Il "resto" fra integrazione e sovversione
Note su Baudrillard e Bataille
di Paolo
Pagani
A. Premessa
Credo si possa
ormai dare per assodato il ruolo di Georges Bataille come maestro segreto
ed anticipatore di molte delle tematiche che la cultura francese ha
affrontato in questi ultimi decenni.
Come pure
è evidente l’influenza che le sue opere hanno esercitato,
fra gli altri, su Jean Baudrillard e le sue tematiche – come lui
stesso più volte riconosce, d’altra parte: dalla morte
alla critica del lavoro produttivo, dalla dépense alla
dissoluzione della progettazione razionalistica. Ciò che qui
mi interessa sottolineare, dunque, non è una convergenza ormai
riconosciuta, ma, al contrario, il diverso indirizzo che i due autori
hanno dato ad una tematica affine a quella affrontata in questo numero
di Kainos, cioè il residuo, il “resto” nella
società contemporanea. Proprio sul valore da attribuire al resto,
a differenza di molti altri spunti comuni, Bataille e Baudrillard si
dividono.
B. Il
resto per Baudrillard
Per quanto
cronologicamente capovolto, il mio discorso prende le mosse da Baudrillard,
che, proprio per la sua impostazione radicale e senza mediazioni, consente
di porre il problema nella sua massima evidenza. Per Baudrillard, nel
continuo processo di scambio sociale che egli definisce simbolico,
ogni residuo, ogni rimosso, ogni rimanenza di significati soggiacenti,
ogni resto nell’accezione più ampia del termine (materiale,
linguistica, psichica) deve scomparire. Non nel senso che debba essere
censurato, proibito o cancellato, ma nel senso che debba essere consumato,
scambiato in un movimento incessante e reversibile di circolazione sociale
che non lasci avanzi od accumuli. Perché questo? Perché
altrimenti il residuo non metabolizzato, il resto non scambiato e distribuito
(simbolicamente nel rito, materialmente nel consumo) costituirebbe la
base per ogni processo di accumulazione, per la costruzione di un capitale
che si autoriproduce, di una pretesa significatività “economica”
del discorso, di una struttura energetica della libido indirizzata a
nuove forme di valorizzazione.
Questa citazione
da Lo scambio simbolico e la morte, per quanto lunga, credo sia
chiarificatrice (Baudrillard, 1979, pg. 244):
“Niente
residuo, ciò significa non solo che non c’è più
un significante e un significato, un significato dietro il significante,
o da una parte e dall’altra d’una barra strutturale che
li distribuisce – ciò significa anche che non esiste più,
come nell’interpretazione psicoanalitica, un’istanza rimossa
sotto un’istanza rimovente, un latente sotto un manifesto,
dei processi primari che giocano a rimpiattino con dei processi secondari.
Non c’è più un significato, qualunque esso sia,
prodotto dal poema, non c’è più un ‘pensiero
del sogno’ dietro il testo poetico…Non c’è
un’economia libidica più che non ci sia un’economia
politica – né certamente un’economia linguistica,
cioè un’economia politica del linguaggio. Perché
l’economico, ovunque sia, si fonda sul resto (soltanto
il resto permette la produzione e la riproduzione) – che questo
resto sia il non condiviso simbolicamente che rientra nello scambio
mercantile e nel circuito d’equivalenza della merce…che
questo resto sia semplicemente il fantasma, cioè ciò che
non ha potuto risolversi nello scambio ambivalente e nella morte, che,
per questa ragione, si risolve in quel precipitato di valore
inconscio individuale, di stock rimosso di scene o di rappresentazioni,
che si produce e riproduce secondo l’incessante coazione a ripetere.
Valore mercantile, valore significato, valore rimosso/inconscio –
tutto questo è fatto di ciò che resta…questo resto
ovunque si accumula e alimenta le diverse economie che governano la
nostra vita.”
In sostanza,
per Baudrillard la nostra società si trova di fronte ad una radicale
alternativa: o scambia tutto, in un girotondo simbolico interminabile
che consente il godimento senza residui e, dunque, senza processi di
valorizzazione. O conserva e recupera dei resti che, per quanto apparentemente
autonomi, vengono integrati in un processo economico di accumulazione
e finalizzati in un codice – sia essa accumulazione materiale
di beni nel lavoro produttivo capitalistico, accumulazione di significati
nel voler dire della poesia, o accumulazione di un sovrappiù
libidico da liberare e portare alla luce.
