indice del numero 4

 

 

 

 

Zygmunt Bauman, Modernità liquida,
Roma - Bari, Laterza, 2003, pp. 263, ISBN 8842065145, Euro 15,00


 

Modernità liquida, del sociologo polacco Zygmunt Bauman, è un testo interessante che propone un’analisi chiara e puntuale dei cambiamenti che stanno attraversando le nostre società all’inizio del nuovo secolo.

Le due domande, che l’autore rivolge al lettore, possono servirci da introduzione a questo lavoro; innanzi tutto egli si chiede che cosa sia la modernità e quali siano i tratti caratterizzanti che la distinguono, come epoca storica, da quelle precedenti. La risposta a questo primo quesito riguarda il mutato rapporto tra lo spazio ed il tempo: “Il tempo acquisisce una storia allorché la velocità di movimento nello spazio diventa una questione di ingegno” (p. XV). Nel rapporto tra lo spazio ed il tempo, lo spazio rappresenta il lato solido e stolido, e dunque pesante della medaglia, mentre il tempo rappresenta il lato fluido, dinamico e sempre cangiante di tale rapporto. Vedremo tra poco come il tempo diventerà, nella nostra epoca liquida, l’aspetto più importate dei cambiamenti in corso.

La seconda domanda ci porta direttamente al cuore delle tematiche trattate in questo libro, e dunque la questione posta da Z.Bauman suona così: “la modernità non fu forse fin dall’inizio un processo di liquefazione?” (p. VII). Attraverso questa seconda domanda è possibile considerare la storia della modernità come un lungo processo di liquefazione continua di tutti quei corpi solidi che le società avevano precedentemente costruito.

Se consideriamo la modernità attraverso lo sguardo rivoltole da autori quali M. Weber, A.De Tocqueville scopriamo infatti che uno dei compiti assegnati alla modernità fu quello di “fondere i corpi solidi” per costruire una società più stabile e duratura; i primi corpi solidi ad essere liquefatti furono in generale gli obblighi etici e religiosi che caratterizzavano e tenevano unite invece le società pre-moderne. In questa fase di liquefazione l’unico rapporto sociale che resistette al cambiamento fu il rapporto di classe e dunque, da questo momento in poi, un nuovo tipo di razionalità prese la guida della società, e ciò lo possiamo descrivere marxianamente come il primato dell’economia intesa come razionalità che governa tutte le altre vicende umane e sociali.

L’immagine che più di ogni altra esemplifica questa prima fase della modernità è, secondo l’autore, il Panopticon, questo luogo inventato da J. Bentham e ripreso da M.Foucault, nel quale le persone vivono costantemente controllate e sorvegliate dal potere, potere che poteva contare sulla sua velocità e facilità di spostamento per tenere sotto controllo i propri sudditi: “ Il dominio del tempo era l’arma segreta del potere dei leader” (p. XVI). Un’altra immagine può chiarire, tra le tante, cosa abbia significato il potere di controllo sul tempo: la fabbrica fordista con la sua standardizzazione del tempo di lavoro nella catena di montaggio.

Questo modello di relazione tra controllori e controllati comportava il reciproco coinvolgimento tra gli attori in campo e di fatto inchiodava il potere allo stesso suolo dove i controllati svolgevano le proprie attività.

Nella nostra fase di modernità, che l’autore definisce liquida, il modello panottico e tutte le strutture sociali ad esso collegate è definitivamente entrato in crisi e, liquefacendosi, ha aperto una nuova fase della storia umana che da molti è stata interpretata come fine della storia o come fine della modernità, ma che l’autore definisce preliminarmente come post-panottica; essa tuttavia esibisce ancora il tratto caratteristico della modernità, ossia la sempre inarrestabile spinta alla modernizzazione. Questa fase di liquidità attraversa aspetti importanti della nostra vita sociale come ad esempio il lavoro, la comunità, l’individuo, il rapporto tra lo spazio ed il tempo, ed infine, ma non ultimo in ordine di importanza, l’idea di libertà e quella ad essa collegata di emancipazione.

