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Jean-Jacques
Wunenburger, Lhomme à lâge de la télévision, Paris, PUF
2000 (Intervention philosophique), 177 p., 127 FF, ISBN 213051121x.
Chi è lhomo videns
dellepoca televisiva? Qual è il prezzo che deve
pagare, da un punto di vista antropologico, sociale e
politico, per il fatto di utilizzare una nuova tecnica di
conoscenza ed appropriazione del mondo? Quali sono i
rischi ai quali va incontro? Il quadro che offre
Wunenburger è esplicitamente orientato in senso
fortemente critico: sappiamo tutti dei servizi che la
televisione ha reso alla democratizzazione, permettendo a
masse poco o niente affatto alfabetizzate di aprirsi al
mondo, garantendo, per esempio, lunificazione dei
linguaggi; sappiamo anche di quanto solleciti la
curiosità e quindi lintelligenza, strappandoci
allindifferenza del non sapere. Ma per Wunenburger
occorre piuttosto chiedersi con vigile attenzione che
cosa sta sullaltro lato della medaglia e qui la sua
diagnosi è assai preoccupante: una lenta
destrutturazione dellidentità e
dellequilibrio psichico, latomizzazione della
vita sociale e di relazione, la modificazione non solo
dei costumi, ma anche lincancrenimento dei processi
della percezione, dellimmaginazione e del pensiero,
lusura della vita emotiva, sollecitata da affetti
estremi, lo snaturamento e limpoverimento della
vita interiore, con il risultato di fomentare la pigrizia
intellettuale, la passività del giudizio, la regressione
dello spirito, ingenerando così intossicazione, se non
addirittura schiavitù. La messa in guardia di
Wunenburger è radicale: la televisione costituisce
una delle più subdole illusioni della civiltà
contemporanea, sebbene ne curi anche il disagio La prima parte (Gli incatenati
dello schermo) affronta il tema del che cosa
diventiamo nella veste degli spettatori e in proposito la
metafora platonica della caverna allude senza
possibilità di dubbio al fatto che si tratta di trovare
il percorso ascendente e periglioso del Socrate che
smaschera linganno. Il nuovo culto delle immagini
garantito dallaltare familiare si concretizza per
Wunenburger in una cerimonia laica che è in realtà una
sospensione della vita a favore di un rito oculare che
costringe allinterruzione di ogni altro impegno,
gettando lo spettatore nello stato catalettico e
catatonico della postura scopica, atrofica e
degenerante, visto che lintero corpo è
immobilizzato nel trionfo della sedia, della poltrona,
del divano, sedentarizzando così gli individui ed
inducendo una letargia generalizzata e devitalizzante
anche rispetto alle attività psichiche (cap. I: La
ritualità dello spettacolo, 21-33). Uno sguardo
astenico ed in riposo è indotto per Wunenburger dalla
potenza ipnotica di un flusso costante di immagini che
non prevede la pagina bianca, il silenzio, la distanza,
lo scarto o il vuoto della riflessione, inibendo così le
funzioni superiori della coscienza, con il rischio di
potenziarne lalienazione. La vicinanza esaltata, la
prossimità apparente del corpo, il trionfo del
dettaglio, del primo piano, del volto, del particolare,
obbediscono in fin dei conti, a suo parere, ad un
paradigma pornografico che, con la scusa di rendere
il mondo familiare, lo rende in realtà osceno,
facendo per di più dello spettatore un voyeur che guarda
senza essere visto (47, cap. II: Locchio
accecato, 35-48). La vita simulata e messa in scena
spesso in spettacoli volgari e infantilizzanti in cui
impera il kitsch, risulta allora in realtà una
caricatura della vita, scaduta in una specie di circo
ininterrotto e di festa interminabile, una vita bulimica
in cui si continua a stare alla finestra consumando
immagini (cap. III: La vita simulata La seconda parte (I signori
dellimmagine) presenta invece
quellaltro mondo vagheggiato che sta dietro allo
schermo e che è popolato di personaggi celebri, pagati
esageratamente e pertanto invidiati da tutti. La
caccia allimmagine è il paradigma che,
secondo Wunenburger, ci permette di comprendere la vera e
propria regressione delloperatore ai comportamenti
più arcaici di unumanità predatrice e guerriera.
