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Putnam Hilary, "Mente, corpo, mondo"

il Mulino, Bologna, 2003, pp.270, euro 19,00

 

L’opera si presenta organizzata in tre parti:

La prima parte raccoglie le John Dewey Lectures, presentate il 22, 24 e 29 marzo 1994 alla Columbia University con il titolo "Il senso, il non-senso e i sensi: un’indagine sui poteri della mente umana", e pubblicate, nel settembre dello stesso anno, sul "Journal of Philosophy".

La seconda parte è costituita dalle Josiah Royce Lectures, tenute dall’autore alla Brown University nei giorni 3, 5 e 7 novembre 1997, con il titolo "Mente e corpo".

La terza parte raccoglie due postfazioni: nella prima, Putnam utilizza la posizione di Kim sulla "spiegazione" come polo dialettico per le proprie analisi; nella seconda, invece, viene preso in considerazione l’argomento qualia.

Raccolta di interventi originariamente nati per la comunicazione orale, e cronologicamente distanti tra loro, ciò che, tuttavia, non ci abbandona mai nella lettura del testo, è la sensazione di unità dell’opera e della sua continuità con le precedenti ricerche dell’ autore.

Abbandonato il realismo filosofico hard che aveva contraddistinto le analisi giovanili (all’orizzonte c’erano Reichenbach, Carnap e il neopositivismo di Quine) e i fervori marxisti degli Anni Sessanta (che ne avevano fatto uno dei leader della protesta contro la guerra in Vietnam), con Ragione, verità e storia (1981) Putnam si è posto alla ricerca di un tipo di realismo in grado di mediare "tra la metafisica reazionaria e il relativismo irresponsabile" (p.14)

Sotto l’etichetta di "metafisica reazionaria", Putnam colloca la concezione che esista una totalità di Forme o Universali o Proprietà, fissata una volta per tutte, e che ogni possible significato di una parola corrisponda a una di queste Forme o Universali o Proprietà.

A questa concezione, il filosofo lega il realismo tradizionale: "Le forme tradizionali di realismo sottoscrivono la tesi secondo cui ha senso parlare di una totalità fissa di tutti gli <oggetti> su cui le nostre proposizioni possono vertere" (p.17).

A questa posizione si oppone quella del relativismo che nascerebbe con quella radicale "matematizzazione" della natura avvenuta ad opera di Berkeley e Hume (per la prima volta la natura viene vista more geometrico). E’ in questo modo che il mondo diviene "esterno": la descrizione della natura tramite formule matematiche ci rende impossibile la pretesa di descrivere le cose come sono in sé stesse, la nostra "esperienza", dunque, ha luogo solo in un luogo "interno" (il cervello).

Chi non accettò l’idealismo di Berkeley propose che, se pur non ci sia possible cogliere le cose "direttamente", ci è possibie, tuttavia, coglierle "indirettamente", nel senso che abbiamo esperienze da esse causate. In tal modo, sarebbe possible accordare un genere derivato di realtà anche a quelle che furono definite "qualità secondarie" come "qualità relazionali": i qualia.

Così, il filo rosso che lega insieme le analisi proposte nel testo è, di nuovo, il rapporto Soggetto\Mondo: in che relazione conoscitiva sono i due elementi?

Negli scritti degli Anni Settanta, troviamo la proposta di quella che è conosciuta come posizione "esternista": il mondo "esterno", nella totalità degli oggetti che gli appartengono, è pre-costituito rispetto al Soggetto conoscente, perciò l’unica conoscenza vera possibile sarebbe "corrispondentistica", essa dovrebbe essere, cioè, una neutra riproposta della configurazione strutturale del Mondo.

Successivamente, in Ragione, verità, storia, con il "realismo interno", Putnam abbraccia la teoria dei qualia e lo scetticismo di Berkeley.