Lo scopo di questa testo è mostrarci come siano divenuti più liquidi e dunque inafferrabili questi concetti che, fino a poco tempo fa, rappresentavano il cardine portante delle nostre società e del nostro vivere in comune. Passiamo dunque ad analizzare questi aspetti della modernità liquida.


Emancipazione


L’idea di libertà che il concetto di emancipazione tiene legata a sé, viene analizzato dall’autore partendo da un pensatore, H.Marcuse, e da una scuola di pensiero, quella di Francoforte, che nel dopoguerra europeo misero al centro delle loro ricerche critiche il rapporto tra il cittadino e la società, e dunque il rapporto tra libertà e oppressione.

L’obiettivo che tale filosofia critica si poneva era la liberazione dell’individuo da tutte quelle routine e forme standard di vita che la società industriale poneva come base del contratto sociale; l’emancipazione individuale, secondo la teoria critica, passa attraverso un radicale ripensamento del rapporto tra individuo, società e stato, quest’ultimo considerato quale guida del percorso emancipativo. Una concezione del genere era, però, endemicamente esposta al rischio, attuato, del totalitarismo, questo spettro della modernità solida, che viene ben esemplificato, secondo l’autore, dal Panopticon di Bentham/ Foucault o dal libro 1984 di G.Orwell.

L’idea di Z.Bauman, in merito al valore e all’attualità della teoria critica così esposta, è che questa concezione, nella modernità liquida, assomiglia alla metafora del “modello camping”: nei camping, infatti, qualora qualcosa non funzioni, il visitatore può lamentarsi con la direzione e al limite estremo può andar via dal camping. Ma assolutamente non avverrà mai che il visitatore sostituisca la direzione stessa nella gestione del campeggio.

La metafora del camping esemplifica, secondo l’autore, la fine della teoria critica così come l’abbiamo conosciuta attraverso la scuola di Francoforte: nella modernità solida la società era considerata come una casa comune, nella quale bisognava solamente istituzionalizzare le norme ed i comportamenti dei cittadini; la metafora del camping chiarisce invece che la società, intesa come casa comune è ormai tramontata all’orizzonte nella modernità liquida. Scrive l’autore: “Le cause del cambiamento sono più profonde, radicate nella profonda trasformazione dello spazio pubblico” (p.14).

Questi cambiamenti, uniti, inoltre, alle fine delle paure legate agli spettri orwelliani, hanno portato molti autorevoli pensatori a sostenere la fine della modernità e della storia della modernità: sostenendo una posizione molto originale, Bauman scrive che la nostra modernità “il massimo che si può dire è che moderna in modo diverso” (p. 18); la nostra società, secondo il sociologo polacco, si distingue dalla modernità appena trascorsa, principalmente dal suo grado di fluidità delle strutture che la animano, ma è ancora moderna in quanto la sua spinta verso la modernizzazione non si è ancora esaurita.

Solo due caratteristiche distinguono questo periodo fluido da quello solido precedente: in primo luogo, la fine dell’idea di progresso come telos della modernizzazione e, in seconda istanza, i processi di privatizzazione e deregolamentazione dello stato mettono fine al progetto moderno di individuo-cittadino. La contraddizione tutta fluido moderna tra le aspettative dell’individuo e quelle del cittadino, è ben esemplificata dalla differenza tra individuo de jure ( diritti-doveri) e l’individuo de facto (capacità di autoaffermazione). L’importanza cruciale del crescente divario tra le due caratteristiche è stata ampiamente dimostrata anche da G.Agamben, nel suo testo Homo sacer; secondo Bauman questo divario sta lentamente distruggendo lo spazio pubblico, il luogo principe della politica, intesa come ridefinizione costante dei diritti e dei doveri del cittadino.

La parte finale di questo paragrafo, pone una domanda molto importante in merito alla questione sull’emancipazione: è ancora possibile una teoria critica che tematizzi la liberazione degli uomini e delle donne? Bauman risponde chiarendo che la teoria critica classica è morta e sepolta in quanto, i soggetti a cui era rivolta, come il cittadino, lo stato, si sono ormai sciolti nella fluidità della nostra epoca. Il punto importante che l’autore mette in chiaro è che invece il progetto emancipativo non si è disciolto, e dunque, per rilanciarlo, abbiamo bisogno di una nuova prospettiva, all’interno della quale inserire la teoria critica: tale prospettiva è, in epoca fluida, colmare il più possibile il divario tra l’individuo de jure e l’individuo de facto: “Oggi è la sfera pubblica a dover essere difesa dall’invasione del privato, e ciò paradossalmente, al fine di accrescere, non di ridurre, la libertà individuale” (p. 48).


