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Autocoprofagia
Sul riciclo platonico

di Peter Sloterdijk (1)

Nella storia della ricezione di Platone si è fatto gran caso alla predilezione del Demiurgo (Meister) per le figure geometriche del circolo e della sfera. Tuttavia, si è fatta poca attenzione al fatto che Platone in un passo propone un argomento del corso circolare (del moto circolare) che lascia dietro di sé l’astratto idealismo matematico della sferofilia e azzarda il salto in una biologia dell’intero – o come oggi potremmo dire: in un’ecologia generale. Mentre le moderne scienze della vita e della morte sono capaci di prefiggersi lo studio sempre solo di processi circolari parziali rispetto allo sfondo dei mondi-ambienti (Umwelten), che restano esterni al circolo, Platone ha, in un rischioso attimo, sfiorato la domanda circa le condizioni di un’ecologia nell’assoluto. Si tratta, in quest’occasione, di un ecosistema dell’essere che dovrebbe essere concepito come processo circolare chiuso, tanto che nessun mondo-ambiente (Umwelt), nessun mondo esterno, concepito come formante lo sfondo (Hintergrund) della sfera vitale, dovrebbe essere più dato. Questa ecologia assoluta si lascia realizzare solo come biologia assoluta e questo ancora di nuovo solo come descrizione di un animale assoluto che è una singolarità rispondente al nome di cosmo, nel caso lo si volesse denominare. Il classico brano si trova all’inizio del discorso di Timeo, precisamente là dove si tratta di spiegare perché il Demiurgo abbia formato la sfera del mondo fuori "perfettamente liscia" "e per molte ragioni":

"Infatti, non aveva alcun bisogno di occhi, perché al di fuori non era rimasto nulla che fosse visibile; né aveva bisogno di udito, perché non c’era neppure nulla che fosse udibile. Né c’era aria all’intorno che avesse bisogno di venir respirata. Né, inoltre, aveva bisogno di avere alcun organo con cui ricevesse in sé l’alimento, ed espellesse quello prima digerito. Infatti, è stato generato ad arte in modo che esso stesso desse a se stesso in nutrimento ciò che di sé periva [ftísin], e in modo che subisse e facesse in sé e da sé tutte le cose"(2).

Con ciò è conosciuto il prezzo della compiutezza (Vollkommenheit); l’animale assoluto deve essere autocoprofago, mangiatore delle proprie feci. Inoltre, – ciò stabilisce la menzionata artistica produzione – la differenza tra la bocca e l’ano, che negli animali che hanno un mondo-ambiente, e, in questo, luoghi per mangiare e latrine, è sensata e necessaria, nell’essenza supervitale (Überlebenwesen) deve essere annullata, in modo che gli orifizi del corpo, attraverso i quali giunge a compimento il dramma del divenire metabolico della materia (Stoffwechseldramen) sono completamente trasferiti all’interno e l’un con l’altro cortocircuitati – il che ha come risultato la sconcertante struttura, efficace in senso ecologico, ma ancor di più in senso psicoanalitico e gastronomico, di un’integrale oral-analità. (La genitalità, secondo natura, è inapplicabile a questo super-animale, poiché essa, rispetto al suo modo di essere non è né dimostrata né dimostrabile).

L’essenza vitale, che tutto, attraverso se stessa, patisce e tutto, attraverso se stessa, agisce, realizza un attributo divino che, nella patristica (Doktoren-Zeit), venne reso col termine aseitas o esser-per-sé, anche se nessuno dei teologi scolastici volle più adottare la platonica freddezza di interessarsi alle particolarità del divenire materiale nell’animale divino – una omissione che appare scusabile se si riflette sul fatto che il cosmo per il dotto cristiano non era considerato un animale assoluto, ma una creazione. Con ciò, tuttavia, col fatto che la dottrina cristiana accordi all’assoluto un’incarnazione ma non un divenir-mondo, il luogo critico è soltanto spostato nell’essere, poiché con Cristo è entrata in scena un’essenza divina che ha assunto su di sé, e conseguentemente accettato, la natura umana, per vivere con la differenza tra bocca e ano. Egli conseguentemente inizia il suo corso in spiacevoli metabolismi (Stoffwechselpeinlichkeiten) ("lo troverete, in fasce avvolto"). Nondimeno è capace di porsi la domanda se vive assorbendo ed espellendo l’Esteriore (Äußeres) oppure se vive attraverso se stesso senza mondo-ambiente, non evitando la durata della vita; poiché, in quanto vero Dio, è necessariamente non soggetto al divenire materiale, così come, in quanto vero uomo, è necessariamente consumatore di cibo ed eliminatore di feci. Che in lui il vero Dio, al di là del vero uomo, e a dispetto della dottrina-delle-due-nature, riporti, nondimeno, la vittoria, è testimoniato innanzi tutto da due dati della storia della ricezione: che certo dal Signore siano state tramandate parole, ma che nessuna secrezione fisica sia menzionata o sia stata conservata; e che certamente la sua vita trasfigurata porti al cielo, ma che non è detto niente della trasfigurazione delle feci. Conseguentemente, al fondamento dell’uomo-Dio è netta la differenza tra sistema (System) e mondo-ambiente, diversamente che per il cosmo platonico, che è un sistema senza mondo-ambiente.

