numero
7
KAINOS
2007
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Introduzione a "Bisogna ben mangiare" o il calcolo del soggetto, di Jacques Derrida di
Tommaso Ariemma
(cfr. il testo in italiano)
Il breve testo di Derrida, che traduciamo per la
prima volta in italiano, appare all’interno di un’intervista
con Jean-Luc Nancy intorno alla questione del soggetto e del
sacrificio: “Il faut bien manger” ou le calcul du
sujet. (1) Il testo ha una sua autonomia, racchiuso tra parentesi quadre. Ospitato nell’intervista, introiettato, innestato, fa luce simbolicamente sulla struttura del soggetto che intende svelare: quella dell’introiezione, del mangiare. Non è la prima volta che
Derrida fa riferimento al mangiare, né sarà l’ultima (2).
Tale riferimento accompagna tutta la sua riflessione decostruttiva, e
in particolare la decostruzione dell’animalità e della
sovranità. Queste due direzioni della decostruzione non sono
da considerarsi separate, né separate dalla questione del
mangiare. In un corso tenuto a Parigi nel 2001, dal titolo La bête
et le souverain, Derrida ha sottolineato l’interdipendenza
tra le tre questioni:
[…] la bestia sarebbe divoratrice e l’uomo divorerebbe la bestia. Divoramento e voracità. Devoro, vorax, vorator. Ne va della bocca, dei denti, della lingua e della violenta precipitazione a mordere, inghiottire, ingoiare l’altro, prenderlo dentro di sé per ucciderlo o farne il lutto. La sovranità sarebbe divoratrice? La sua forza e il suo potere, la sua più grande forza, la sua potenza assoluta sarebbe, per essenza e sempre in ultima istanza, potenza di divorazione? Ma ciò che transita per la divorazione interiorizzante – vale a dire per l’oralità, per la bocca, il muso, i denti, la gola, la glottide e la lingua (che sono anche i luoghi del grido e della parola, del linguaggio) – può anche abitare quest’altro luogo del viso e della faccia che sono le orecchie, gli attributi auricolari, le forme visibili, audiovisive di ciò che permette non solo di parlare ma di intendere e di ascoltare. (3) Sempre nel medesimo corso, Derrida ha esplicitamente fatto riferimento all’intervista del ’89 con Nancy e al concetto chiave espresso nella parte dell’intervista che abbiamo preso in considerazione, ovvero al concetto di carno-fallogocentrismo, che per Derrida definisce in modo esaustivo la struttura del soggetto. La parola carno-fallogocentrismo, che condensa diverse parole-chiave della decostruzione di Derrida (logocentrismo, fallocentrismo, fallogocentrismo, etc.), vi aggiunge il suffisso indicante la voracità carnivora. Essa sarebbe strutturale del soggetto, anche quando si dichiara vegetariano. Essenziale alla comprensione della struttura stessa della soggettività diviene, pertanto, il fenomeno del mangiare. Perché un soggetto non può non introiettare. Bisogna, infatti, che, in un modo o nell’altro, mangi. Simbolicamente o realmente, non importa: essere soggetto significa mangiare. E soprattutto mangiare carne. In una recente intervista con Elisabeth Roudinesco, Derrida chiarisce questa posizione: Non basta proibirsi di mangiare carne per essere dei non carnivori. Il meccanismo carnivoro inconscio ha a sua disposizione ben altre risorse, e personalmente non credo all’esistenza di un non-carnivoro in generale. Anche nel caso di chi si accontentasse di pane e vino. Mi sono spiegato meglio su questo punto tutte le volte che ho parlato della necessità di decostruzione del «carno-fallogocentrismo». Anche se è un fatto noto da sempre, o almeno da duemila anni, la psicoanalisi ce l’ha ormai insegnato definitivamente: anche i «vegetariani» possono benissimo incorporare, come tutti e per via simbolica, degli esseri viventi, della carne e del sangue – umano o divino. Anche un ateo, a sua volta, non disdegna di «divorare l’altro» – se è capace di amare almeno. Perché questa è la tentazione dell’amore stesso. (4) Bisogna pur mangiare, secondo l’intraducibile espressione di Derrida il faut bien manger, che significa tanto bisogna pur mangiare quanto bisogna ben mangiare. Il doppio senso contenuto nell’espressione rinvia al motivo etico fondamentale della decostruzione: l’ospitalità dell’altro. La questione del mangiare non può non implicare, infatti, il rapporto con l’altro, perché non si mangia mai da soli, né esiste un solo modo di mangiare. Bisognerà ben mangiare. Una massima che Derrida definisce indecidibile a priori e che si indirizza inevitabilmente all’altro ancora a venire. Il mangiare rivela l’eterogenesi dell’identità, che non può fare a meno di assumere l’altro, contrarlo, turbata ogni volta dalla modalità indecidibile con cui l’altro chiede di essere mangiato, come pure, a sua volta, di mangiare. Note 1 “Il faut bien manger” ou le calcul du sujet, apparsa in “Cahiers Confrontation” , 20, inverno 1989, poi ripresa in Point de suspension, Galilée, Paris 1992, la traduzione è di pp. 294-297. 2 Cfr. in particolare: Glas, a cura di S. Facioni, Bompiani, Milano 2006, pp. 82-84 a: Economimesis, a cura di F. Vitale, Jaca Book, Milano 2005, pp. 55-56; La bestia e il sovrano, trad. it. di L. Odello, “aut aut”, 327, 2005, pp. 120-124; L’animale che dunque sono, a cura di G. Dalmasso, Jaca Book, Milano 2006, in particolare p. 155. Su questo tema cfr. L. Odello, Dirvorazione, “aut aut”, 327, 2005, pp. 206-223. S. Regazzoni, La decostruzione del politico. Undici tesi su Derrida, Il melangolo, Genova 2006, pp. 331-350. 3 J. Derrida, La bestia e il sovrano, cit., p. 122. (trad. lievemente modificata) 4 J. Derrida, E. Roudinesco, Quale domani?, trad. it. di G. Brivio, Bollati Boringhieri, Torino 2004, p. 100. |