Individualità


Il passaggio dalla modernità solida a quella fluida indica che tutte le certezze su cui si è costruita la modernizzazione fino ad oggi stanno venendo meno, sostituite da una fase di sfrenata deregolamentazione e flessibilizzazione dei rapporti sociali; non sorprende, allora, che questa nuova fase veda al centro del suo sviluppo proprio l’individuo, con la contraddizione principale che abbiamo già delineato.

Gli uomini e le donne che popolano le società avanzate sono sempre più convinti che il loro successo/insuccesso dipenda esclusivamente dalle loro proprie capacità, senza nessun soccorso da parte della società (intesa in modo ampio); ci troviamo, insomma, nella situazione in cui, tramontato il sogno di una autorità centrale, sia essa lo stato o il capitale, che garantisca la strada per il progresso, il mondo si trasforma in una distesa di opportunità pronte ad esser colte dai soggetti, per guadagnare il maggior numero di soddisfazioni possibili: “Il mondo pieno di possibilità è come un buffet ricolmo di prelibatezze che fanno venire l’acquolina in bocca” (p. 62).

Chi può aiutarmi a raggiungere gli obbiettivi giusti? Questa sembra essere la domanda più importante che si pone il soggetto nella modernità fluida, e le risposte a questi quesiti fondamentali per ogni individuo vengono portate direttamente a casa dai talk-show televisivi, il cui scopo è appunto quello di risolvere i problemi privati portandoli al pubblico dibattito. Secondo l’autore, ci troviamo dinanzi ad una vera e propria colonizzazione della sfera pubblica da parte di problematiche che fino a poco tempo fa erano di pertinenza esclusiva della sfera privata.

Attraverso questi esempi, il sociologo polacco ridefinisce il confine tra la sfera pubblica e quella privata; il fatto che i problemi privati invadano lo spazio pubblico della discussione, non traduce queste problematiche in questioni pubbliche ma, ed è l’aspetto più importante, toglie lo spazio a tutti gli argomenti pertinenti alla sfera pubblica. Il primo risultato di tale condotta è la fine della Politica come argomento di dibattito pubblico, e di conseguenza la fine dell’agire politico del cittadino.

Nella modernità liquida, è il consumo la priorità di ogni individuo, e principalmente il consumo/acquisto di identità personali attraverso l’identificazione. Questo genere di mercato delle identità ben si combina con i processi di flessibilità propri della modernità liquida, ma, avverte l’autore, il genere di consumismo che riguarda le società di oggi è ben diverso dal fenomeno del consumismo dell’epoca solido moderna; in questa, infatti, il consumo era inserito nella dialettica del bisogno/mancanza, mentre nella modernità liquida, il consumo è rivolto unicamente verso l’appagamento dei desideri. La natura autoreferenziale del desiderio, che ha per oggetto se stesso, chiarisce bene come il fenomeno consumo divenga così una compulsiva ricerca di soddisfazione che non si esaurisce mai, e dunque infinita.


Tempo e spazio


Passiamo ad analizzare i luoghi e i tempi dove l’individuo moderno incontra le altre persone.

L’incontro tra le persone nei luoghi e nei non luoghi pubblici è innanzitutto l’incontro tra estranei, e ciò lo si potrebbe descrivere attraverso il concetto sartiano di serie; il fenomeno principale che si può riscontrare in questi incontri è definito dall’autore come buona creanza, attività che garantisce la reciproca compagnia tra le persone, e al contempo una giusta distanza tre le stesse che mette al riparo da un loro possibile coinvolgimento più stretto.

