|
Home Recensioni Sezioni
D.
Iannotta (a cura di), Labirinti dell'apparenza,
Cantalupa (To), Effatà Editrice, pp.5-203 ISBN 88-86617-98-4 Euro 15,50
(Alexia
Giustini)
E'
proprio dell'analisi filosofica interrogarsi su ciò che appare, su ciò
che si manifesta in un dato momento, in un preciso luogo. Ma, la filosofia
diviene momento di crescita autentica, se riesce a passare dalla semplice
constatazione alla riflessione, ossia, se riesce a toccare anche le questioni
riguardanti il "perché?", "in quale modo?". "Ciò che accade" non accade
mai neutralmente, ed è sulla non neutralità dei fenomeni, che la filosofia
lancia oggi la sua sfida, ad un mondo che la vorrebbe relegata nel mero
opinare. Se, il filosofo si interroga su di un evento, su di un fatto,
vuol dire che di quell'evento, di quel fatto coglie tutta la portata nonché
il valore. Il nostro tempo, inquieto e dinamico, rende, allora, ormai
urgente un pronunciamento squisitamente filosofico sul problema della
differenza, differenza di genere, di culture, di ideologie, di religione,
di punti di vista. Differenza che, emergendo prepotentemente nel nostro
orizzonte culturale greco ed ebraico-cristiano, concorre a dissolvere
le certezze di un sapere assoluto, frutto di una ragione totalitaria,
che ha osato porsi come neutro ed universale. La filosofia, proprio in
virtù del suo essere "amore per il sapere", è sempre in cammino ed è sempre
aderente al proprio tempo, la filosofia è ricerca in campo, non è mai
semplice e sterile discussione. Ed è come "specchio di un tempo", che
essa oggi si apre alla conoscenza e al confronto con gli esiti dello sviluppo
tecnologico, di cui la realtà virtuale rappresenta, forse, l'aspetto più
eclatante e più coinvolgente. In questa prospettiva va collocato il volume
curato da D. Iannotta di cui il saggio introduttivo rappresenta il necessario
sostrato filosofico, che permette di comprendere non solo la nascita del
fenomeno, ma di coglierne anche il significato per l'uomo.
La
differenza nel segno della filosofia non può che essere una differenza
d'essere, ci viene detto, volta a cogliere la polisemia e la plurivocità
di quell'essere, la cui riduzione a Uno è solo una dicibilità tra
le tante. È una differenza che, nell'attestazione dell'altro, diviene
instancabile ricerca di tempi e di spazi di incontro: "Altro dai mille
volti e dalle mille voci, altro come possibilità di modi nuovi di abitare
il mondo, ma anche altro come fuga e disimpegno, come labirinto in cui
perdersi (e ritrovarsi)" (p. 10). Quell'altro che, proprio in quanto altro,
diviene fonte di crescita, di riconfigurazione morale perenne. L'incontro
nella differenza non punta alla eliminazione delle identità, perché anzi,
è proprio mantenendo le particolarità, che si traduce in scambio e arricchimento
reciproco.
Il
saggio di Iannotta si pone come necessaria interrogazione filosofica circa
l'ampliamento degli spazi di esperienza che la realtà virtuale, in quanto
realtà altra, offre oggi. Non è un caso, allora, che inserisca l'indagine
speculativa sul virtuale all'interno del pensiero della differenza, ossia
all'interno di quella corrente di pensiero contemporanea che si è interrogata
su tutto ciò che il pensiero occidentale, durante il proprio cammino conoscitivo,
ha espunto da sé, poiché ritenuto falso, illusorio, dannoso o inutile.
La differenza è, pertanto, rispetto a tutto ciò che l'Occidente ha giudicato
nel proprio processo di razionalizzazione, essere vero, giusto e, dunque,
sensato. Partendo da questo presupposto metodologico, l'autrice afferma
che il virtuale rappresenta "l'ultima sfida del pensiero al pensiero"
(p.9). In questo senso è, allora, possibile cogliere la definizione terminologica,
ontologica ed etica, che la studiosa fa della realtà virtuale, giocata
sul confronto-scontro con la realtà concreta, effettiva. La filosofia
occidentale si presenta come scienza di ciò che è, che si manifesta in
modo immutabile, incontrovertibile, incontraddittorio e imperituro, ne
consegue una svalutazione gnoseologica di tutto ciò che si configura come
immagine della realtà, e, dunque, come creazione fantastica. Qui si colloca
la negazione assoluta parmenidea del non-essere, e da qui si origina il
parricidio platonico, che scinde il mondo in reale e ideale (cfr. pp.
