Aldo Masullo, Paticità
e indifferenza,
Genova, il melangolo, 2003, pp. 153, ISBN 88-7018-488-9, € 16,00.
Questo nuovo ed importante libro di
Aldo Masullo, raccoglie, elaborandoli, alcuni saggi già pubblicati
in rivista aventi come tema la proposta di una filosofia del patico,
e persegue tale scopo attraverso una puntuale e lucida valutazione critica
della fenomenologia sia nella versione husserliana che in quella heideggeriana.
In tale prospettiva il primo capitolo,
dal titolo Intenzionalità e cura, riprendendo una tesi
del De Waelhens, studia la derivazione del concetto heideggeriano di
cura (Sorge) da quello husserliano di intenzionalità.
Nella fenomenologia husserliana, ricorda
Masullo, l’intenzionalità è "enucleata" dalla
fattualità della vita con il risultato di opporre al fatto dell’Erlebnis
l’idealità dell’oggetto inteso. Invece, nel famoso corso
del 1927 sui Grundprobleme der Phänomenologie, Heidegger
intende "la costituzione intenzionale dell’esser-ci"
come "la condizione ontologica della possibilità
di ogni trascendenza" (loc.cit. pp. 21-22). Il "fatto"
della vita umana è, infatti, per Heidegger, il suo trascendersi
nel mondo, il suo essere presso le cose del mondo, il suo prendersi
cura di esse. Per Heidegger, commenta Masullo, "il soggetto
essenzialmente non è una funzione logica, ma affettiva,
tutt’altro che intellettualmente disinvolta; bensì vitalmente
coinvolta" e, per tale motivo, "Heidegger ritiene di aver
riportato l’intenzionalità dall’immanenza dell’astratta idealità
riflessiva […] alla trascendenza del fattuale esistere immediato, la
quale invece è assoluta perché è originaria"
(pp. 23-24). Il modo d’essere dell’esserci è l’ek-sistere. L’immanenza
della coscienza è, così, sfondata. Tuttavia, precisa Masullo,
Heidegger pensa l’ek-sistere pur sempre come "l’uscita dall’insignificanza
della contingenza ontica e l’ingresso nella pienezza significativa
della necessità ontologica" (p. 27). In tal modo, ci fa
intendere Masullo, egli manca il significato radicale dell’ek.
Infatti, criticando il teoreticismo husserliano e chiarendo come concretamente
e originariamente l’intenzionalità della vita sia cura,
cioè ancora vita che, sempre avanti-a-sé nella sua pro-gettualità
intramondana, è continua interpretazione vitale e mai pura e
disinteressata riflessione, operando tale sfondamento dell’immanenza
della coscienza, Heidegger ha finito, tuttavia, per intendere sì
la fattualità della vita ma non la sua paticità,
ha compreso, cioè, il suo essere continua interpretazione e auto-interpretazione,
ma non la sua patica ek-staticità. E invece, per Masullo,
"l’esser-ci non consiste nel suo essere uscito […], non
è uno stare-fuori-di-sé, magari ‘nella verità
dell’essere’, ma un continuo andare-fuori-da-sé, lo stare
nell’incessabilità dell’andare-fuori. L’essere della ek-sistenza
è un paradossale stare-nello-uscir-fuori" (p. 38).
L’ek dice la paticità dell’esistenza, l’emozione
del divenire, quindi la sua radicale incomprensibilità.
Heidegger, secondo Masullo, interpretando la situazione emotiva
nell’alveo della comprensione dell’essere (per quanto non teoretica
ma ermeneutica), ha mancato di pensare l’ek dell’esistere, ritraendosi
dinanzi al suo "orrore" (p. 39). Heidegger ha, cioè,
"modificato troppo poco la fenomenologia" (p. 43).
Tornando, nel secondo capitolo del suo
libro (Senso e ontologia), a riflettere sul progetto husserliano,
Masullo afferma che alla base di quel progetto si trova una confusione
concettuale, quella tra i concetti di senso (Sinn) e di
significato (Bedeutung). Confusione che, a suo dire, deve
essere "risolta" per far qualche passo in avanti verso una
filosofia del patico.
Secondo Masullo "la distinzione tra
significato e senso corrisponde perfettamente alla distinzione
tra esperienza (empeiria,
experientia, Erfahrung)
e vissuto (paqos,
affectio, Erlebnis)"
(p. 44).
Esperienza in senso proprio,
in forza del suo etimo, intende il compiersi di un attraversamento,
concepisce l’essere passati attraverso una prova, e concettualmente
indica il compiersi della rappresentazione, il compiersi dell’intervento
ordinatore del pensiero che costituisce l’idealità di un oggetto.
Al contrario, il vissuto indica,
dell’esperienza, al più il suo momento iniziale, "la vivente
vita nel suo farsi vita vissuta" (p. 45).
