numero
7
KAINOS
2007
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Brunella Antomarini, Massimiliano Biscuso (a cura di), Del gusto e
della fame. Teorie dell'alimentazione
Come è noto, al problema alimentare si associano questioni di grande portata, su uno sfondo sociale denso di contraddizioni e in un mondo sempre più globalizzato connotato da interdipendenze e forti disuguaglianze nell’accesso alle risorse alimentari. Sia nella nostra realtà occidentale fondata sul benessere e sull’opulenza, sia nei Paesi in via di sviluppo che ancora non hanno risolto il problema della fame e della sopravvivenza (sono almeno 800 milioni di persone che in tutto il mondo sono malnutrite) appare infatti evidente il rapporto tra alimentazione e salute, tra accaparramento delle risorse e giustizia sociale, tra agricoltura e modelli di crescita e di sviluppo, tra standardizzazione dei prodotti e nuovi bisogni alimentari. È fin troppo ovvio rilevare come la qualità e quantità dell’alimentazione siano componenti fondamentali dello stato di buona nutrizione e, quindi, della salute del corpo e della mente dell’individuo. Se del mangiare e delle sue molteplici funzioni si sono sempre occupati gli antropologi e i medici, è meno scontato che se ne occupino i filosofi, anche se una linea di pensiero tutt’altro che marginale (da Platone a Feuerbach, da Leopardi a Nietzsche) ha dedicato attenzione alla filosoficità del cibo e più in generale al valore cognitivo dell’alimentazione. Se Leopardi ad esempio affermava in un celebre passo del Dialogo di Tristano e di un amico che «il corpo è l’uomo», le proposte filosofiche di Feuerbach e di Nietzsche rispondono a questa nuova situazione, elaborando un’antropologia radicale e antimetafisica dell’umano. Questo volume collettaneo, Del gusto e della fame. Teorie dell’alimentazione, uscito qualche anno fa per Manifestolibri, nell’intrigante collana “I libri di Montag” esplora in più direzioni le questioni della fame e del cibo, intersecando narrazioni e tradizioni, filosofie e medicine, culture e comportamenti con risultati interessanti per ulteriori ricerche. Il processo di passaggio dall’organismo che vive nel suo ambiente all’uomo che abita il mondo può essere descritto come il tragitto dalla bocca che divora il cibo appena avverte lo stimolo della fame alla mano che lo raccoglie, lo prepara e lo cuoce: in altri termini, il cibo con le sue modalità di assimilazione e digestione rappresenta il vero discrimine del processo dell’incivilimento umano, il momento decisivo dell’apertura dell’uomo al mondo. Come ci spiegano da tempo gli antropologi della cultura, la preparazione e la cottura del cibo comporta una progressiva articolazione delle competenze e dei compiti sociali nonché la costituzione di uno spazio pubblico e di una vita di relazione. I vari saggi che compongono il volume e raggruppati in varie sezioni (Il cibo narrato 1: storie e racconti; Tra filosofia e medicina; Mangiare meglio, mangiare tutti; Il cibo narrato 2: miti e tradizioni) hanno il merito di articolare una vasta mappatura della dimensione culturale e simbolica dell’alimentazione. Per comodità espositiva, mi soffermerò in particolare sulla seconda sezione del volume i cui saggi indagano la corporeità nei molteplici nessi tra arte medica e arte culinaria, tra alimentazione e immunità, tra anoressia e bulimia. Massimiliano Biscuso e Franco Gallo, autori di un bel saggio sul rapporto tra l’alimentazione e la filosofia, affermano che un’analisi fenomenologia dell’alimentazione umana può contribuire a pensare il rapporto uomo-mondo in modo da lasciarci definitivamente alle spalle la teoreticistica contrapposizione tra soggetto-oggetto a condizione che il corpo umano non sia considerato come semplice organismo. Non fissato in un’attitudine alimentare univoca, l’animale umano non è né erbivoro né carnivoro, mangia e beve di tutto, nel senso che ogni cosa può formare il suo pasto (sali, zuccheri, semi, funghi, erbe, frutti, uova, pesci ecc.) e questo gli consente di trasformare il suo ambiente (Umwelt) in un mondo (Welt). L’assumere il cibo con le sue modalità di reperimento e di confezionamento riorienta un certo rapporto fra uomo e mondo, compensando la sua carente dotazione di istinti come animale «biologicamente sprovveduto» rispetto a tutti gli altri animali non umani. L’alimentazione è, quindi, una specie di metafora guida dello stare al mondo oppure l’espressione metaforizzante della trasformazione del reale. Con quest’ipotesi, la filosofia può valorizzare e recuperare un’ontologia del corpo e delle sue urgenze più vitali, rinnovandosi nei propri statuti teoretici e linguistici. Ne è la riprova il saggio di Franco Voltaggio, Il