I luoghi pubblici sono classificati dall’autore in due categorie distinte: la piazza descritta nel libro, come un luogo che, per caratteristiche architettoniche, possiede una funzione che non è quella di spazio pubblico, inteso come luogo di incontro tra persone, ma il suo compito è quello di ospitare solamente il passaggio degli individui. Questo luogo è, dunque, uno spazio pubblico ma non civile. La seconda categoria di spazio pubblico (ma non civile) è identificata dall’autore con i luoghi di consumo, i quali “stimolano l’azione ma non l’interazione” (p. 107). L’interazione tra i soggetti in questi luoghi è resa difficoltosa dal fatto che, il consumo che qui si produce, è un’attività che si espleta solo individualmente.

Traslitterando il significato di strategia antropoemica e antropofagia, fatta da C.L. Strauss nella sua analisi dei comportamenti degli individui, l’autore polacco distingue le due categorie di spazio pubblico ma non civile; la prima categoria di spazio pubblico segue fedelmente la strategia emica, tendendo alla rapida espulsione delle persone, mentre i luoghi del consumo rispecchiano la strategia fagica, in quanto spingono ad una rapida omologazione/digestione dei consumatori.

Alle caratteristiche descritte, l’autore aggiunge una terza classificazione dei luoghi pubblici, utilizzando il concetto di non-luogo descritto dal sociologo francese M. Augé; i non-luoghi hanno la caratteristica di essere al contempo dei luoghi emici e dei luoghi fagici, come dimostrano ad esempio gli aeroporti. I non-luoghi rappresentano degli spazi vuoti di significato, proprio perché in essi non si sviluppa nessuna interazione tra le persone che dia un senso al luogo di passaggio. Insomma, la funzione dei luoghi pubblici non civili sembra proprio essere quella di non permettere il confronto e l’interazione tra le persone che vi transitano, sebbene ciò non possa comunque impedire che si incontri l’estraneo, al massimo possono sterilizzare le conseguenze di tale incontro.

Attraverso questa analisi e attraverso la critica alla politica spettacolo, l’autore sembra denunciare la perdita della capacità da parte delle persone di negoziare tra estranei un progetto di vita in comune: “Il progetto di sfuggire all’impatto della multitonalità urbana e trovare rifugio nell’uniformità comunitaria, è autolesionistico quanto autoperpetuantesi” (p. 118). Il progetto comunitario è inteso dall’autore come la risposta più ovvia e prevedibile alla fluidità dei rapporti sociali che caratterizzano la nostra modernità liquida, ma questa prevedibilità della risposta comunitaria non cancella, secondo Bauman, il circolo vizioso che genera il comunitarismo: l’incontro tra estranei, nonostante “le comunità” è sempre possibile e appartiene agli accadimenti ineliminabili della nostra vita, sebbene il comunitarismo percepisca l’altro-estraneo come pericolo fondamentale della comunità. Anche questo aspetto della nostra vita pubblica indica chiaramente la crisi profonda della politica, intesa come negoziazione e reciproco contrasto tra individui.

L’analisi del tempo è compiuta partendo dall’importanza che questo ha rivestito a partire dagli albori della modernità pesante: “La modernità è il tempo nell’epoca in cui il tempo ha una storia.” (p. 124).

Nella sua storia moderna, il tempo è stato inizialmente identificato con il tempo che occorre per attraversare uno spazio; al contrario, nella modernità fluida il tempo, come approssimazione all’istantaneità, garantisce l’equivalenza di qualsiasi luogo in rapporto al tempo per raggiungerlo, e dunque ciò sancisce la predominanza del tempo come fattore di dominio sullo spazio. Questo passaggio è così cruciale da essere paragonato dall’autore al passaggio dal capitalismo hardware (modernità pesante) a quello software. Nel capitalismo software, il tempo considerato come istantaneità è un fattore così importante da essere paragonato allo stesso avvento del capitalismo: l’istantaneità trasforma ogni momento (di tempo) in un momento infinito, ne deriva l’idea dell’immortalità, l’illusorio sogno dell’uomo, che viene ad identificarsi con l’infinità di ogni momento.

