C)
Giochi
Dopo il parziale ritorno
all'ordine del primo dopoguerra, il New Dada e la Pop Art negli anni
Cinquanta riprendono temi dissacranti e dirompenti; posto Dada come
punto zero, si rinasce, se si rinasce, su quelle scandalose ceneri.
Innumerevoli sono gli artisti che hanno costruito arte sul paradosso
della non-arte e hanno sfruttato materiali e oggetti già esistenti per
creare composizioni insolite, stranianti, difficilmente catalogabili
e sempre discusse. In questo senso, è il Surrealismo, inteso non solo
come gruppo storico ma anche come atteggiamento artistico sotteso a
molti movimenti moderni, a dare una base concettuale al recupero formale
dei resti, degli avanzi, dei rifiuti.
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Tanktotem VI
(David Smith, 1957)
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Macchina inutile
(Bruno Munari, 1934)
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David Smith, l'autodidatta
che era stato vicino a Calder e ai surrealisti negli anni Trenta costruendo
oggetti filiformi e colonne assemblate con i più disparati frammenti,
nel clima rovente del secondo dopoguerra si dedica a monumentali serie
tra cui i Tanktotem basati su serbatoi metallici e le Sentinel
strutturate su rottami di automobile (Tanktotem VI, 1957). Smith
possiede ironia e buon gusto e, anche in opere dimensionalmente importanti,
sa usare una sorta di leggerezza, un innato sottotono. Non molto lontane
da Smith sono state le ricerche di Bruno Munari (Macchina inutile,
1934), di Jean Tinguely (Baluba, 1962), celebre per le sue giocose
fontane meccaniche, irrispettose e divertenti e di Daniel Spoerri, l'autore
dei cosiddetti Tableaux-Pièges, quadri-trappola, in cui, ad esempio
(Repas hongrois, 1963), i generatori della composizione artistica
sono i resti di un pasto, nei bicchieri e nei piatti, insieme
a tovaglie, posate e bottiglie. In anni più recenti Spoerri ha tenuto
viva la tradizione ludica di Tinguely, ricollegandosi formalmente anche
alla levità e al disincanto di Calder e di Mirò (Senza titolo,
1984).
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Baluba
(Jean Tinguely, 1962)
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Repas hongrois
(Daniel Spoerri, 1963)
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Senza Titolo
(Daniel Spoerri, 1984)
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L'assemblaggio di scarti
d'uso in somiglianza di oggetti reali fu sperimentato dallo scozzese
Eduardo Paolozzi nel primo dopoguerra; le sue forme sono ispirate da
residui e rottami metallici, osservati e raccolti casualmente, che egli
riproduce e riplasma, attraverso l'impiego di materiali nobili come
il bronzo, per poi ricomporli estrosamente, creando figure stlizzate,
primitive, cubiste (Paris Bird, 1949).
Sono analoghe le ricerche
di Pino Pascali con la serie delle Armi (Armi, 1960), fantasiose
e provvisorie imitazioni di fucili e mitragliatrici ottenute con pezzi
di metallo, barattoli, tubi, sottratti alla rottamazione, e da Ettore
Colla che rivolse la sua creatività verso lamiere, infissi, piastre
metalliche corrose o logorate, rivisitando modelli
antichi e riducendoli a scheletri materici (Genesi, 1955 e
Trittico, 1960).
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Paris Bird
(Eduardo Paolozzi, 1949)
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Genesi
(Ettore Colla, 1955)
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Armi
(Pino Pascali, 1960)
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In America, Robert Rauschenberg
più di ogni altro è parso sensibile a un discorso tanto etico e civile
quanto ironico e ludico; il suo fare arte è un'inserzione continua e
sorprendente di materiali tradizionali e non tradizionali, le cui radici
formali risalgono certamente a Man Ray, a Schwitters, a Arp e a Duchamp,
ma che oltrepassano la dimensione di accumulo per diventare appunto
un fare, uno scegliere, un creare.
Rauschenberg nella sua
lunghissima e ancora non conclusa carriera (splendidamente riassunta
in una grande antologica organizzata a Ferrara nella prima metà del
2004), dagli anni Cinquanta al 2000, ha utilizzato di tutto, lamiere,
corde, scatole, rottami presi dalla strada, inserendoli in opere di
collage, metà scultura metà pittura (Dylaby, 1962), e giungendo
al punto estremo, paradosso nel paradosso, di riprodurre perfettamente
in ceramica i frammenti di un imballaggio di cartone spiegazzato dall'uso
(Tampa Clay Piece 3, 1973).
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Trittico
(Ettore Colla, 1960)
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Dylaby
(Robert Rauschenberg, 1962)
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Tampa Clay Piece 3
(Robert Rauschenberg, 1973)
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