Bruno Moroncini, Mondo e senso, Heidegger
e Celan, Napoli, Cronopio, 1998, pp. 46, ISBN
88-85414-37-0,
Euro 5,00
Questo testo di Bruno Moroncini, brillante
studioso di Heidegger e di Benjamin, è un testo folgorante e
denso pur nella sua brevità. Consta di due saggi "La
fine del mondo" e "La rosa di niente", il primo è
dedicato al tema del senso del mondo a partire da un confronto serrato
che l’autore ingaggia con Heidegger e Nancy, il secondo interroga il
medesimo tema nelle pieghe della poesia di Celan. Dunque, ha senso,
oggi, domandarsi se il mondo abbia o non abbia un senso o che almeno
vi sia ancora un senso assegnabile al mondo ? E se sì, come si
può tematizzare in maniera esplicita il tema del senso e della
sua supposta perdita ?
L’Autore non elude le difficoltà
degli interrogativi e nel primo saggio La fine del mondo mette
subito in gioco il tema del mondo e della sua messa in questione tramite
alcune riflessioni di J. L. Nancy che in un testo del 1993 "Il
senso del mondo" dichiarava "che non c’è mondo"
e non "c’è più un senso del mondo".
È tempo di mettersi all’altezza
degli eventi, che confluiscono in quel macro-evento che è la
mondializzazione e il dominio della tecnica, è tempo di scrutare,
per dirla ancora con Nancy, "come il deserto cresce" e con
esso un’aridità sconosciuta, incalzante che sovrasta quelle che
erano le belle età dell’oro dell’Occidente vittorioso e trionfante.
E ora, il rischio è che l’Occidente imploda per i conflitti identitari
tra Nord e Sud, Est e Ovest, ammesso che ancora di queste coordinate
si possa parlare, per le crescenti crisi economiche, per la progressiva
diminuzione delle risorse, per la ‘guerra infinita’ che è appena
cominciata.
Come classificare questi nuovi eventi
che ormai entrano in collisione con qualsiasi regime di significazione?
Moroncini elude sapientemente i facili
piani del discorso politico e sociologico e le schematiche categorie
alla Fukyama di ‘fine della storia’ per spingere la sua analisi nelle
contraddizioni della cosa stessa mettendo a confronto Heidegger e Nancy.
"L’enunciato sulla fine del mondo come fine del senso del mondo
lamenta dunque non tanto la scomparsa del senso-mondo, quanto quella
del senso-significato" (pp.9-10). Il punto è per Nancy,
ma anche per l’autore, fare i conti con questa perdita giacché
ciò che si perde è la possibilità dell’assegnazione
del senso al senso del mondo, quel senso che la mondializzazione,
annullando le barriere tra dentro e fuori, ha spazzato via per sempre.
Quindi senso e mondo appaiono non più come due termini distinti
perché "[…] il mondo è strutturato come un senso
e il senso come mondo, il mondo fa senso e il senso è mondo,
è mondiale, il senso non è altro che il farsi mondo del
mondo"(p.12).
Una posizione che non è dissimile
da quella di Gunther Anders che lamentando la perdita del mondo a causa
della proliferazione della tecnica e in specie delle armi nucleari spiegava
che, dove non c’è mondo, non ci può essere collisione
con il mondo e con il suo senso. Ma è inevitabile che questo
crogiuolo di problemi rinvii al pensiero di Heidegger e alla sua concezione
del mondo prima e dopo la ‘svolta’.
Come è noto, per l’autore di
Essere e Tempo, comprendere il senso ontologico del mondo significa
comprendere adeguatamente l’in-essere dell’esserci e cioè che
il mondo è, non meno che l’in-essere, un elemento costitutivo
della struttura fondamentale dell’esser-ci. Domandandoci quale sia il
significato ontologico del mondo, noi restiamo dunque sul terreno dell’analitica
dell’esser-ci. Il mondo, infatti, per Heidegger, risulta ontologicamente
non come determinazione dell’ente bensì come un carattere dell’esser-ci
stesso.
È ora evidente che l’esser-ci
non è ente fra gli enti perché è caratterizzato
onticamente dallo stare in relazione con l’essere e dal fatto che questo
essere sia il suo stesso essere e quindi il suo essere è essere-nel-mondo.
"Se l’esser-ci è quell’ente nella cui esistenza ne va costantemente
del suo essere,[…]allora l’esser-ci è, sia onticamente, di fatto,
sia ontologicamente, di diritto, domanda sul senso dell’essere. Il suo
essere in rapporto al mondo è un rapporto al senso" (pp.12-13).
