Massimo Recalcati, L’ultima cena: anoressia e bulimia, Bruno Mondadori editore, Milano 2007, pp. 344, € 15,00; ISBN 9788842494287 Quando uscì nel 1997 il libro di Massimo Recalcati sulle cosiddette sindromi della post-modernità, il dibattito sulla natura e il senso di quelle che sono ancora considerate distorsioni del comportamento alimentare ruotava intorno all’approccio alla cura: da un lato infatti, come indicato nel terzo capitolo del libro “L’olofrase anoressico-bulimica”, si tende ad applicare il freudismo classico al comportamento anoressico, senza considerare il passaggio alla post-modernità di cui esso è segno; dall’altra parte si tende a praticare la terapia secondo uno schema cognitivista-comportamentista che annulla nella pratica la teoria analitica, in particolare il tesoro lacaniano che qui l’autore, con l’esperienza clinica e di docente di Psicopatologia del comportamento alimentare adopera, per illuminare il senso dell’anoressia-bulimia, in quanto posizioni del Soggetto. Il testo, ripubblicato nel 2007 per il successo avuto in questi anni, disegna una mappa concettuale del fenomeno anoressia, chiarendo, per la prima volta con un approccio nuovo e soggetto a verifica empirica, di che cosa, nelle cosiddette patologie alimentari, si tratta davvero: del rapporto all’Altro, nella radicale distorsione che già Lacan, che in alcuni luoghi si era occupato dell’anoressica, aveva denunciato a partire dal discorso del rifiuto, della risposta assoluta che la radicale negazione dell’alterità indica nella posizione anoressico-bulimica. L’affascinante e lucida prosa di Recalcati (la lettura di questo testo andrebbe intrecciata con quella altrettanto seducente de Lo psicoanalista e la città, Manifestolibri, 2006 e con i pertinenti articoli intorno allo stato della psicoanalisi oggi), racconta un’esperienza della cura che, alla luce dell’insuperato insegnamento di Lacan, interviene nelle pieghe della singolarità dei casi. Infatti il libro, che consta di un’introduzione e quattro capitoli, è in sostanza diviso in due parti, la prima teorica, in cui si coglie lo snodo problematico del comportamento patologico, la seconda che deriva dalla pratica terapeutica, in cui sono messi in discussione e ri-orientati i presupposti del freudismo e del cognitivismo. Un primo essenziale acquis è quello che indica nel comportamento anoressico-bulimico una situazione del Soggetto, non una malattia. Con Lacan infatti si tratta di considerare la distruzione del Desiderio, prodotto dal rifiuto dell’Altro per la domanda d’amore del Soggetto, che così si barrica contro l’oggettualizzazione del rapporto affettivo e sociale. L’effetto di questa strategia che enuncia lo schiacciamento del Desiderio sul Godimento, fino all’annullamento, è che la posizione anoressico-bulimica non è uno sdoppiamento del comportamento, bensì una situazione unitaria, che può avere l’uno o l’altro esito. L’anoressia è la spinta radicale e incontrovertibile al vuoto d’Altri, la verticalità dell’Idea, di cui la bulimia è la compensazione relativa, l’identità alla Cosa. Un unico processo le lega, in cui il vomito fa da tramite, momento doloroso di passaggio all’equilibrio scompensato della posizione anoressica. Il tutto in una successione angosciante che sotterra la domanda. Un secondo acquis delucidato dal testo è la declinazione al femminile della posizione “anomala” del soggetto: le anoressiche, le bulimiche, piuttosto che l’anoressia in generale, soffrono del comportamento della Madre assente o presentificata nello scenario di terrore puro del divoramento, in cui l’essere amore è scambiato con l’avere (tutto tranne) amore. La Madre, o un padre assente, in senso simbolico come Nome del Padre, Legge che equilibra il Desiderio, sono responsabili del rifiuto, ultima arma per non essere divorati (il corpo anoressico come una lancia conficcata nelle fauci del coccodrillo). Ma l’economia mercantile ha già sostituito del tutto quella del dono. Una terza acquisizione, è l’intimazione larvale all’Altro di uno sguardo - “Guardami mentre sto morendo” - che ha il senso dell’ultimo s.o.s. in una mancata simbolizzazione, la fase dello specchio andata a vuoto, e che non permette il ritorno del rimosso. Ma è l’inconscio come sistema che conta, la posizione dell’Altro genitore ad emergere come figura borderline… Infine, un quarto e decisivo elaborato del discorso anoressico-bulimico è la flagranza dell’oggetto piccolo (a), eccedenza di Desiderio non simbolizzabile e non riducibile a linguaggio, (ma si potrebbe aggiungere anche l’oggetto transizionale di Winnicott, come giustamente Recalcati rileva segnalando l’importanza del magistero kleiniano), agitato dal Soggetto nella messa in questione del suo corpo. Perché del teatro della crudeltà così inscenato è il corpo il soggetto, il testo e l’attore. Il corpo anoressico grida alla trascendenza nell’irrigidimento all’Ideale (scarnificazione, per raggiungere un’ essenza impossibile), mentre il corpo bulimico si deturpa nella perdita di controllo che costituisce l’adesione alla Sostanza, alla Cosa. La difficoltà della cura consiste dunque nello “staccare” il sé dall’io, il soggetto dall’Ideale o dalla Cosa, il Desiderio dal Godimento, senza che il distacco provochi la perdita del rapporto terapeutico. Non essendovi sintomo, traduzione simbolica (isterizzazione), ricorso al linguaggio di un inconscio negato, l’analista non sa/può riparare con il transfert ad un controtransfert impossibile. Nel riportare la letteratura sull’argomento Recalcati puntualizza la differenza tra la lettura modernista dell’anoressia (soprattutto R.M. Bell, La santa anoressia) e quella storico-culturale di Vandereychen e van Deth, Dalle sante ascetiche alle ragazze anoressiche. Il rifiuto del cibo nella storia, che scoprono nel discorso del capitalista, esposto da Lacan, il carattere proprio di situazione post-moderna del fenomeno, in cui si è alle prese con lo spettro del tempo (lo spirito del tempo, evocazione di quel libro campale di Derrida, Spettri di Marx che quel discorso scespiriano-materialista mette in scena). Ci piacerebbe infatti chiedergli dal 1996 ad oggi quali passi, e in quale direzione, abbia compiuto la cura dell’anoressica. In effetti, come Recalcati ci indica, l’opulenza delle società del consumo fornisce la cornice discorsiva della sindrome dell’ultima cena, il cui tema tuttavia risulta tutto interno alla facoltà di simbolizzazione, cioè alla facoltà di linguaggio che, invece di produrre i mostri della rimozione funzionali alla civiltà produce i fantasmi della negazione. Sicchè l’autoesorcismo dell’anoressica, simbolizzato dalle vicende della moda, del gossip e dal merchandising autoriparatorio e provocante (Oliviero Toscani più o meno auto-censurato), in una dinamica sin troppo trasparente si rattoppa con l’incitamento statale alla rivolta contro il corpo-magro, senza che l’Altro del capitale venga mai interrogato. Proprio esso è infatti la “pappa asfissiante”. (Paolo Vernaglione) |