Massimo De Carolis,
La vita nell’epoca della sua riproducibilità tecnica,
Torino, Bollati Boringhieri, 2004, 261 p., ISBN 88-339-1543-3, € 20,00.
L’interesse
del recente libro di Massimo De Carolis La vita nell’epoca della
sua riproducibilità tecnica riposa, a nostro avviso, nella
sua capacità di misurarsi con la sfida che le tecnoscienze hanno
da tempo lanciato alla filosofia e all’intero campo delle "scienze
umane", sfida insieme teorica e tecnica che concerne la definizione
della condizione umana in quanto tale, concepita come riducibile
alla natura biologica della specie-uomo. La posta in gioco,
in tal senso, è ben più alta della presunta demolizione
dell’autonomia delle "scienze dello spirito" nei confronti
delle "scienze della natura" – per utilizzare la dicotomia
stabilita da Dilthey alla fine dell’Ottocento, e su cui De Carolis si
sofferma – perché le tecnoscienze umane, sia nella variante dell’ingegneria
biologica che in quella dell’ingegneria cognitiva, colpiscono
l’idea stessa della differenza tra uomo e animale e, dovremmo anche
aggiungere – anche se tale aspetto rimane un po’ in ombra nel testo
– tra uomo e macchina. Per dirla con un’espressione filosofica di tempi
trascorsi, ciò che è colpita è la (presunta) dignità
ontologica dell’uomo.
Ora,
reagire a tali processi erigendo steccati e cercando di continuare a
coltivare il proprio orticello "spirituale" sarebbe non solo
un’operazione dal fiato corto ma addirittura antifilosofica, e questo
non è l’atteggiamento adottato dall’autore. Il vero problema,
a suo avviso, non è la tecnica in quanto tale ma il "riduttivismo"
che è alla base di un determinato programma di tecnicizzazione,
oggi dominante per motivi innanzitutto economici (la qual cosa spiega
la sua pervasività e la sua prevalenza nella pubblicistica divulgativa).
Riduttivismo che, non solo è incapace, per le ragioni che vedremo
subito, di "spiegare" gli "oggetti" di cui tradizionalmente
si sono occupate le scienze umane, ma che da un po’ di anni è
messo radicalmente in discussione anche da una parte della comunità
scientifica, producendo un’interessante conflittualità.
In cosa
consiste tale riduttivismo? Dovendo dare una risposta necessariamente
sintetica – data la mole delle argomentazioni teoretiche ed epistemologiche
messe in campo dall’autore – potremmo dire che esso consiste nella riduzione
del "mondo umano" ad un insieme più o meno interconnesso
di mondi-ambienti, di Umwelten tecnicamente riproducibili e manipolabili.
Cerchiamo di chiarire un po’. De Carolis esplicitamente si rifà
alla nota distinzione tra mondo e ambiente che, sulla
scorta delle ricerche bio-zoologiche di Jakob von Uexküll, si ritrova
nei Grundbegriffe der Metaphysik del 1929-30 di Martin Heidegger
e in base alla quale il mondo umano sarebbe caratterizzato dall’apertura
del senso mentre l’ambiente animale lo sarebbe dalla chiusura
dell’istinto. L’uomo è aperto al mondo (che a sua volta è
essenzialmente apertura di senso, dicevamo, vale a dire evento storico)
mentre l’animale è chiuso nella sua interazione istintuale con
un determinato ambiente. L’istinto è, infatti, una dotazione
biologica in base alla quale l’animale reagisce a determinate informazioni
ambientali e non reagisce a tutte quelle altre che noi chiameremmo "rumore".
L’animale separa nettamente ciò che è il suo ambiente
(le marche ambientali cui reagisce) da ciò che non lo è
(e alle quali semplicemente non reagisce) – ma è chiaro che,
in tale ricostruzione, l’animale non sappia cosa sia il "rumore"
informativo in quanto tale. Per cui avremo – è un famoso esempio
di von Uexküll – che, benché interconnessi, l’ambiente del
ragno è separato da quello della mosca e l’uno non sa dell’altra
in quanto tale. Il ragno e la mosca non vivono nello stesso mondo.
