozione stessa di figurare inglobasse il senso della figura umana. Tra le discipline dei licei e delle accademie d'arte in Italia esiste appunto “Figura ornata e modellata”, vale a dire l'esercizio fondamentale di copia grafica o scultorea del corpo di una modella in carne ed ossa (più raramente di un modello). L'esserci o meno del nudo nella rappresentazione d'arte segnala e individua situazioni storiche e stilistiche ben identificabili, tanto che, semplificando, si tende ad associare al nudo idealizzato la concezione classica dell'arte, e all'assenza o all'esibizione deformata e provocatoria del nudo la concezione anticlassica, spirituale o simbolica o romantica che sia. Una semplificazione eccessiva, sicuramente, ma che ci farà comodo in questa rapida e soggettivissima passeggiata lungo alcuni percorsi interni al mondo antico, pagano, disinibito, non ossessionato dalla morale cristiana, ma allo stesso tempo portatore di una nudità cristallina e spesso asettica, e lungo altri percorsi interni invece al mondo medioevale, chiuso in una veste iconica che non lascia scorgere le fattezze intime, eppure assimilabili paradossalmente agli eccessi di esibizione tipici del movimento romantico, dell'espressionismo moderno e di molte tendenze attuali. La nudità classica, tra greci e rinascimentali Se si osserva qualche esempio di nudo classico e classicista, anatomicamente corretto ed eseguito nel nome di una obiettiva ricerca formale, si noterà una nota comune che può essere ricondotta ad una vera e propria assenza di erotismo e sensualità. In altri termini, la bellezza e la perfezione di queste forme sono fredde, trasmettono un appagamento estetico basato non sulla bellezza del nudo in quanto corpo denudato e libero, ma sulla bellezza e sull'eleganza della pura forma. I Bronzi di Riace sono tra i pochi originali greci sopravvissuti e rivelano nella nudità metallica e indifferente un atteggiamento fiero, in cui la perfezione delle proporzioni e della postura appare sovrumana. Il dettaglio muscolare portato a verosimiglianza plastica assoluta e l'aggiunta cromatica del rame e dell'argento su labbra e capezzoli e sui denti, comportano un'immagine non soltanto scultorea e massiva, ma anche pittorica, più lieve e affinata. La manifestazione di questa capacità militare e fisica si abbina alla presenza della barba, non del tutto spiegata peraltro, che invecchia gli uomini e li rende divinità mature o autorità terrene. La nudità è disinvolta, serena, priva di qualunque inibizione e non esibita. Vedremo che a questo modello antico si atterrà -nei fatti- l'intera produzione classicista, sia plastica sia pittorica. E' simile, ad esempio, la scelta di Botticelli, il maggior grecista del Rinascimento, che nelle sue figure femminili ricerca una forma concreta, ma soprattutto il disegno armonicamente perfetto. Restando all'interpretazione tradizionale, e senza quindi addentrarci nelle nuove interessanti letture proposte da Georges Didi-Huberman, la Venere che nasce dal mare traccia un profilo di assoluta soavità, privo di spigoli e di durezza, al punto che la linea impossibile della spalla e il collo allungato non deformano, ma compensano le linee, come in una formula geometrica. Venere neonata appare già divina e lontana, e anche quando Botticelli la ritrarrà sposa di Marte, il suo languore non è mai terreno, né mai simile ai sentimenti forti e instabili degli umani. Neoplatonico Botticelli, ma neoplatonico anche il coriaceo Michelangelo, che sembra opporre al più anziano maestro una nudità spettacolare, dinamica, forse più viva. In realtà anche il primo Michelangelo, che nelle figure femminili non mostra alcuna ricerca di grazia, è ancorato ad una classicità composta e solo nell'età matura, in pieno Manierismo, proverà ad addentrarsi nei meandri della psiche, del dolore, del sentimento, stravolgendo anche la forma anatomica come nella Pietà Rondanini. Gli ignudi della volta della Cappella Sistina sono un manuale di figura disegnata, colti nelle pose più ardite e complesse, bellissimi nella loro statuaria perfezione ma, come i Bronzi greci, sovrumani e lontani. Anche qui non possiamo davvero parlare