11-14). Se, infatti, reale è ciò che è, come non giudicare ciò che si
attesta quale raffigurazione, rappresentazione della realtà, come una
copia, una imitazione, una irrealtà? L'Occidente preso dal bisogno di
stabilire in maniera incontrovertibile ciò che è, di cui, appunto, è possibile
fare conoscenza e su cui è possibile fondare una scienza, ha dato una
connotazione negativa alla fantasia, vedendovi un qualche cosa di fondamentalmente
fatuo e superfluo, se non addirittura di dannoso. Se, questo è lo sfondo
ineludibile da cui si origina l'interrogazione sul virtuale, allora, l'autrice
fa notare come attraverso esso venga toccato il rapporto tra reale/finzione,
reale/artificiale, in altri termini ad essere messo in gioco, ancora una
volta, è il rapporto tra il reale e le sue immagini, le sue rappresentazioni
(cfr. pp. 17-19). Rapporto dialettico, che Iannotta, sulla scia dell'estetica
gadameriana e dell'ermeneutica ricoeuriana, legge, a dispetto di tutte
le pregiudiziali svalutazioni teoretiche dell'immagine, come accrescimento
dell'essere, che nella riconfigurazione semantica del rappresentato attraverso
la rappresentazione arriva "a dire di più" (cfr. pp. 26-34).
L'analisi
di Iannotta si muove su tre livelli, terminologico, ontologico ed etico-pragmatico.
Dal significato del termine dipendono, infatti, le sue caratterizzazioni,
le sue qualità, con cui entriamo in contatto e in virtù delle quali subiamo
dei mutamenti in seno al nostro modo di agire e interagire, di vivere
con e per gli altri. Se, annettiamo al virtuale il significato di potenziale,
di possibile, allora, vi dobbiamo vedere l'apertura di un percorso figurativo,
"artistico" che, pur traendo spunto dalla concretezza, dà vita a mondi
altri. Mondi che si pongono come variazione immaginativa del e sul reale,
come rielaborazione critica, proposta di senso, cui non spetta il compito
di descrivere il mondo "come è", ma "è come", ossia di offrire spazi metaforici,
dove la verità non è un possesso assoluto, ma una esperienza dinamica,
che coinvolge l'uomo, debole e finito, e per ciò stesso interrogante.
La virtualità intesa come creazione, aristotelicamente come potenza d'essere,
si fa per l'uomo progetto, che si struttura in un gioco dialettico con
il reale da cui si genera. E', dunque, il ruolo positivo di crescita dell'essere
(e nell'essere) annesso all'immagine, ad imporre una riconsiderazione
della fantasia, della immaginazione, della creatività umana. La fantasia
si viene, pertanto, a configurare nel percorso dell'autrice come capacità
innovativa, che rompe il circolo veritativo della univocità, basato sulla
discriminazione del vero dal falso e apre all'altrimenti, dischiudendo
all'uomo un poter-essere alternativo, un nuovo contesto referenziale,
che può coinvolgerci, perché è a noi che parla, alla nostra esperienza
di vita, al nostro mondo (cfr. p. 34). L'immagine, allora, intesa come
comunicazione mette dinnanzi ad un dire, ad un rappresentare, nel quale
possiamo incontrare noi stessi, attraverso il quale facciamo esperienza
di come potremmo essere. L'immagine ha, dunque, una efficacia veritativo-esperienziale,
ma, se rappresenta una provocazione per l'intelletto, un approccio corretto
alla sua conoscenza potrà essere solo di tipo ermeneutico, ossia teso
a comprenderla come evento, che, in quanto tale, modifica chi ne viene
in contatto, chi ne fa esperienza e in essa tenta di raggiungere anche
la comprensione di sé. "E' il metodo ermeneutico (…) che, di fronte allo
sconcerto e alla provocazione, ci aiuta, per un verso, a riscoprire l'orizzonte
del senso e delle sue dinamiche; per l'altro, nel disporci all'accoglimento
del "già dato", ci lascia intravedere la nostra propria funzione propositiva
nel progettare il "non ancora", generando quella dialettica di innovazione
e tradizione - direbbe Gadamer - che articolano lo sfondo del comprendere"
(pp. 35-36).
Il
virtuale si pone come esperienza decontestualizzata, ma riferita al mondo,
forza creativa che agisce sul e con il reale, la quale, unendo piano reale
e piano ideale, pone in essere mondi nuovi. Il potere euristico dell'immagine,
la potenza d'essere del virtuale, su cui si staglia la progettualità umana,
fonda, allora, il cambiamento, l'ipotesi del mutamento, dove la riconfigurazione
del sé, il reinvestimento morale e sociale dell'esperienza fantastica,
allontanano il pericolo della chiusura e del delirio. Ed è sulla scia
del concetto di virtualizzazione elaborato da P. Lévy, ossia di capacità
di problematizzare l'attualità, che Iannotta, connette il virtuale, a
livello ontologico, con la fluidificazione delle differenze e con la riconfigurazione
del già-dato e, a livello etico, con l'aumento di libertà, con la trasformazione
del mondo e con la dialettica tra antico e nuovo, tra passato e futuro,
tra certezza e speranza (cfr. 44-46).
inizio pagina
Home
Recensioni
Sezioni
|