Per Baudrillard
l’unica via d’uscita, quindi, (che rimanda al potlàc
dei primitivi – donare rendere scambiare, ai graffiti sui muri,
ai giochi linguistici ed anagrammatici senza significazione, alla freudiana
ed irriducibile pulsione di morte), consiste nel fare il vuoto.
Ogni godimento, contravvenendo in ciò alla successiva razionalizzazione
e valorizzazione freudiana, proviene dal fatto che è stata spazzata
via ogni referenza di senso. Ma non per il nulla in quanto tale: bensì
per la perfetta reversibilità, per la reversione minuziosa di
qualsiasi senso. È molto significativo che Baudrillard dedichi
attenzione al Witz, la battuta arguta che Freud aveva studiato. Non
nella freudiana funzione di emersione del rimosso, di “messaggio”
dell’inconscio, cioè di integrazione nell’universo
della significazione; bensì in una simbolica funzione di potlàc
del riso: non si ride da soli, si condivide, si consuma non da soli
ma nello scambio. Come la morte – e la sua pulsione – nel
ciclo della vita, delle vite. Senza altro scopo che la reciprocità
del ciclo continuo di Witz e storielle buffe. Secondo Friedrich Schlegel,
ogni arguzia tendeva al nichilismo. Come commenta Franco Volpi (Volpi,
1996, pgg.18/19 ), il riferimento è “alla funzione corrosiva
dell’arguzia (Witz), cioè dell’ironia: essa
produce uno scarto di prospettiva e un distacco rispetto al finito,
ne sospende e distrugge le pretese di valere assolutamente, e in tal
senso tende a quel ‘nichilismo’ che, mettendo in questione
il finito e relativizzandolo, apre la strada verso l’infinito”.
Bene, se in Baudrillard si vuole leggere del nichilismo, si faccia pure:
ma a condizione di ricordare che quel suo fare il vuoto, che la corrosione
della battuta di spirito non tende né al puro nulla del ni-ente,
né ad una nuova forma di valorizzazione o di integrazione, sia
essa l’infinito o la liberazione dalle rimozioni. Tende solo al
godimento, all’annullamento simbolico di ogni valore nell’ironia
e nello scambio sociale continuo. Barzelletta come champagne, o come
sperpero rituale nelle feste primitive.
C. Il
resto per Bataille
Chiunque conosca
Bataille, avrà sentito risuonare note familiari. Ma con una diversità.
Per Bataille, in generale le esperienze portate al limite (la morte,
il riso), ed in particolare l’arte e la poesia,
possiedono
un fondo irrecuperabile che sfugge a qualunque sistema produttivo, all’economia
di accumulazione come alla serietà del lavoro e della
cultura. “La poesia che non si eleva al non-senso della poesia
non è che il vuoto della poesia, non è che la bella poesia”.
I sistemi di valorizzazione positiva possono essere elusi, trasgrediti:
rimane un residuo improduttivo, un resto irriducibile proprio perché
non finalizzato ad un progetto. La poesia dà voce ad un resto,
che non costituisce opportunità per nessuna accumulazione: il
desiderio. Come afferma Mario Perniola ( Perniola, 1977, pgg. 47-48
), “il recupero della poesia e dell’arte al positivo,secondo
Bataille, non riesce mai completamente. Resta sempre un elemento residuale,
marginale, inafferrabile, che non si lascia ridurre nel recinto assegnato
a questa attività, che non può essere addomesticato. Questo
elemento selvaggio è il desiderio, da cui la poesia e l’arte
prendono origine, senza tuttavia riuscire a soddisfarlo”. L’eccedenza
del desiderio, rispetto ad ogni progettazione economica, costituisce
quel fondo che non è recuperabile. In questo senso, a differenza
di Baudrillard, c’è un resto imprendibile, il desiderio,
che avanza, che è dislocato rispetto ad ogni posizione, che sfugge
ad ogni rimessa in gioco; e che consente un’operazione di trasgressione
nel linguaggio che cerca di dirlo. “L’insubordinazione”,
sostiene Bataille, “se non si estende al dominio delle immagini
e delle parole, non è ancora che un rifiuto di forme esteriori
(come del governo, o della polizia)…io non posso considerare
come libero un essere che non ha il desiderio di sciogliere in se stesso
i legami del linguaggio” (citato in Perniola, Cit., pg.46).