È accettabile, per il solo beneficio di avere
unimmagine impressionante, che un cameraman
riprenda delle persone che stanno morendo, dei crimini
che stanno per essere perpetrati, senza dire una parola?
Filmare diventa allora il sostituto dellazione ed
anzi una dispensa di agire. Non sarebbe più giusto
intervenire, soccorrere, piuttosto che registrare queste
violenze estreme? Il desiderio o il dovere di fissare
delle immagini finisce allora per generare dei
comportamenti scandalosi, come se portare assistenza a
qualcuno che è in pericolo diventasse un dovere
secondario rispetto allo pseudo-dovere di riprendere
delle immagini scioccanti. La ricerca dellimmagine
a qualsiasi prezzo, vale a dire a prezzo del male,
segnala il ritorno in forza di una sorprendente idolatria
dellimmagine (81). Una perturbazione ottica
analoga alle deviazioni causate dallosservazione e
studiate dalla meccanica quantistica si produce comunque
per Wunenburger anche in chi non è il protagonista, ma
una comparsa qualsiasi, che immediatamente si mette in
posa, teatralizzando il suo comportamento in funzione
dello spettacolo e del suo artificio, mascherandosi e
truccandosi, quasi a sottolineare lo statuto menzognero
della situazione. Sempre di più la televisione,
dotata di mezzi tecnici di missaggio, di immagini di
sintesi, tra breve di schermi piatti o giganti, catodici
o a cristalli liquidi per migliorare ulteriormente la
resa dellimmagine, rischia di promuovere
uniconosfera artificiale, in cui le immagini del
reale o della finzione non hanno alcun altro destino se
non quello di essere mescolate, smembrate, snaturate,
staccate da ogni referente per funzionare come delle
combinazioni allucinogene che rinchiudono lo spettatore
in una campana di vetro narcisistica e regressiva. La
televisione, da finestra aperta sul mondo, sarà
diventata allora uno specchio privato in cui circolano
fantasmi e che soggioga un corpo ed uno spirito
completamente desocializzati (98, cap. IV:
Fabbricanti di idoli, 75-98). La vertigine
egocentrica e megalomane che ne risulta è quella che
troviamo espressa nella maniera migliore non solo nei
capricci delle star, ma anche nel desiderio delle persone
comuni di partecipare ad un qualsiasi spettacolo
televisivo, come se questo da solo garantisse una pur
passeggera celebrità, in veste, se non proprio di
principi o cortigiani della situazione, perlomeno di
paggi o di giullari (cap. V: Una casta di
chierici La televisione ci permette di
accedere alla vita, o soltanto di fuggirla? Ci permette
di attraversare il deserto, di uscirne, oppure ci conduce
verso destinazioni erronee o fatali? (120-121).
Questi sono i problemi che affronta infine la terza ed
ultima parte (I miraggi della lucerna)
nellindagare gli effetti tentacolari e patogeni di
uninvasione di campo suscitata dallobesità
del mezzo, che finisce per debordare nelle sfere del
religioso e delleducativo, stabilendo ciò che si
deve credere, sapere, ammirare, possedere, trasmettere. A
prima vista sembrerebbe che la televisione, con i suoi
film, la fiction, i programmi divulgativi, di
informazione e di attualità, soddisfi il bisogno di
ascoltare storie, leggende o miti, in realtà secondo
Wunenburger la taylorizzazione dellimmaginario
visivo operata da programmi in serie ormai stereotipati,
sul modello dei celebri Dallas o Dynasty,
atrofizzano piuttosto il senso del raccontare. Per
farla breve, la televisione suscita una bulimia di film
che intensifica il ciclo di ingestione-digestione di
immagini, ma che priva anche lo spettatore dei
metabolismi simbolici che gli permetterebbero di
trasformarli in materiali dellimmaginario grazie
allattività del sognare ad occhi aperti, grazie al
lavoro dellanamnesi ed allappropriazione
simbolica (127). Così la televisione risulta un pharmakon
nel duplice senso del termine: rimedio e veleno, indice
del nostro male di vivere e insieme possibilità di
attenuarne i sintomi più angosciosi. Anche rispetto alle
possibilità di usare il piccolo schermo come sussidio
didattico, Wunenburger mette in guardia il maestro, che a
suo parere dovrà usarlo solo con grande parsimonia:
La scuola, come ogni altro luogo di formazione, non
può sperare di formare per bene degli esseri razionali e