L’uomo è un animale del tutto particolare da questo punto di
vista. Riprendendo (e opportunamente aggiornando) su tale punto la teoria
di Arnold Gehlen, De Carolis afferma che, benché provvisto di
una dotazione biologica molto più ricca e complessa di qualunque
altro animale, l’individuo umano per una serie di peculiarità
bio-morfologiche (nascita prematura e infanzia prolungata, ritardi endocrini
e primitivismi organici ecc.) è sopraffatto sin dalla nascita
da "un profluvio di stimoli privi di significato biologico",
cioè da informazioni ambientali rispetto a cui non ha risposte
istintuali. L’individuo umano, secondo Gehlen, è, per tal ragione,
esposto al mondo ed è costretto ad elaborare risposte tecniche.
L’uomo, cioè, sottolinea De Carolis, non è capace di separare
nettamente i segnali dal rumore e continuamente trasforma
il rumore in una risorsa. In tal modo, egli scrive, "la distinzione
tra mondo e ambiente si presenta – più che come un confine ontologico
tra l’uomo e le altre specie – come una differenza tra due modalità
di elaborazione dell’informazione: una, in cui il flusso informativo
è già selezionato in modo da distinguere il segnale dal
rumore; l’altra, in cui questa selezione basilare deve ancora aver
luogo e può quindi essere impostata, caso per caso, in modo
sperimentale e provvisorio" (p. 56). A differenza dell’animale,
l’uomo è aperto al mondo e non chiuso in un ambiente.
Solo l’uomo, si potrebbe dire, coglie la differenza tra informazione
e rumore in quanto tale proprio perché, per poter sopravvivere
senza la "protezione" dell’istinto, deve poter continuamente
trasformare il rumore ambientale in risorsa di senso. Questa trasformazione
– che è una caratteristica umana che è possibile ritrovare
sia nella dimensione più semplice che in quelle culturalmente
più complesse dell’esistenza umana – è chiamata da De
Carolis evento di senso. Ne consegue, a suo dire, che laddove
il rumore, come risorsa di senso, fosse eliminato, nessuna operazione
(umana) di senso avrebbe più luogo. Ed è quanto rischia
di accadere col procedere dei programmi di tecnicizzazione della vita,
come vedremo fra un attimo. Prima, però, conviene schematicamente
riassumere le caratteristiche proprie degli eventi di senso,
perché solo in tal modo riusciremmo a cogliere le ragioni metodologiche
e problematiche che hanno dato vita alla separazione tra "scienze
dello spirito" e "scienze della natura" – e ciò
è importante soprattutto nella prospettiva, come quella esplicitamente
assunta da De Carolis, di un superamento di tale dicotomia in un progetto
(tutto ancora da definire) di "naturalismo non riduttivo".
Tre sono le caratteristiche fondamentali degli eventi di senso
oggetto di studio delle scienze umane: l’ineliminabile autoreferenzialità;
la performatività; la virtualità. Innanzitutto
bisogna affermare che l’autoriflessività è un aspetto
ineliminabile dall’operare di tali scienze, da momento che è
il soggetto umano e le sue operazioni di senso ad essere qui "oggetto"
di conoscenza; non è possibile descrivere eventi di senso
se non attraverso una differenziazione tra soggetto descrivente e oggetto
descritto che il soggetto stesso di volta in volta deve operare; in
altri termini il soggetto umano non può conoscersi come "oggetto"
senza "comprendersi" nell’oggetto stesso. Il rischio è,
sottolinea correttamente De Carolis, il paradosso del solipsismo,
ma tutto sta nel capire come la stessa costruzione del senso si fondi
su tale paradosso. Per cui se, seguendo la famosa proibizione di Russell
e Whitehead, le scienze umane si proibissero tutti gli enunciati autoreferenziali
(perché paradossali) perderebbero ipso facto il loro oggetto
e il loro ambito problematico. Includendo almeno un grado minimo di
autointerpretazione, ogni evento di senso è performativo,
nel senso che si auto-proclama come dotato di senso ed è quindi,
indecidibilmente fatto e interpretazione, così
come gli enunciati performativi sono, seguendo Austin, nello stesso
tempo atti linguistici e fatti reali. Come si vede anche tale aspetto
degli eventi di senso li sottrae alla netta separazione che l’epistemologia
scientifica tradizionale disegna tra fatti e interpretazioni, ma anche
in questo caso la sua eliminazione finirebbe per far svanire l’oggetto.