di esibizione, e le parti intime esposte alla vista degli spettatori, comprese quelle poi velate nel tardo Giudizio Universale nella Sistina, non incitano certo all'eros o ad una qualche sensualità. Michelangelo espone la nudità come parte integrante dell'aspetto fisico; un seno o un pube scoperto non hanno diverso valore che una mano o una spalla, ci sono, ma non dicono nulla: la perfezione del corpo discende dalla creazione e ogni parte del corpo è a somiglianza di Dio. La nudità nascosta o esibita tra Medioevo e Ottocento Alla classicità greca, dalla quale escludiamo solo la fase ellenistica (in cui si innesta l'arte romana) di complessa e spesso confusa identità artistica, subentra l'arte cristiana del medioevo, nella quale il nudo ha tutt'altra dimensione e visibilità. Scompare la figura anatomicamente corretta e si impone lo schema compositivo, il diagramma lineare che copre la superficie e non lo spazio, che è fatto di simbologia, di grafia, e non di realtà. La lettura dell'opera d'arte diviene una lettura ermeneutica: ad ogni parola si affianca un senso e spesso più di uno. Il nudo combattuto dalla morale è malvagio e pertanto si innesta nell'iconografia del peccato. Le immagini del Giudizio Universale di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova sono su questo tema emblematiche, tanto per il contenuto quanto per la forma. Il lato infernale, dove precipitano i dannati, è letteralmente coperto dai corpi nudi dei dannati, torturati dai diavoli con un particolare accanimento proprio sulle parti intime, che nell'iconografia medioevale velano e rivelano il peccato. I corpi di Giotto sono contorti, ammassati, stravolti dalle pene subite, in un netto e aperto contrasto con il lato paradisiaco dei beati, dove le vesti e gli angeli si oppongono alla nudità e ai demoni. Non è dissimile la scelta di Bosch nel suo Giudizio, oggi a Vienna, che pur dipinto nel '500 appartiene di diritto all'estetica medioevale. Non sarà il Manierismo, che gioca le proprie carte nell'ambito classicista, a trovare e a far esplodere l'erotismo nell'arte, ma un pittore comunque legato alla dimensione del sacro, Caravaggio. Erotismo omosessuale da un lato, esibizione spudorata di una sensualità laica, ma non per questo blasfema, attraversano molte opere del maestro milanese, identificabili soprattutto quando gli si aggiunge la conoscenza dei modelli, come nel caso del giovane Cecco Bonomi, futuro amante e discepolo di Caravaggio, ritratto nei panni di Amore. Nel suo sorrriso e nello sguardo di sfida troviamo forse per la prima volta la consapevolezza di un'immagine erotica, come scrive Peter Robb: "Semplice e pulito, incredibilmente libero da ogni interferenza, all'epoca della sua creazione si librava etereo al di sopra delle costrizioni di una cultura dominata dalla Chiesa. Incantava tutti". Il passaggio alla famosa e tanto analizzata sensualità del barocco è rapido, soprattutto se si sorvola sull'ipocrisia di fondo che, ad esempio in Bernini scultore, nasconde sotto vesti e panneggi le forme dell'anatomia; rivelate e esposte invece, ma non tanto quanto può sembrare a prima vista, in un pittore-simbolo dell'erotismo come il tardobarocco Boucher. I nudi di Boucher in realtà non sono del tutto nudi, e lo sono comunque molto meno di tanti nudi classici; l'erotismo di Boucher risiede nell'evidente partecipazione, nel sorriso, nel piacere dell'esibizione del nudo, parziale ma immaginabile, assai più che nella sua visione. Giunti in prossimità dell'arte moderna, entrando nell'Ottocento e tralasciando di ripetere per l'accademismo neolassico quanto già detto per il Rinascimento e per l'antichità greca, il fenomeno romantico e realista dovrebbe, secondo teoria, rappresentare una svolta visiva anti-classica, nascondendo quindi ciò che la purezza pagana espone. Questo è vero per molti, per i paesaggisti come Corot ad esempio che trascurano del tutto la figura umana, è vero per gli impressionisti che nella loro rivoluzione tecnica affrontano comunque tematiche urbane e quotidiane, ed è ancor più vero se guardiamo al percorso dello stesso Renoir, che solo nella maturità, con il ritorno alla classicità