La differenza tra la via greca e quella cristiana verso un’ecologia dell’assoluto entra, sullo sfondo di tali riflessioni, in una luce più viva. Mentre il divenire-mondo del dio produce un animale assoluto che, in forza della sua autocoprofagia, percorre un processo vitale senza un fuori, attraverso il divenire-uomo di Dio sorge un androgino metafisico del quale l’un lato dall’eternità non mangia né beve, mentre l’altro lato, attraverso il terreno mangiare e bere, crea le condizioni di corrispondenti escrementi, dei quali, all’interno del culto, non bisogna parlare. Il mondo-animale greco è, quindi, un’essenza che non assume né cibo dal mondo-ambiente né colloca in esso scorie, poiché non ha alcun mondo-ambiente o, altrimenti detto, poiché esso, nella sua autonomia, si sottrae a qualsivoglia esternalizzazione (Externalisierung). L’uomo-dio cristiano, invece, sebbene fustighi il mondo, nondimeno e senza dubbio in esso lascia le menzionate non-menzionabili scorie (l’argomento di alcuni teologi medievali, secondo cui Cristo avrebbe certo mangiato ma non defecato, merita forse una citazione ma nessuna discussione). L’animale-mondo è il soggetto-oggetto di un’ecologia assoluta che tutto consuma senza resto e che niente lascia cadere fuori (così come – per proporre un esempio ancora attuale – nel buddismo tibetano, fino agli inizi del nostro secolo, pillole essiccate di escrementi del Dalai Lama godevano della più alta considerazione come amuleti-medicina e, forse, nell’estremo bisogno, erano effettivamente inghiottite come farmaco, poiché appunto l’escremento del dio vivente non può essere una scoria), mentre l’uomo-dio si è assegnato un’ecologia parziale, nella quale residui perduti (verlorene Reste) vengono acquisiti e rifiuti sono con forza esternalizzati.

Con ciò è venuta in evidenza la differenza tra un riciclo greco e uno cristiano. Mentre il mondo-dio è strutturato inevitabilmente come autocoprofago (ciò è quanto gli olisti intendono in ultima istanza, anche quando essi non possono né vogliono dirlo), l’uomo-dio, al contrario, deve essere anoressico ("non di solo pane", perciò meno pane possibile) oppure dualista (il tavolo dell’ultima cena e la latrina non stanno nello stesso mondo). Nel riciclo platonico tutto diviene cibo: ciò significa che, nell’anal-orale sistema cosmico, o gli escrementi stessi hanno il carattere dell’haute cuisine, oppure la bocca della sfera divina assapora indifferentemente ambrosia e feci e non è capace di distinguere tra di esse. Più fondamentale ancora di questa indifferenza è l’immunità del cosmo (la sua assoluta levigatezza della curva superficie esterna) che non lascia alcuna apertura attraverso la quale qualcosa possa smaltirsi nel niente. Dal lato cristiano l’uomo-dio viene nel mondo come in un penoso esilio, ma non per mostrare come si costruiscano case ecologiche o come si fertilizzino i campi con letame umano e animale. La sua missione di riciclo si appella esclusivamente all’anima. Egli scende per provare che un digiuno dal mondo (Welt-Fasten) è possibile; seguendo la sua dottrina, gli uomini non sono chiamati né al metabolismo né alla separazione dalle scorie, fino ad essere proprio per niente onnivori, né nella linea autocoprofaga né in quella eterocoprofaga. Il rapporto cristiano con ciò che rende salvi (heil) e perfetti (rund) non è cosmologicamente, bensì pneumaticamente orientato. Mentre le popolazioni stanziali sono costrette ad uno stile di vita costretto a regolamentazione fecale (an einem fäkofugalen Lebenstil), gli pneumatici dividono con i nomadi il privilegio di evitare gli obblighi che vincolano gli uomini a determinate abitazioni, scansando l’atmosfera delle solite latrine (soprattutto: il Cristo deve vivere in modo tale da non adoperare mai una propria toilette; egli lascia che i rifiuti smaltiscano i propri rifiuti).

L’ecologia pneumatica si contenta con ciò di riportare le anime nella sovrannaturale casa del padre; i resti (Rest) li esternalizza senza compiangimenti. L’ecologia cosmologica, all’opposto, è tanto interessata all’internalizzazione (Internalisierung) da lasciare che l’animale assoluto mangi e defechi solo in se stesso. Conseguentemente, tutte e due le più grandi teorie di economia domestica non possono aiutare la concreta terra (Erde): la prima non lo può, in quanto si interessa solo alla salvezza delle anime e considera il mondo solo come retroscena (Kulisse) e scoria; l’altra non lo può poiché pone il mondo come assoluto e, con ciò, disconosce del tutto la possibilità della scoria.

Quindi, i modesti concetti di riciclo ecologico che, a partire dalla rivoluzione igienica del XIX secolo, hanno preteso di dare aiuto alla terra, resteranno opere imperfette poiché ad essi mancano il coraggio e la forza della domanda sul ciclo totale (totalen Kreislauf). Da sempre l’eco-società è stata sabotata da un umanismo che insiste sull’insuperabilità della differenza tra bocca e ano.

Note
(1) [Il testo qui presentato è la traduzione del terzo Exkurs dal titolo Autokoprofagie. Zum platonichen Recycling, contenuto in Peter Sloterdijk, Sphären. Makrosphärologie, Band II, Globen, Frankfurt am Main, Suhrkamp, zweite Auflage, 2001, pp. 429-434. N.d.T.].
(2)Platone, Timeo, 33 c-d. [la traduzione italiana qui riportata è quella ormai classica di G. Reale (Platone, Timeo, a cura di G.Reale, Milano, Rusconi Libri, 1994, p. 97. N.d.T.]

[La traduzione tedesca del Timeo di F.Schleiermacher, utilizzata da Sloterdijk, traduce il termine greco "ftísin" con Aussonderungen, letteralmente secrezioni. N.d.T.].

(traduzione di Vincenzo Cuomo)