Dopo aver riassunto le celebri tesi
heideggeriane, Moroncini ne tenta una interpretazione ermeneutica attraverso
una rilettura di Nancy che procederebbe ad una radicalizzazione in senso
etico del pensiero heideggeriano, sostituendo all’esser-ci come luogo
dell’interpretazione del senso, del 'senso del mondo', la nozione di
‘evento d’essere come essere-al-mondo’. Tale nozione, a dire di Nancy,
ha una valenza esclusivamente pratica (nella forte accezione aristotelica)
ed è essa e solo essa a dettare il senso. Le conseguenze di questa
operazione (che non è possibile descrivere in tutti i dettagli)
sono esplosive almeno per ciò che riguarda l’interpretazione
del pensiero di Heidegger dopo la svolta e soprattutto dei suoi rapporti
col nazismo e del suo scandaloso e ingiustificato silenzio sullo sterminio.
Moroncini non manca di farlo notare con il rigore teoretico che contraddistingue
tutta la sua analisi evidenziando una linea di coerenza in Heidegger
tra il suo tentativo di fondare la dignità dell’uomo, preservandola
dal dominio della tecnica, e il fatto che "l’agire dell’essere
cui, liberamente, lasciando essere, corrispondeva la condotta
del Dasein era l’incenerimento del mondo, il senso – mondo come
cenere-del-senso" (p.22).
Pertanto - osserva l’A.- tutti i giudizi
sulle scelte politico-morali di Heidegger e dei suoi rapporti col nazismo
dagli esordi fino alla tragedia finale risultano inadeguati perché
non tengono conto di come nel movimento del suo pensiero l’evento-nazismo
significava in qualche modo custodia del senso. Heidegger sarebbe stato
fulminato dal nazionalsocialismo "quale miscuglio di riconoscimento
del dominio planetario della tecnica da un lato e di possibile superamento
di quest’ultima dall’altro" (p.26). Tutto ciò è discutibile
e sconcertante per la coscienza civile e democratica di tutti ma è
l’unica via che resta, a dire dell’Autore, di riattraversare fino in
fondo il pensiero di Heidegger.
Tuttavia, quel che resta di Auschwitz
è l’orrore inenarrabile, luogo della fine del senso, della fine
del mondo e del mondo come senso: l’interpretazione nichilistica che
osa affermare che "la fabbricazione di cadaveri nelle camere a
gas…è per essenza identica alla meccanizzazione dell’agricoltura
(Heidegger)" è, al di là di tutti comprensibili sforzi
ermeneutici, rivoltante e agghiacciante, è da preferire quella
di Jonas per il quale Auschwitz chiama in causa l’evento dell’impotenza
di Dio.
Il secondo saggio "La rosa di
niente"è dedicato al rapporto tra la poesia di Celan
e l’olocausto. La parola poetica anzitutto è parola-limite che
evoca l’assenza, la ferita del senso. La poesia celaniana tenta dire
l’evento singolare di Auschwitz, spogliandosi progressivamente di attributi,
di parole, di valori, impaludandosi nella cenere del senso. "Anche
la parola è diventata una salma, un corpo cadaverizzato, bruciato,
incenerito"(p.33).
Accostarsi ai versi struggenti, cupi
e metafisici di Paul Celan è come vivere immersi in un recipiente
che si svuota e in cui si assapora il sentore della cenere che è
‘il significante del niente’. "Salmo" è
la lirica che, per vertigine di ritmo e di pathos, racconta lo sterminio:
"Nessuno ci impasta più di terra e argilla,/nessuno alita
sulla nostra polvere./Nessuno./Lodato sii tu, Nessuno./Per amor tuo
vogliamo/fiorire./Incontro/a te./Un niente eravamo, siamo, resteremo,
fiorendo:/rosadinulla, rosadinessuno". Polvere, soltanto polvere:
è la parola alta, elevata di questa poesia che vive dissolvendosi,
che vive avvolgendosi impetuosamente nel luogo della ferita, e con essa
anche il poeta che è passato "all’ordine della notte",
"Transcavalcato, Trans-/littato, Trans-/tempestato"(p.43).
L’ A. si avventura in un commento poetico
che è soprattutto un esercizio teoretico che mette in gioco il
destino del senso, l’ennesima sua ombra che non si può conoscere,
né modificare. L’esito è una rosa di niente dal color
cenere che è ciò che rimane della poesia e della vita
medesima.
Aldo
Meccariello
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La fine del mondo
La rosa di niente