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Jean-Luc Nancy, La creazione del mondo o la mondializzazione,
trad. it. di Davide Tarizzo e Marina Bruzzese, Torino, Einaudi, 2003 (Biblioteca Einaudi, 152), 118 p., ISBN 88-06-16482-1, € 13,00; La création du monde ou la mondialisation, Paris, Galilée, 2002 (Collection la philosophie en effet), 181 p., ISBN 2-7186-0579-0, € 23,80

 

Già nel titolo dell’originale francese, Jean-Luc Nancy mette subito in rilievo che il problema forse più interessante dell’indagine sul mondo sta in quella congiunzione insieme disgiuntiva, sostitutiva e congiuntiva, non a caso in corsivo, che fa da tramite tra la creazione del mondo e la mondializzazione e che deve essere intesa simultaneamente e alternativamente come le tre cose insieme: l’esclusione reciproca per cui il mondo o si crea di bel nuovo o si congloba semplicemente in un qualche mucchio; la sinonimia per cui la creazione del mondo è di fatto già la sua universalizzazione totalizzante; la connessione e coordinazione per cui creazione e mondializzazione finiscono per andare nella stessa direzione (3; 9). Nell’arte combinatoria di queste possibilità si gioca per Nancy l’analisi del mondo, dove naturalmente resta sempre sullo sfondo anche quell’evidenza tecnica ed economica che si suole chiamare la ‘globalizzazione’.

Che agglomerato è però quel globo globalizzante e globalizzato e che mondo mai quello cui invece si rivolgeva l’antichissima benedizione teologica urbi et orbi? Che distinzioni sono ancora da tener ferme, se il mondo sembra aver perso la capacità di essere e fare mondo e al contrario ormai concorre apparentemente solo alla moltiplicazione dell’immondo e dell’immondizia? Quale pulsione di morte ha ormai fagocitato quella cosiddetta civiltà che sembra correre alla barbarie dell’autodistruzione, magari in seguito alla prossima epidemia o pestilenza o in quello scontro di teologie tra il dio in cui confida la cosiddetta economia di mercato, col suo cattivo infinito dell’espansione, e quel dio nel nome del quale si proclamano le nuove guerre sante? Nel confronto serrato con il pensiero di Marx a proposito del mondiale e del mondano, del senso e del valore, ma anche con lo Heidegger dello essere-nel-mondo e con la riflessione metafisica o antimetafisica della modernità sul finito e l’infinito, su questo mondo e quell’altro, sul vecchio mondo e il mondo nuovo, la questione ricorrente è in fin dei conti la seguente: "Che cos’è il mondo in quanto opera dell’uomo, e che cos’è l’uomo in quanto è al mondo e trasforma il mondo stesso in opera?" (15; 27-28) Occorre allora ripensare il mondo e il suo senso a partire dal vecchio tema della creazione, che dovrà però essere estrapolato dal suo contesto teologico, tanto più che il mondo della modernità si è liberato di Dio mondanizzandolo e divinizzandosi, rendendo così superfluo ogni ‘altro mondo’. Nancy propone di ripensare in questo quadro soprattutto il concetto di praxis: "è proprio nell’intervallo tra la pratica e il pensiero che si apre uno spiraglio per la praxis – è proprio questo che consente al senso e alla verità di mettersi al lavoro, di mettersi all’opera" (40; 62). "Creare il mondo significa allora: subito, senza aspettare, riaprire ogni lotta possibile per un mondo, o per ciò che dovrà infine formare il contrario di una globale ingiustizia imposta dall’equivalenza generale. Creare il mondo significa condurre questa lotta finché un mondo affiori da nulla, un mondo senza preamboli e senza modelli, senza principio e senza fine. Poiché è questa la giustizia ed è questo il senso di un mondo" (41; 63).