coltivati se non tagliando momentaneamente i legami con
il mondo, con lambiente circostante e quotidiano,
quindi oscurando o filtrando la fonte dellemissione
di immagini. Come nelletà classica i filosofi
invitavano a chiudere le finestre dellanima (vale a
dire a sospendere lattività delle sensazioni)
perché lo spirito fosse aiutato a meditare sulle verità
metafisiche, allo stesso modo il vero pedagogista dovrà
invitare a spegnere il video per poter veramente
incominciare a cogliere le cose nella loro verità,
attraverso i loro segni ed i loro concetti. Esiste un
tempo per percepire ed un tempo per conoscere veramente,
cè un tempo per produrre la scienza delle cose ed
un altro per sognarle. La loro giustapposizione o il loro
incrocio nelle istituzioni deputate allistruzione
ed alleducazione rischia di snaturarli entrambi e
di consacrare la vittoria dellapparenza
(140-141, cap. VI: I paradisi artificiali,
123-141). La potenza onirica della televisione in realtà
soffoca la potenza immaginativa del singolo,
atrofizzandone la fantasia. Nellabuso di visione
Wunenburger vede un fattore di regressione, di
impoverimento delle nostre capacità di
immaginazione (148), visto che il miscuglio di
immagini iperrealistiche trasmesse e sguardo passivo di
chi guarda non permette affatto di attivare degli altri
mondi, confinando lo spettatore in una condizione
semi-autistica di negligenza e di indifferenza. Strappare
lo spettatore o perlomeno preservarlo dallinfluenza
negativa di questa Medusa che pietrifica o del Ciclope
che riduce tutto al suo unico occhio significa per
Wunenburger restituire luomo contemporaneo alla sua
immaginazione creatrice, facendogli riscoprire le sue
possibilità di sognare, perciò egli prospetta una
dissidenza progressiva, una secessione periodica, un
boicottaggio non violento, ma effettivo ed efficace.
Perciò non è tanto importante cambiare le
tecniche, ma piuttosto invitare lo spettatore a scoprire
le vere ricchezze dellimmagine, che la sua attuale
bulimia meccanica gli impedisce perfino di immaginare
lontanamente. Occorre restituire agli uomini un senso
della poetica, della simbolica, delle dimensioni mitiche
delle immagini in modo che possano desiderare delle altre
immagini al posto di quelle mediocri successioni di
fotografie animate che popolano lo schermo più di quanto
non possano nutrire una vita psichica (163, cap.
VII: Guarire dalla televisione? Ma è poi davvero soltanto una malattia, la televisione? Certamente dobbiamo essere avvertiti rispetto agli effetti di trance prodotti da spettacoli narcotizzanti che funzionano come una sorta di droga mentale e di anestesia morale, generando intossicazioni ed inquinamenti. Certamente riconosciamo i pericoli che derivano dallatomizzazione sociale, dalla miniaturizzazione di un mondo sempre più panoramico, ma anche sempre più superficiale. Certamente cogliamo i rischi della teatralizzazione della vita pubblica, della comunicazione unilaterale, della bagatellizzazione di una cultura che diventa al più bagaglio enciclopedico-mnemotecnico utile per vincere i quiz a premi. La televisione sarà pure il sintomo e la pretesa cura del male di vivere della nostra società, unistituzione anomica spesso spietatamente regolata dallimpero dellauditel e dalla logica dello spettacolo, eppure al catastrofismo lucido di Wunenburger riteniamo si possa e si debba affiancare anche un elogio, altrettanto accorto e lucido, dei suoi servigi al legame sociale e al sentimento di solidarietà, alla memoria collettiva e al senso di coappartenenza al destino del mondo (si pensi soltanto a come alcune immagini epocali, per esempio quelle dellatterraggio sulla luna, siano ormai diventate patrimonio comune di un gran numero di persone, anche illetterate, e a come, per esempio, le immagini di catastrofi naturali o sociali invitino senza tregua alla riflessione ed allazione comune). Wunenburger stesso non evita di ricordarlo, ma nelle poche pagine della conclusione (165-170) questo resta soltanto lauspicio che, nonostante tutte le sue aberrazioni, la televisione possa concorrere ad un più elevato livello di coscienza, diventando così un male benefico, una felix culpa della modernità.
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