Infine, gli eventi di senso, come abbiamo già visto, sono eventi
che non cessano di restare virtuali, poiché, nella costruzione
stessa del senso, la differenziazione tra ciò che è significativo
e ciò che è semplice rumore non cessa mai di costituirsi
del tutto e resta aperta a nuove interpretazioni.
Ora,
ad avviso di De Carolis, il programma delle tecnoscienze umane (ingegneria
cognitiva ed ingegneria biologica) tende proprio ad eliminare tali aspetti
problematici degli eventi di senso (umani) attraverso la costruzione
teorica di modelli e l’approntamento tecnico di procedure volte a ridurre,
come dicevamo, la complessità del mondo umano ad una pluralità
di mondi-ambiente tecnicamente controllabili e riproducibili. L’archetipo
di tale riduzione è senz’altro la famosa "macchina di Turing",
modello dei calcolatori elettronici di tipo sequenziale. De Carolis
ha, tuttavia, buon gioco nel mostrare le differenze tra l’intelligenza
umana e l’intelligenza artificiale. Su tale punto non abbiamo lo spazio
per soffermarci, così come ci è impossibile una sintesi
concettualmente chiara delle sue corrette e condivisibili argomentazioni
circa i limiti strutturali dell’ingegneria biologica. Su tali aspetti
siamo perciò costretti a rimandare alla lettura diretta del libro.
C’è, tuttavia, una questione che De Carolis affronta in più
punti del suo studio che senz’altro vale la pena porre in evidenza.
La questione potrebbe riassumersi in una domanda: a quali interessi
materiali rispondono i programmi di tecnicizzazione della vita oggi
dominanti? La domanda è assolutamente centrale e ineludibile,
perché qui non stiamo discutendo solo di questioni di epistemologia
e di antropologia filosofica ma di programmi tecnici, supportati da
enormi quantità di capitali, che, se realizzati nelle loro premesse,
potrebbero trasformare in modo irreversibile quel che abbiamo definito,
anche sulla scorta di questo libro, natura umana. Con il rischio
che quegli eventi di senso di cui si parlava prima scompaiano e non
a causa del riduttivismo scientista e delle sue deficienze categoriali
ma a causa della potenza della tecnica di costruire/trasformare le "forme
di vita". De Carolis ha ben chiaro come la linea di tendenza dei
programmi di tecnicizzazione delle forme di vita sia l’ottimizzazione
delle prestazioni, vale a dire la massima adattabilità
ambientale degli individui e sa bene che tale progetto tecnico risponda
agli attuali interessi produttivi e comunicativi del capitalismo globalizzato
che, si potrebbe dire, vende il continuo desiderio fitness (il
"successo" innanzitutto) e impone fitness lavorativa
(e qui il discorso sarebbe ben lungo). Il rischio è in tal modo
quello della definitiva perdita del mondo come apertura di senso e la
sua sostituzione con una molteplicità più o meno connessa
di Umwelten in cui gli individui umani vivrebbero come la mosca
e il ragno, perfettamente soli e felicemente adattati al proprio ruolo
sociale.
Rispetto
a tale possibile scenario mi sembra che l’atteggiamento di De Carolis
– anche al di là delle sue concrete proposte teoretiche, come
l’interessante riproposizione della teoria wittgensteiniana dei "giochi
linguistici" – possa essere condensato nella seguente domanda di
"rilancio": e se la tecnica invece di tentare di "ridurre"
la condizione umana alla natura umana (producendo una
natura umana che sia la sua stessa "condizione") tentasse,
mutando radicalmente il suo progetto, di diventare tecnica in vista
della "condizione umana", abbracciando in un unico sguardo
natura e cultura? Dopo aver chiarito quali siano da un lato i motivi
dell’incapacità delle tecnoscienze umane di dar conto dell’eccezionalità
della natura umana e dall’altro quale sia la posta in gioco dietro al
progetto di tecnicizzazione delle forme di vita, il discorso di De Carolis
forse non poteva giungere ad altro approdo che tale proposta-rilancio,
evidentemente ancora troppo vaga per essere una vera risposta ma sufficientemente
matura per cominciare ad esserlo.
Vincenzo
Cuomo
Indice:
- La tecnica come problema
filosofico
- Per un naturalismo
non riduttivo
- L’autoreferenza come
problema cruciale dell’ingegneria cognitiva
- Senso e sensibilità
- Ascesa e declino del
determinismo biologico
- Tecnicizzazione della
vita e condizione umana.