Insomma, se l’esperienza in senso forte
(Erfahrung) "occupa la polarità comunemente considerata
attiva, l’intervento ordinatore, il cognitivo" (ivi),
il vissuto invece "occupa la polarità comunemente
considerata passiva, l’affettivo" (ivi). In
tal modo l’esperienza è la radice del significato, mentre
il vissuto è la radice del senso. Quindi, se "il
primo termine (‘esperienza’) può essere utilizzato con riferimento
alla ‘intenzionalità oggettivante’", con il secondo (‘vissuto’)
"si può strettamente intendere la matrice oscura della soggettività,
il ‘sentire’ […] o, in breve, la paticità" (pp. 45-46).
In tal modo, secondo Masullo, la filosofia
può nettamente distinguere due campi fenomenali: il campo dei
fenomeni intenzionali o semantici e il campo dei fenomeni
privi d’intenzionalità, o patici. Il fenomeno intenzionale
è concepito dalla fenomenologia, come sappiamo, come atto
che può essere depurato dalla sua dimensione fattuale. Il fenomeno
patico, invece, "accanto alla dimensione fattuale,
non ne presenta alcuna ideale. Esso è tutto e solo la
sua fattualità, e non potrebbe perciò essere depurato
senza interamente perdersi" (p. 47). Ciò significa, conclude
Masullo, che una "fenomeno-logia del patico è,
per principio, impossibile" (ivi). Il pensiero del patico
è, perciò, costretto a percorrere una nuova strada, quella
che, sulla scorta di Weizsäcker, egli chiama pato-sofia.
Prima di tracciare tale strada, Masullo
ritorna sul tentativo compiuto da Heidegger di superare il teoreticismo
husserliano in direzione di una filosofia dell’esistenza concepita nel
suo emotivo coinvolgimento nel mondo. Tuttavia, e questo è
il limite dell’impianto heideggeriano, il fenomeno del patico,
nel momento in cui viene incluso all’interno di un concetto di ek-sistenza
come fattuale ermeneutica della verità, nel momento in
cui la stessa situazione emotiva è concepita come apertura
dell’essere, il fenomeno del patico, dicevamo, viene "mancato"
e la sua minaccia in qualche modo esorcizzata. Prova ne sia il concetto
heideggeriano di senso (Sinn) che, benché correttamente
distinto dal significato (Bedeutung), è pur sempre,
in quanto pre-comprensione a-tematica ed in-esplicita di qualcosa,
pensato in direzione del significato. Inteso come pre-comprensione,
il senso è concepito da Heidegger come un esistenziale,
vale a dire come un modo dell’essere del Dasein in quanto
essere-nel-mondo. Così "il senso […] non è
alcun significato, bensì la fonte stessa di quell’energia
da cui i significati derivano il loro potere di significazione"
(p. 53). Grazie al suo essere senso (alla sua pre-comprensione
del mondo) l’esserci può tematizzare ed esplicitare i significati.
Il senso è, quindi, il presupposto della tematizzazione
dell’essere e non il fatto del sentire, non il fatto del patico.
Del resto, riprendendo una critica già svolta da Derrida, Masullo
ritiene che Heidegger sia stato impossibilitato a comprendere il patico
poiché nella sua costruzione ontologica non c’era posto per la
comprensione del vivente e della sua continua esposizione alla
destabilizzante violenza del cambiamento. Perché proprio di questo
il patico, il sentire è sentire: del suo continuo
essere "preso-di-mira dalla violenza destabilizzante […]
del cambiamento, dall’incalzante prodursi delle differenze" (p.
66). Mentre "il prender-di-mira, in cui consiste l’intenzionalità
della coscienza, è un rapportarsi logico, una condizione ideale,
al contrario l’esser-preso-di-mira è un rischio esistenziale,
una condizione reale" (ivi). Ed è quello che autenticamente
non chiamiamo tempo: "in questo esser-presa-di-mira,
in cui la coscienza patendo il proprio alterarsi ogni
volta senza ragione si trova, sta l’autenticità di ciò
che noi in fondo, più o meno oscuramente, intendiamo richiamandoci
al ‘tempo’" (p. 67). Il fenomeno del tempo, quindi, coincide, per
Masullo – che a tale questione ha già dedicato nel 1995 l’essenziale
Il tempo e la grazia (Donzelli ed.) – col fenomeno del patico.
Il tempo è il senso del cambiamento, è il sentire
"la cacciata dall’inconscio paradiso dell’identità, il repentino
venir colpito, l’esser bersaglio di un impersonale accadere della differenza
che, gratuitamente cioè senza ragione mirando al
cuore della vita, fa centro e ne rompe l’unitaria coesione" (ivi).
Tale analisi dà a Masullo la possibilità di chiarire anche
il valore di quel che la filosofia chiama verità. "È
evidente – egli scrive – che il fenomeno della verità nasce dal
trauma del tempo" (p. 71). Se il tempo ci mostra la precarietà
del nostro vivere, il suo continuo rischio di perdita di ciò
che si era, con la conseguente paura di essere defraudati del proprio
essere, allora la veritas non può che concepirsi come
filia temporis: "la verità sembra l’unica
possibilità di compensare la perduta unità dell’essere
con la meglio organizzata e regolata (coerente e concorde) molteplicità
dell’apparire […]. La verità come bisogno di stabilizzazione
si origina dal tempo come destabilizzazione patita" (p.