E come si dovrà ripensare la creazione all’interno di un mondo senza ragione e senza un fine teleologicamente e provvidenzialmente preordinato, senza provenienza né destinazione, ma comunque da intendere come un mondo, ossia come totalità di senso, magari ipotetica? Quale rapporto con la finitezza e con la sottrazione intrattiene quel pensiero della creazione come apertura e svuotamento che è al tempo stesso anche una ‘decostruzione del monoteismo’? (cfr. 61; 93) "‘Che l’ente sia’, può intendersi come il fiat della creazione. Ma questo ‘che’ confonde in sé l’indicativo, il congiuntivo e l’imperativo: così si modalizza la transitività del verbo essere. Il fatto di essere è identico al desiderio di essere e all’obbligo di essere, oppure l’essere, essendo, si desidera e si obbliga" (63; 96). "Che il mondo sia là significa che non è da nessuna parte, perché è l’apertura dello spazio-tempo" (65-66; 100), in cui si collocano le dispersioni dei singolari molteplici che si dispongono e si distendono nell’essere. "La separazione, l’uscire-l’uno-fuori-dell’altro, è allo stesso tempo Ent-scheidung, decisione: è alla decisione d’essere, decisione di niente in essere o da niente a essere, che rispondono da una parte la disposizione o la diffrazione del mondo che è (che fa) il mondo e, dall’altra, la decisione di esistenza mediante la quale un ‘soggetto’ viene al mondo. Questo ‘venire al mondo’ significa nascita e morte, uscita da niente e andata verso niente, che sono il rapporto al mondo o il rapporto-mondo, la divisione del suo senso e l’esistenza intera come insieme o partizione di decisioni singolari" (66; 101).

Anche la filosofia, nel suo cominciare da sé che è autocostituzione e autocreazione di una tecnica del senso e della verità, parte peraltro da una non-fondazione, da cominciamenti plurali e/o immemorabili, dirigendosi, al di fuori di ogni compiutezza, verso un avvenire che non è teleologicamente predeterminato e pertanto è un ‘inavvenire’ (cfr. 77; 120). La filosofia articola allora la fuga o l’assenza di senso come chiave dell’incommensurabile essere che si sottrae e della stessa condizione umana, legata a filo doppio allo snaturamento dell’ominazione e alla rivalsa tecnica nel dominio della natura. "Se esiste un ‘senso’ del mondo per la tecnica, la sua sola misura è quella incommensurabile della non-necessità e non-naturalità del mondo (della totalità di significabilità possibile), il che implica anche la sua non-storicità nel senso metafisico e teo-teleologico della parola ‘storia’. Un simile senso, un simile absenso e un simile absenteismo sono appunto quelli dell’evento tecnico stesso" (83-84; 129). Resta l’esistenza stessa, che si ex-pone nell’insensatezza che è la sua unica verità e il suo solo sostegno.

Nell’ultima sezione, che si presenta come una sequenza di annotazioni ed aggiunte, Nancy riflette quindi sul concetto foucaultiano di biopolitica e sulle immagini della sovranità. Molto suggestivo è l’ultimo breve testo intitolato – facendo eco al ‘nomos basileus’ di Pindaro – "Cosmos basileus" (113-118; 173-179), in cui si argomenta della molteplicità del mondo e della sua unità come condivisione ed esposizione reciproca di coesistenze nella prossimità, in cui si sottolinea essere il mondo non un dato, ma un dono proprio nella sua ininterrotta ed inesauribile creazione di sé. "L’orizzonte più appropriato di ciascuno è definito sempre dal suo affiancarsi a un altro orizzonte: quello del coesistente, di tutti i coesistenti, della totalità coesistente. Ma ‘affiancarsi’ dice ancora poco, se non afferriamo che tutti gli orizzonti costituiscono i diversi lati dello stesso taglio, di uno stesso tracciato sinuoso e folgorante che è il tracciato del mondo (la sua ‘unità’). Questo tracciato non è proprio di alcun esistente, e tantomeno di un’altra specie di sostanza che dominerebbe dall’alto il mondo: è semmai la nostra comune improprietà, la nostra non-appartenenza e la non-dipendenza, l’erranza assoluta della creazione del mondo. Giustizia va così resa all’assolutezza singolare del proprio e all’improprietà assoluta della comunità degli esistenti. Va resa all’una come va resa all’altra: questo è il gioco (o il senso) del mondo. Si tratta di una giustizia infinita, che va resa alla proprietà di ciascuno e all’improprietà comune di tutti: alla nascita e alla morte, tra i cui estremi si dipana l’infinità del senso" (116; 177). Il mondo che sorge come proprio e improprio, congruo e incongruo, è quello sempre da creare e che si crea senza posa come "spazio di un’inestinguibile e sempre inquieta sovranità di senso" (118; 179).

Gabriella Baptist

Indice:

I. Urbi et orbi

II. Della creazione

III. La creazione come snaturamento: tecnologia metafisica

IV. Complementi