La predominanza del tempo considerato come istantaneo-immortale rappresenta un cambiamento epocale, in quanto sia il passato che il futuro, in una società in cui ha valore solo l’istante, perdono di senso come coordinate della vita di ogni individuo, sostituite dalla filosofia del carpe diem. L’autore conclude domandandosi sarcasticamente quale tipo di mondo potrà mai derivare da questa concezione della vita intesa come istantaneità.


Lavoro


Altro pilastro della modernità solida è l’idea di progresso. Questo concetto che concepisce il tempo presente come un periodo di trasformazione verso il futuro, ha rappresentato per più di un secolo la spinta che ha permesso il definitivo slancio della società moderna verso il mondo. Questa idea si è sviluppata in sistemi sociali quanto mai stabili ed impermeabili a qualsivoglia variabile casuale che ostacolasse quest’opera di immensa costruzione; ebbene Bauman ci sollecita il pensiero che, nella nostra epoca fluido-moderna non c’è più spazio per l’idea di progresso in quanto, come abbiamo visto nell’analisi precedente, tutta la nostra vita è rivolta a cogliere solo gli aspetti gratificanti del carpe diem. A conti fatti, oggi l’idea di progresso non è sparita del tutto dall’orizzonte delle nostre società, ma semplicemente, come gli altri aspetti che abbiamo analizzato, si è modificata radicalmente; il progresso, nelle società liquido moderne, non è più governato da autorità centrali, come lo stato, che ne guidano lo sviluppo, ma è al contrario lasciato al servizio di tutti i soggetti privati che ne vogliano far parte.

Abbiamo accennato poco fa che l’idea di progresso aveva come suo corollario l’opera di trasformazione del mondo; l’attività fondamentale di quest’opera di trasformazione è stata, nella modernità pesante, il lavoro. Proprio questa attività, ci rammenta l’autore, sta subendo, sotto i colpi della modernità liquida, le trasformazioni più radicali nella sua lunga storia di rapporto con il capitale: l’analisi parte dagli albori della modernità, quando il lavoro fu scisso dall’attività dello scambio, trasformando così il lavoro (ed il lavoratore) in una merce come le altre nelle mani del capitale, ed arriva ad oggi in cui lo storico rapporto tra lavoro e capitale si è modificato con “l’avvento del capitalismo leggero e fluttuante, caratterizzato dal disimpegno e dall’allentamento dei legami che uniscono capitale e lavoro.” (p. 172).

Allentamento e disimpegno stanno a significare che il capitale ha rotto definitivamente il suo magico rapporto con il lavoro, non volendo più essere incatenato con esso al suolo; chiara indicazione di ciò è la crescente flessibilità (precarietà) che investe il mondo del lavoro, concetto questo che sta traformando milioni di lavoratori in liberi professionisti della flessibilità; e che ripropone, a distanza di quasi un secolo, la polemica marxiana nei confronti degli economisti classici in merito al libero individuo (lavoratore).

Il lavoro oggi si acquista, al pari di altre merci, in negozi appositi, acuendo in questo modo la precarietà e l’instabilità della vita di ogni individuo.

Anche il capitale, nella modernità liquida, si è trasformato profondamente, perdendo il suo interesse per un territorio preciso al quale rimanere confinato e trasformandosi sempre di più in una potenza extraterritoriale pronta a cogliere i profitti ovunque essi si manifestino.

I cambiamenti che il sociologo polacco ha individuato nel mondo del lavoro hanno delle ripercussioni profonde nei rapporti tra individui in quanto queste trasformazioni inducono le persone a riconsiderare la propria esistenza secondo i valori della società dei consumi. Dunque, ogni rapporto, da quello lavorativo a quello sociale, viene considerato alla stregua di un prodotto da consumare; tutti i rapporti umani insomma, avverte Bauman, non sono più costruiti collettivamente, ma consumati individualmente.

In un’epoca così fluida nei cambiamenti, non ci si stupisce più della difficoltà che incontrano gli individui a costruire collettivamente una alternativa a questo sistema di cose, proprio perché tali trasformazioni hanno reso la vita così piena di possibili errori che ognuno tenta, individualmente, di porvi rimedio.