corpo umano come pentola. Il nesso primario tra medicina e cucina, che traccia una complessa analisi del corpo come contenitore, in specie, nelle culture antiche. Il mito centrale cui attinge il testo di Voltaggio è il vaso di Pandora, sposa del titano Prometeo, madre degli uomini e inviata sulla terra dagli dei e incauta nell’aprire il vaso speciale di Zeus da cui si sprigionarono ogni sorta di malattie ad eccezione di una piccola sostanza, simile ad una scia di lumaca, la speranza. Che il corpo umano contenga “materie e forze in grado di contrastare e sanare un male” o che al corpo malato venga associata l’immagine di una pentola il cui contenuto non sia pervenuto a perfetta cottura, può essere una chiave di lettura del mito, peraltro confermata scientificamente dalla dottrina ippocratica del V secolo a.C. che concepiva i quattro umori del corpo (sangue, flegma, bile gialla e bile nera) ben connessi in uno stato di equilibrio come in un vaso ben chiuso. Anche il saggio di Francesco Bottaccioli, L’asse cervello-pancia: alimentazione e immunità, si muove lungo il confine delle relazioni tra cibo, salute e medicina indagando il nuovo paradigma biomedico della PNEI (la psiconeuroendocrinoimmunologia). In quest'ottica la tesi sviluppata dall’Autore intende affrontare la cura della depressione e dell'ansia partendo dalla prospettiva psiconeuroendocrinoimmunologica, dimostrando quindi che la complessità del disagio mentale implica una certa complessità nella risposta terapeutica, e che quest'ultima non può che essere espressione di una visione globale dell'individuo, senza separazioni e aperta al contributo di tecniche che solo un ostinato pregiudizio ha impedito di utilizzare proficuamente. L’innovazione introdotta dalla PNEI consiste nell'affermare, attraverso rigorose verifiche scientifiche, l'impossibilità di studiare efficacemente il modo in cui funzionano i grandi sistemi di regolazione dell'organismo - sistema immunitario, nervoso e endocrino - e la psiche, separandoli tra di loro. Tali sistemi funzionano in effetti influenzandosi reciprocamente, attraverso un dialogo che si serve di un linguaggio comune che solo artificialmente può essere attribuito esclusivamente a l'uno o all'altro sistema. Conseguentemente, la PNEI consente di superare, scientificamente e non più come sola intuizione, la tradizionale separazione-contrapposizione tra mente e corpo, dimostrando che l'organismo umano funziona come una rete, un network, che influenza e può essere influenzato dall'identità psichica individuale. Questa prospettiva scientifica , quindi, autorizza il pieno recupero di tradizioni mediche antiche e non convenzionali, avviando nel contempo un’integrazione tra le varie conoscenze. Insomma – scrive Bottaccioli – si tratta di una visione dell’organismo umano come rete strutturata e interconnessa che consente un ripensamento di fondo delle terapie, non più riducibili alla tradizionale azione soppressiva del farmaco. L’ultimo saggio che chiude questa sezione medico-filosofica sull’alimentazione riguarda le intricate questioni dell’anoressia e della bulimia. L’autore Gianfranco Buffardi analizza alcuni casi di giovani pazienti anoressiche che percepiscono il proprio corpo come inadeguato e costantemente in condizioni di soprappeso e stigmatizza la gran confusione e falsificazione anche da parte dei media intorno a queste due patologie cresciute soprattutto negli ultimi trent’anni. Che la magrezza sia oggi uno status symbol costantemente esaltato da mode e campagne pubblicitarie è fuori discussione, meno il fatto che si consumano drammi di giovani donne votate all’autodistruzione. Per Buffardi, anoressia e bulimia sono mali della famiglia intera: a volte la responsabilità di questa patologia alimentare dei figli viene fatta ricadere sui genitori per il comportamento troppo assillante e invadente delle madri e troppo assente dei padri. Le madri che si trovano ad affrontare questo problema in genere si sono preoccupate molto dei figli, ma non hanno percepito ciò di cui avevano effettivo bisogno: è mancata spesso da parte loro la vicinanza emotiva, il calore, il contatto corporeo mentre si sono spesso mostrate assillanti verso altre problematiche. Intanto è necessario, avverte l’Autore, che i media porgano un’immagine più reale di questi problemi per intervenire in tempo. Come si è detto, il volume interseca altri tracciati antropologici e politico-economici di cui non possiamo ora dare conto ma di sicuro fornisce preziosi materiali di studio per capire la genesi e la natura di un’alimentazione che deve essere più attenta e funzionale alle esigenze e alla salute di tutti. (Aldo Meccariello)
Premessa MANGIARE MEGLIO, MANGIARE TUTTI |