Il lusso della poesia – come quello dello sperpero, della morte,
del sacrificio, del riso – si sottrae al recupero dell’utile
e, proprio come uno scarto sociale improduttivo ed irrecuperabile, come
un rifiuto urbano da discarica, costituisce un luogo negativo imprendibile.
Imprendibile dai progetti e dalla volontà razionale del giorno.
La negatività senza impiego. Un’altra
notte, come sviluppato da Maurice Blanchot, proprio sulla scia di
Bataille (Blanchot, 1967, pgg. 139-140): “l’altra notte
non accoglie, non si apre. Se ne è sempre fuori […] La
notte è inaccessibile, perché avere accesso ad essa, significa
accedere al di fuori […] questa altra notte è la morte
che non si trova, è l’oblio che si oblia, il ricordo senza
riposo”. L’altra notte che è la passione del giorno
e il suo progetto; ma che resta fuori, l’impenetrabile che condanna
il mondo del lavoro, dell’utile, all’inessenzialità.
Ma proprio il rischio di abbandonarsi all’inessenziale è
esso stesso essenziale. La negatività desiderata, eccedente,
sprecata, quel residuo inessenziale che sfugge alla concretezza dell’economico,
dell’utile, dell’azione progettata, costituisce per Bataille
il fondamento della comunicazione e dell’espressione, la differenza
irriducibile: “L’arte costituisce un piccolo campo libero
al di fuori dell’azione, e paga la sua libertà con la rinuncia
al mondo reale” (Bataille, 1994, pg.29). Naturalmente, questa
visione “per eccesso” di Bataille, secondo Baudrillard ripiomba
nel tranello della trasgressione, giocata al negativo contro gli interdetti,
e dunque, secondo questa critica, ancora a tale interdetto legata. Per
Baudrillard, nello scambio simbolico, ad esempio della festa, non c’è
resto, perché tutto è ciclicamente reversibile –
solo questo è non integrabile; mentre l’eccedenza batailliana
è un resto, una negatività che, paradossalmente, potrebbe
essere reintegrata.
Ma Bataille
è consapevole di tale contraddizione, fra la negatività
irriducibile del silenzio totale ed il rischio che il resto del desiderio
possa essere recuperato, da una parola per quanto insubordinata; alla
produttività; tra la trasgressione sovversiva e l’integrazione
progettuale che sempre la minaccia. E decide di accettare e vivere pienamente
tale contraddizione, come scrive nella prefazione a Madame Edwarda
( Bataille 1981, pg.21 ): “Non rifiuto la conoscenza, senza la
quale non potrei scrivere, ma la mano che ora sta vergando queste righe
è moribonda, e per questa morte promessale essa sfugge alle limitazioni
che ha accettato scrivendo (accettate dalla mano che scrive ma respinte
da quella che muore)”. Morte, poesia, riso sono un rischio da
correre, un qualcosa che per certi aspetti può essere riconquistato
dalla serietà del lavoro e del giorno; ma anche un nocciolo indigeribile
dall’ordine, quel residuo eccedente che potrebbe offrire l’unica
opportunità di sfuggire al limite. Come dice ancora in Madame
Edwarda ( pgg.62-63 ), in un passaggio estatico che ricorda i suoi
studi su Plotino e la Gnosi, quell’andare oltre che non
può essere imbrigliato: il traboccare della potenza dell’essere
al di là degli schemi razionali e progettuali della produttività
positiva: “Il divino non è più ciò che è
nel cristianesimo, l’acqua scura d’un fiume imbrigliato
tra due banchine, banchine sulle quali all’asciutto sono impiantate
le bancarelle multicolori: costituisce invece la tracimazione delle
acque, che solo nell’eccesso trasportano con sé cadaveri
e relitti, e che come il mare non hanno altro confine che il cielo”.
D. I
motivi della divaricazione
Come mai due
pensatori, per tanti versi affini, danno una interpretazione così
divergente della funzione del resto, per l’uno elemento
di speculazione e valorizzazione, per l’altro occasione di sovversione?
La spiegazione forse si può trovare in un accenno critico di
Baudrillard, per il quale Bataille ha subito ancora una “tentazione
naturalistica, se non biologistica”. Schematizzando, potremmo
dire che, in ultima istanza, Bataille pensa ancora in un orizzonte materiale
(se non vogliamo dire materialistico) mentre Baudrillard è già
in quello virtuale. Baudrillard rifiuta il resto, perché, valorizzato,
costituirebbe accumulazione, e ne propone il completo esaurimento all’interno
di un consumo simbolico, il ciclo morte-vita delle società primitive,
il linguaggio dei graffiti che non dicono nessuna significazione, il
Witz come reversibilità. Bataille vede nel resto un qualcosa
di sostanziale, di energetico, la materia del desiderio, e lo considera
un’eccedenza irriducibile, proprio perché improduttiva
– la poesia - ai fini dei progetti sociali.