Comunità


La flessibilità dei legami sociali che abbiamo descritto fino ad ora, ha come risultato paradossale quello di aumentare il fascino dell’idea comunitarista dei rapporti interumani: la cosa è paradossale in quanto la società fluido-moderna spinge senza sosta verso l’individualizzazione di tutti i legami sociali, mentre la proposta comunitarista spinge a creare una nuova solidarietà tra gli individui della comunità che sappia controbilanciare la crescente insicurezza del mondo fluido moderno.

L’aspetto paradossale che viene messo in luce riguarda il fatto che l’idea di comunità è divenuta imprescindibile dalla nozione di identità, sebbene l’una rappresenti il limite dell’altra; la nozione di identità è per definizione una concezione esclusiva mentre il concetto di comunità, avendo alla sua base eros come forza unificante, tende ad unire più membri possibili.

La comunità delle identità sembra allora essere utile per sanare il divario crescente tra l’individuo de jure e l’individuo de facto, che abbiamo considerato come uno degli aspetti più particolari della modernità liquida, in quanto è all’interno delle comunità-identità che l’individuo è recuperato come unicità non divisibile.

Dopo aver descritto le varie forme di comunità, distinguendo tra quelle che ritrovano l’unità attraverso la similitudine delle proprie identità (nazionalismo), e quelle che, al contrario, si costituiscono sulla base di una negoziazione costante delle differenze (modello repubblicano), l’autore ci avverte che quest’ultima è “la sola variante di unità che le condizioni di modernità liquida rendono compatibile, plausibile e realistica.” (p. 209).

La novità che il neocomunitarismo ha portato alla ribalta deriva dunque dal fatto che, l’appartenenza ad una comunità (di identità), non rappresenta più un fattore rigido di appartenenza, ma è un processo di autoproduzione individuale che può sempre essere messo in discussione e rinegoziato; la comunità, insomma, è oggi l’unico luogo nel quale si trova riparo dalle crescenti insicurezze fluido-moderne, sebbene essa possa anche essere il maggior ostacolo all’integrazione tra individui di culture diverse, come dimostra il melting pot della società statunitense.

Un ultimo aspetto viene infine analizzato dall’autore all’interno della sua analisi sulla comunità, ed è il rapporto tra lo stato e la nazione; nella modernità solida, l’idea di nazione era strettamente legata all’idea di stato, o più precisamente, ne rappresentava il senso e l’unità stessa. Nella nostra epoca fluida assistiamo invece al crescente divario di queste due linee una volta parallele, in quanto l’idea di nazione si sta sempre più frammentando nelle diverse comunità e lo stato, come potere costituzionale, sta lentamente e inesorabilmente abdicando le sue funzioni primarie, come dimostrano bene i processi di privatizzazione dei suoi servizi, sotto la spinta dei poteri globali, primo tra tutti il capitale, che impongono le proprie regole all’intero mondo.

A dimostrazione della validità di questo ragionamento, Z.Bauman cita la triste vicenda della guerra jugoslava, una guerra che ha dimostrato bene qual è il prezzo che si paga dinanzi al rifiuto di adesione alle nuove regoli globali, e di come uno stato possa essere disintegrato in comunità fuse in lotta tra loro.

In conclusione, il lavoro di Bauman, utilizzando le analisi sociologiche sulla società contemporanea, ha come compito principale quello di indicare alla ricerca sociologica una nuova strada che sappia coniugare la ricerca oggettiva sul campo con le aspettative di comprensione che la società, come unione degli individui, le richiede, al fine di costruire una società che si riappropri della capacità di analizzare, pensare e valutare criticamente tutte le scelte che essa si impone, diminuendo il più possibile gli argomenti su cui non sia possibile esprimere una opinione. Si tratta di una sociologia che ha come punto di riferimento l’individuo, inteso come depositario della libertà di scelta e opinione, ma che tuttavia, nella società dei media e dell’informazione, sta perdendo la sua capacità di analisi critica e di interazione con gli altri individui. Occorre allora che gli uomini indirizzino i processi di modernizzazione verso le loro esigenze, non abdicando questo potere nelle mani dei cosiddetti esperti che si propongono come i soli depositari della facoltà di scegliere.


(Emiliano Maini)

 

 

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