73).
In tutta questa lucida analisi c’è
ancora un punto da chiarire. Esso riguarda quel che chiamiamo identità
della coscienza. In che cosa consiste tale identità? Il tempo
come senso del cambiamento implica forse che si dia dapprima
un’identità della coscienza? La risposta di Masullo – che riprende
su questo alcune tesi sostenute in Il tempo e la grazia – è
anche su tal punto d’estrema lucidità. Cos’è l’identità
della coscienza se non l’evento impersonale del "si è"?
Se non la "piega" del sentir-si, del sensus sui? "Per
quanto il sé non sia qui ‘oggetto’ di coscienza – scrive Masullo
– o sua rappresentazione speculare, tuttavia il sensus, la coscienza
nascente, è già sensus sui. Sensus non c’è,
se non è sensus sui. Lo stesso ‘sé’ in nient’altro
consiste che nel sensus sui, nel sentimento di sé,
nella tensione verso sé come verso l’unità che
si ha l’impressione di essere" (pp. 126-127). Ed è il corpo
che si sente, sottolinea Masullo, è il corpo – che non
è ancora il "mio corpo", ma un accadere impersonale
di corpo, potremmo dire – che "accade al sé"
e "il ‘sé accadutosi’ è il soggetto di ogni accadere"
(p. 129). La soggettività sta proprio qui, nella sorte
dell’accadersi, nel rischio dell’accadimento di un sensus sui,
dell’evento di una piega vitale, di un ri-piegamento in cui inizialmente
si è gettati. È solo dopo, "nell’inconscio
gioco di prestigio della mente, essenziale al costituirsi dell’autocoscienza"
che "l’ordine reale corpo-sé s’inverte nell’ordine
ideale sé-corpo. Così il sé fantasticato
viene anteposto al corpo esperito, e l’identità si colloca nel
sé piuttosto che nel corpo" (p. 128).
Ma qual è il senso generale della
proposta teoretica di Masullo? Per rispondere a tale quesito dobbiamo
brevemente chiarire l’altra parola chiave del titolo del saggio, vale
a dire "indifferenza".
In cosa consiste l’indifferenza? Masullo
è lapidario su ciò: essa è l’in-differenza delle
cose, l’in-differenza delle cose ridotte allo loro pura fungibilità-trasformabilità.
"Nell’epoca in cui la tecnologia ha dissolto ogni metafisico inganno
sulla differenza e ha lasciato il mondo nella sfacciata nudità
dell’in-differenza – egli scrive – nessuno può illudersi di trovare
il senso della vita al fondo dell’oggettività delle cose. Queste
infatti si rivelano trasformabili l’una nell’altra, senza una propria
oggettiva identità […] tutte indifferentemente in-differenti"
(p. 149). La proposta di una filosofia dell’emozione vissuta, di una
patosofia come "sapere del senso" è volta, tuttavia,
non immediatamente contro quell’indifferenza, ad un tempo, potremmo
dire, tecnica e mercificata, ma contro l’evidente deprivazione
emozionale che è riscontrabile negli atteggiamenti psicologici
e morali contemporanei; deprivazione patica, insensibilità
alla differenza, che ha il suo fondamento nell’illusione della ricerca
di un senso della vita nelle cose in-differenti e non piuttosto nell’evento
del sentire, nell’emozione vissuta. "Nell’età della tecnologia
trionfante – conclude Masullo – il pericolo supremo sta nel cedere all’indifferenza
del sentire, all’insensibilità emozionale, e nel non inorridire
dinanzi al vuoto dell’assenza di sé" (p. 151).
In conclusione, tuttavia, una domanda
vorremmo porla. La separazione così netta teorizzata da Masullo
tra senso e mondo non rischia, forse, da un lato di lasciare
il mondo nella sua in-differenza e, dall’altro, di non poter giustificare
fino in fondo la deprivazione emozionale contemporanea che pur, lucidamente,
egli pone in relazione al nichilismo delle cose del mondo? La lucida
distinzione tra fenomeni semantici e fenomeni patici,
tra il mondo come significatività e la vita come "sorte"
e "rischio", non rischia forse di lasciare impensato, invece,
il rischio che è al fondo del mondo della tecnica, la
sorte che l’ha iniziato, facendone la nostra necessità?
Insomma il problema heideggeriano dell’Ereignis?
Indice: |
Prefazione
Parte Prima: Intenzionalità e cura
Parte Seconda: Senso
e ontologia
Parte Terza: Paticità e indifferenza |
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1. Le emozioni e l’indifferenza
2. La rottura fenomenologia
3. Patosofia: il sapere del senso.
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Vincenzo Cuomo, 19/02/2004