dopo la fase impressionista, dipinge ed espone i suoi famosi nudi femminili. Non è vero invece per alcune altre opere celebri e scandalose, dipinte dai maestri per eccellenza della pittura francese ottocentesca, i realisti, provocatori, scandalosi Gustave Courbet e Edouard Manet. Manet nel 1863 ritrae una prostituta, Olympia, che senza veli e senza pudore guarda lo spettatore, turbando una Parigi borghese che accettava il nudo solo delle dee e delle ninfe di una pittura accademica ormai in piena crisi. Courbet dal canto suo tre anni dopo ripropone con una voluta, dissacrante e quasi violenta visibilità la tematica del nudo esibito, centrando il suo nitido obiettivo pittorico su un ventre femminile; il padre del realismo qui appare alla ricerca, in un quadro (che fu proprietà di Jacques Lacan fino alla sua morte) ancor oggi sorprendente per l'impatto emotivo, di una concreta e dirompente verità dei fatti e delle cose, la verità nuda che è all'origine del mondo. Il nudo oggi Sin dall'inizio il Novecento ha incluso la nudità tra le scelte artistiche fondamentali per la sua operazione di totale rottura con il passato. La prima avanguardia, il gruppo tedesco della Bruecke, ha nel nudo una componente pittorica basilare e nella libertà sessuale una scelta esistenziale che accomuna i suoi protagonisti; Ernst Ludwig Kirchner ritrae giovani modelle e giovani prostitute in una nudità anoressica, denunciando da un lato il vuoto sociale dall'altro l'assenza di morale. Anche nei Fauves di Matisse queste componenti, con minor durezza, saranno evidenti, e in realtà, nelle avanguardie inglobate storicamente dentro la grande tendenza espressionista di tutto il XX secolo, ritorna la dannazione medioevale, secondo una chiave speculare che rovescia la condanna nell'assoluzione e che modifica il contenuto ma non la forma. E' invece tutt'altro il nudo cubista o futurista, fatto di schemi e superfici composite, privo di pathos e ricco di concetto, e quindi naturalmente classico; le prostitute nude di Picasso sono manichini di fronte al terribile e inquietante sguardo della Marcella di Kirchner. La nudità, spunto privilegiato per le ricerche psicanalitiche dei surrealisti, appare in tante opere dei compagni di Breton, ma finisce spesso per avere un sapore didascalico, forzoso, non del tutto spontaneo. E' il caso di certe opere di Delvaux, di Ernst e di Magritte, in cui le metamorfosi anatomiche sconfinano nel manuale del fantastico più che in una vissuta avventura onirica. Forse più interessante, anche alla luce degli sviluppi successivi, è il gioco fotografico di Man Ray, in cui il cambiamento è ironico, ma anche sensuale e provocante. L'arte del secondo dopoguerra si è sviluppata sulle strade figurative dell'espressionismo, solitamente drammatica, e del surrealismo-dadaismo, provocatoria e dissacrante, anche se su basi minoritarie visto il prevalere in genere delle componenti astratte in pittura (meno evidenti in scultura). Ma cosa resta allora nell'arte di oggi della tradizione centenaria del nudo? Molto; e non solo resta molto, ma moltissimo vi si aggiunge, una volta accettata la fotografia tra le arti maggiori, o comunque una volta inclusa la sua struttura nelle varianti tecniche della pittura. Davanti alle prove d'artista di Helmut Newton o di Robert Mapplethorpe, non è difficile rintracciare l'eredità complessa e fertile della pittura precedente e contemporanea, nell'uso straordinario della luce e del chiaroscuro nei primi piani di Mapplethorpe e nelle capacità compositive e narrative tipiche di un maestro manierista negli scatti di Newton. Tra mille possibili esempi, ecco infine una citazione per John De Andrea e Vanessa Beecroft, il primo inserito nella ormai non recente corrente iper-realista, la seconda attiva in una dimensione cui non è facile trovare una definizione. In entrambi i casi la nudità è protagonista assoluta, forse in una chiave di tale assoluta visibilità da corrispondere a un ritorno della classicità arcaica, in De Andrea grazie a una scultura che si fa più vera del vero, in Beecroft grazie all'uso asettico e geometrico dei corpi veri di decine di modelle, nude naturalmente. |