E’ la
nozione stessa di dépense che si divarica nei due autori:
sperpero comunicativo e sociale per Baudrillard, sperpero solamente
ludico-distruttivo per Bataille. Come lo stesso potlàc,
studiato da Marcel Mauss nel Saggio sul dono, che è in
qualche modo l’emblema di tutto questo discorso. Inteso inizialmente
da Mauss come una modalità di acquisizione di potere e conferma
del rango, il potlàc viene in seguito economicisticamente ridotto
dai suoi continuatori ad un meccanismo utilitario e concreto di ridistribuzione
dei beni, fra le differenti classi di una data società; e si
capovolge infine in Baudrillard in una pura occasione di circolazione
sociale e simbolica, codice di reversione integrale in cui tutto viene
scambiato senza risparmi accumulativi. Ma per Bataille, allievo di Mauss
ed ispiratore di Baudrillard, il potlàc non era altro
che semplice profusione di energia, il godimento della dissipazione,
sovrana e sovversiva in se stessa, senza finalità socializzanti
o di scambio.
E. Due
parole sull’oggi
Vista nella
prospettiva del XXI secolo, e non in quella della “liberazione
istintuale” di quaranta o cinquanta anni fa, l’evoluzione
della questione parrebbe dare ragione a Baudrillard. La sua impostazione
suona più attuale. Non siamo forse pienamente nell’ordine
dei simulacri, come da lui profeticamente previsto trenta anni
fa? Non è forse questa la società dello spettacolare
integrato, come anticipato, già nel 1968, da un altro dei
nipotini di Bataille, Guy Debord? L’ordine della natura non sembra
essere pienamente soppiantato dall’ordine della simulazione, in
cui a dettare legge sono i codici e non più la materialità
di eros e thanatos? Contro l’ordine del codice,
non c’è forse più possibilità di trasgressione,
ma solo di una sterminazione dei significati – gli anagrammi
in cui il poetico si abolisce – che non lasci residuo di valore
?
Forse sì.
Ma le ultime vicende storico-politiche, ed il regresso culturale e morale
che si annuncia in atto, dall’invasione dell’Iraq, agli
integralismi e fondamentalismi religiosi di ogni tendenza, parrebbero
invece dare di nuovo ragione a Bataille. Di fronte al ridicolo orrore
dei nostri tempi, l’unica resistenza – come nella conclusione
de L’Azzurro del cielo, di fronte alla montante marea hitleriana
– potrebbe essere solo la materiale, irrecuperabile residualità
del desiderio e della poesia.
Bibliografia
Testi citati
Georges Bataille,
Madame Edwarda, Gremese Editore, Roma 1981, traduz. di Eugenio
Ragni
Georges Bataille,
Su Nietzsche, SE, Milano 1994, traduz. di Andrea Zanzotto
Jean Baudrillard,
Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano 1979, traduz.
di Girolamo Mancuso
Maurice Blanchot,
Lo spazio letterario, Einaudi, Torino 1967, traduz. di Gabriella
Zanobetti
Mario Perniola,
Georges Bataille e il negativo, Feltrinelli, Milano 1977
Franco Volpi.
Il nichilismo, Editori Laterza, Roma-Bari 1996
Altri testi
di riferimento
Georges Bataille,
L’azzurro del cielo, Einaudi, Torino 1969, traduz. di Oreste
Del Buono
Georges Bataille,
La parte maledetta, Bertani Editore, Verona 1972, traduz. di
Francesco Serna
Georges Bataille,
L’esperienza interiore, Dedalo libri, Bari 1978, traduz.
di Clara Morena
Jean Baudrillard,
All’ombra delle maggioranze silenziose, Cappelli editore,
Bologna 1978, traduz. di Maria Grazia Camici
Jean Baudrillard,
L’economia politica e la morte, in Luoghi e oggetti
della morte, Savelli editore, Roma 1979, traduz. di Gabriella Caramore
Guy Debord,
La società dello spettacolo, Baldini & Castoldi, Milano
1997, traduz. di Paolo Salvadori e Fabio Vasarri.