La
nudità messa a nudo nell’impalpabile corpo della nuvola.
La
nudità è sempre pollachos
non solo nel suo dirsi, ma anche nel suo essere, così come
molteplice è costitutivamente l’abito, e non soltanto per il
capriccio della moda. Il vestito non è infatti solo quello della
festa, ma anche la tuta da lavoro, la camicia da notte, il costume
tradizionale, l’uniforme che contraddistingue una funzione (il
militare, il sacerdote, il medico, il magistrato), che sottolinea e
protegge una condizione (il grembiule dello scolaro, il velo della
sposa, il sudario del morto) o la stramberia che mette in risalto
l’occasione rituale e la scelta irriverente (la rievocazione
storica, l’abito di scena, la maschera carnevalesca, la foggia del
travestito); allo stesso modo esistono diversi tipi di nudi
regolamentari e, per così dire, previsti dal programma: quelli
parziali degli atleti o delle analisi cliniche, quelli totali dei
testi di anatomia o di disegno, ma anche della cura ordinaria di sé
o della straordinarietà dell’amore. Se l’uomo è il solo essere
vivente a portare vestiti, strutturalmente di vario tipo, è anche il
solo ad essere nudo in molti modi! Oltre
ai versi di Mallarmé, esplicitamente citati nel titolo, a leggere il
saggio di Jean-Luc Nancy vengono in mente forse inevitabilmente anche
e soprattutto rimandi iconografici, peraltro il testo nasce appunto
accompagnando un catalogo di immagini. Per esempio torna
implicitamente il rimando al celebre Correggio di Giove
e Io, conservato a Vienna al
Kunsthistorisches Museum ed elaborato dall’artista negli anni
Trenta del Cinquecento tra le famose tavole dedicate agli amori del
dio, tela che Jean-Luc Nancy e Federico Ferrari avevano messo in
copertina a La pelle delle immagini,
anch’esso una riflessione sul nudo: Io sensualmente svestita è
abbracciata a una nube che solo in controluce lascia intravedere il
volto di Giove mentre la bacia e la mano del dio che la afferra
adagiandola su un letto di fronde. La
nuda e la nube è un gioco di parole possibile solo in francese –
“la nue” –, al quale fa esplicito riferimento il titolo del
volume in cui è pubblicato il testo di Nancy che presentiamo, del
resto già in precedenza Nancy aveva additato alla nube per indagare
il segreto di un celebre nudo che aveva commentato: la Donna
allo specchio di Giovanni Bellini (1515,
Vienna, Kunsthistorisches Museum) nel riflesso rimanda celatamente
alla tempesta imminente nel crepuscolo. [3]
In effetti, come caduta
dalle nuvole (Tombée des nues…),
nelle foto di Damez compare ripetutamente una Io o una Psiche
solitaria, quasi mai adagiata nelle pose classiche, neanche in
contemplazione davanti a qualche apparato riflettente, anzi piegata e
quasi avviluppata su se stessa, spezzata già nelle inquadrature,
apparentemente non sedotta e magari neppure esplicitamente seducente,
anche se comunque lasciata andare forse innanzitutto da un dio che ha
allentato la presa, mentre i volti e le mani della bella abbandonata
restano impalpabili come quelle del Giove di Correggio, perché
spesso fuori fuoco oppure oltre l’obiettivo, mentre il suo stesso
corpo diventa quella nuvola che la giovane allo specchio di Bellini
velatamente contemplava. Evanescenti come se stessero per svaporare,
oppure indagati fin nei particolari più minuti, che però
sconcertano perché quasi si fatica a ricollocarli in un tutto
coerente che sembra andato perduto, perché ormai in frantumi, i
corpi fotografati da Damez costituiscono non semplicemente lo sfondo
e lo scenario sul quale si leva ancora un’altra riflessione sul
senso del nudo, ma il rimando dativo a cui ci si rivolge innanzitutto
(“à la nue…”), magari addirittura al vocativo (“…tu”),
per rilanciare la questione. Che
cosa significa davvero mettere a nudo? Non è sempre il gesto della
scoperta, della rivelazione, del sapere, quando appunto si toglie
l’ultimo velo? E che cos’altro c’è da togliere oltre la
rivelazione e l’esposizione della nudità? “La nudità non è la
verità”, assicura Nancy, anche se la verità è in genere
rappresentata appunto nuda, l’aletheia
che ha levato ogni nascondimento. La nudità è per Nancy piuttosto
la svestizione della verità messa a nudo nell’ostensione, nella
presentazione sempre rinnovata non di un fondamento né di un’essenza
che starebbero al di sotto, ma di un elementare: ‘ecco il mio
corpo’, dove il senso del sensibile sta semplicemente nella sua
indicazione [4]. Si tratta di un ecce homo,
di un ‘eccomi’ che però, nel porgersi, anche si eclissa
svestendosi di ogni orpello – altro gioco di parole possibile solo
in francese, dove “dérober” significa appunto sottrarre, ma
insieme rimanda anche al gesto dello svestire. Il nudo non ha in