In breve, il filosofo inizia a vedere nel linguaggio l’interfaccia "culturale" tra il Soggetto e il Mondo, per cui, pur non negando la pre-esistenza del Mondo al Soggetto, afferma la possibilità di molteplici modi per descrivere lo stesso fenomeno: sotto l’influenza di fattori sociali e culturali, le descrizioni – pur senza perdere la propria coerenza interna – nascono sempre "in prospettiva". Putnam riesce, comunque, a non scivolare nel relativismo, essendo consapevole che all’essere "storico" della prospettiva non ne corrisponde l’arbitrarietà: la conoscenza ad opera del Soggetto rimane legata alla percezione di enti che sono "reali".

Oggi, il filosofo ci propone una "terza via": il realismo "ingenuo" o "naturale".

Il problema che genera lo scarto tra le due posizioni è quello della rappresentazione – al tema è dedicata la prima parte dell’opera, con una breve ma esaustiva storia del problema nella filosofia analitica, e la prima delle postfazioni.

Ciò che l’autore non accetta più della posizione scettica, è l’idea della rappresentazione come interfaccia tra l’"interno" della Mente e l’"esterno" del Mondo.

Per recuperare un rapporto "diretto", "naturale" tra Soggetto e Mondo, è necessario confutare due concezioni: la visione "materialistica" della Mente e l’idea "metafisica" del Linguaggio.

Nel primo caso (su cui, per altro, si fonda la teoria dei qualia), si tende a confondere la Mente con il cervello; nel secondo si guarda al Linguaggio come ad un insieme di categorie "esterne" al Soggetto che ne regolerebbero le capacità conoscitive.

Secondo Putnam, piuttosto, è necessario considerare la Mente come un complesso di capacità conoscitive (materiali e non) e il linguaggio come appartenente ad esse.

Assunta questa posizione, è possibile approcciare con chiarezza la questione principale del rapporto Soggetto\Mondo, questione alla quale sono riconducibili tutte le altre, e che Putnam identifica con la questione della rappresentazione.

Ciò che la nuova concezione della Mente e del Linguaggio permetterebbe di confutare, non è l’attività di rappresentazione in quanto tale, ma l’"idea di rappresentazione", cioè la concezione seconda cui essa sarebbe un’ "interfaccia" tra il Soggetto e il Mondo.

Porre, attingendo da idee di Austin e James ma anche di Wittgenstein e Husserl, la rappresentazione come attività significa, secondo Putnam, cogliere la "terza via", quella del "realismo ingenuo": ciò che, così, viene messo in discussione è l’idea di "rappresentazione vera" del Mondo come unica possibile super-rappresentazione dell’unica realtà esistente, in favore di un’idea di Mondo (o, se si preferisce, di "realtà"), da rinegoziare man mano che il nostro linguaggio e la nostra vita si sviluppano.

Il lavoro di Putnam, in conclusione, sembra poter accontentare ogni tipo di lettore: l’ammiratore, che troverà qui un ulteriore passo in avanti nelle ricerche dell’autore, e il neofita, che leggerà un resoconto chiaro e maneggevole sulla questione Soggetto\Mondo nella filosofia della Mente.

 

INDICE

Prefazione p.7

Parte prima. Il senso, il nonsenso e isensi. Un’indagine sui poteri della mente umana

Prima lezione. L’antinomia del realismo p.11

Seconda lezione. L’importanza di essere Austin: il bisogno di una "seconda ingenuità" p.41

Terza lezione. Il volto della cognizione p.73

Parte seconda. Mente e corpo

Prima lezione. "Pensai a ciò che chiamai una <fidanzata automatica>" p.119

Seconda lezione. Le condizioni psicologiche sono <stati interni>? p.149

Terza lezione. La correlazione psicofisica p.173

Parte terza. Postfazioni

I. Causalità e spiegazione p.221

II. I qualia sono apparenze? P.231

 

L’AUTORE
Hilary Putnam nasce a Chicago il 31 luglio 1926. Si forma alla scuola di Quine e Reichenbach. Nel 1965 insegna filosofia alla Harvard University, dove, dal 1976 è Walter Beverly Pearson Professor di Matematica e logica matematica.

(Marco Castagna)