realtà più niente da togliersi, anche se evidentemente mai come nel
suo uso pubblicitario all’epoca dello strip-tease
risulta evidente come i corpi rappresentati siano in genere invece
perfettamente scolpiti, modellati, vellutati, depilati, truccati,
acconciati, approntati e appunto ‘abbigliati’ con quel vestito
più esigente e impegnativo che mai si possa immaginare e che è
l’ideale estetico di turno: in realtà un abito da gran sera! I
corpi su cui riflette Nancy e che addita Damez sono invece corpi
fragili e incerti, incompiuti e labili, talvolta ancora segnati
dall’abito appena sfilato e comunque senza alcun fard che ne
mascheri il difetto o la singolarità niente affatto qualsiasi, né
generica. Dietro questi corpi spogliati di tutto, anche del mito
della bellezza, dell’afflato della verità o del rimando
all’essenza, non si rivela per Nancy più alcun segreto del
profondo né alcuna trascendenza dell’altezza, ma solo l’onestà
della superficie: quella pelle messa a nudo che non è un organo tra
gli altri – quello in genere meno presente all’immaginario
collettivo rispetto, per esempio, alle centralità del cuore o del
cervello, anche se a rischiarla si mette poi in gioco tutto –,
quella pelle che non inviluppa semplicemente il corpo come una
pellicola o una buccia, perché piuttosto lo svolge, lo dispiega, lo
discopre rivestendolo, ma anche lo trattiene, lo tiene e così lo
preserva spogliandosi di ogni spurio rivestimento. Il tatto, il
contatto, il tocco del tangibile e insieme l’inafferrabilità
dell’impalpabile con la sua grazia evanescente vengono così a
coincidere nella rivelazione del corpo e nella glorificazione del suo
limite, sottolineato dalle inquadrature acefale e apode: miseria e
gloria, splendore e spoliazione, quotidianità ed eccezione. La sua
impenetrabilità e gravità più o meno massiccia di sostanza, sempre
solo da avvicinare, e insieme la sua porosità spugnosa, marcata da
orifizi e aperture, risultano evidentemente e paradossalmente la
stessa cosa, permettendo il salvataggio del reale nel suo esser-così
e la salvaguardia del futuro nella modificazione sempre imminente ed
aurorale del plasmabile e permeabile:
la nuvola nuda ne è attestazione finita e promessa infinita,
spogliata e sottratta è solo così com’è,
ma anche non soltanto ciò che è. Perciò
la nudità è per Nancy sempre quella di Orfeo, colui che continua a
vedere e a cercare ciò che non è dato, colui che cammina davanti
alla sua anima perduta e perciò è sempre più avanti e più
indietro di sé nell’antico gioco del finito e dell’infinito,
della vita e della morte, del desiderio e della nostalgia,
dell’evidenza fenomenica e del mistero fantasmatico, tenuti insieme
da ogni passo che avanza tra l’inizio e la fine, da ogni pertugio
che apre punti di fuga e prospettive impensate, dal dolore della
coscienza e dal suo canto.
Note con rimando automatico al testo: 1)
Cfr. Platone, Protagora,
320 d e segg., Dialoghi filosofici,
vol. I, a cura di Giuseppe Cambiano, Torino, UTET, 1970, pp. 319 e
segg. Si tratta notoriamente del mito che racconta l’origine della
natura vivente e l’assegnazione di attributi e caratteristiche alle
varie specie da parte di Epimeteo, che però inavvertitamente lascia
l’uomo “nudo, scalzo, senza coperte”, inducendo così Prometeo
a intervenire rubando agli dei il fuoco e l’abilità tecnica anche
al fine di fabbricare “vesti, calzature, coperte”, ivi, p. 321
(321 c, 322 a). Di Jean-Luc Nancy si veda almeno Corpus,
a cura di Antonella Moscati, Napoli, Cronopio, 20012;
Il pensiero sottratto,
Torino, Bollati Boringhieri, 2003, in particolare “Nudità
(ouverture)”, pp.
19-29; (con Federico Ferrari) La pelle delle
immagini, Torino, Bollati Boringhieri, 2003,
organizzato come una sorta di lessico del nudo a commento di immagini
scelte dalla storia dell’arte o dalla ricerca estetica
contemporanea. 2) Jacques Damez, Tombée des nues…, Paris, Marval, 2007; il testo di Jean-Luc Nancy, À la nue accablante…, qui tradotto in italiano per gentile concessione dell’autore, si trova alle pp. 5-15. 3) Cfr. Jean-Luc Nancy, “Nube”, in Federico Ferrari, Jean-Luc Nancy, La pelle delle immagini, cit, pp. 67-69, si veda in particolare ivi, p. 68: “la nudità ha la morte alle spalle come questa nuda (nue) ha la nube (nuée) dietro di sé”. 4) Con “Hoc est enim corpus meum” iniziava notoriamente l’argomentazione in Jean-Luc Nancy, Corpus, cit., p. 7. Immagini: Antonio Allegri da Correggio, Giove e Io, 1531-1532, olio su tela, Vienna - Kunsthistorisches Museum. Giovanni Bellini, Donna allo specchio, 1515, olio su tela, Vienna - Kunsthistorisches Museum. Antonio Canova, Orfeo ed Euridice, 1775-1776, gruppo scultoreo in marmo, Venezia - Museo Correr.
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