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Jean-Luc Nancy,
Le Regard du portrait,
Paris, Galilée 2000 (Incises), pp. 93, 125 franchi francesi, ISBN 2-7186-0531-6. (Gabriella
Baptist)
Qual è il soggetto
del ritratto? Nessun altro se non il soggetto
stesso,
assolutamente. Dovè che il soggetto stesso può trovare la sua verità
e la sua realtà effettiva? Da nessunaltra parte se non nel ritratto.
Non cè dunque soggetto che in pittura, così come non cè pittura
che del soggetto. Nella pittura il soggetto se ne va a fondo (e torna
a sé); nel soggetto, la pittura fa da superficie (ma eccedendo così
la semplice facciata). Sorge allora dun tratto, né soggetto né oggetto,
larte o il mondo. Così si presenta uno degli ultimi lavori
di Jean-Luc Nancy in quel foglietto mobile che la casa editrice infila
nelle prime pagine, Con preghiera dinserzione: il problema
del soggetto, quindi, alla luce della pittura, e viceversa lessenza
della pittura rispecchiata nel ritratto, questo è lintento di un
percorso articolato in quattro tappe (Il ritratto autonomo,
11-35; Somiglianza, 37-52; Ricordo, 53-69; Sguardo,
71-83) ed alimentato da quattro immagini, ben più Già
Hegel aveva sottolineato come nel ritratto la pittura raggiunga il suo
culmine, visto che il soggetto rappresentato risulta loggetto sommo
e più spirituale, non si tratta più infatti di paesaggi o nature, più
o meno morte, bensì dellindividuo nella sua essenzialità autenticamente
umana e non solo come tipo fisiognomico o carattere storico-fantastico.[1]
Allorché il pittore decide per un ritratto (o un autoritratto) pone necessariamente
allarte il problema dellindividualità, del disvelamento di
un sé (o di se stesso) nellesposizione che porge o forse addirittura
instaura un soggetto in sé e per sé. E viceversa, allorché
il filosofo si interroga sulla soggettività assoluta o sullidentità,
necessariamente finisce per parlare di sfondamenti di superfici, di un
altro sé diverso dalla semplice apparenza, magari perché ne è linteriorità
fondante o lalterità essenziale. Un sé
in se e per
sé, questo è il compito unico ed esclusivo del ritratto: come lo si sa
abbondantemente, un intento del genere avrebbe coinciso con quello del
pensiero a partire da Cartesio (o a partire da Agostino) fino ad oggi
(o fino a domani
). In che senso questa doppia occupazione sia poi
la
stessa,
è quanto qui ci si chiede, una volta di più (17). La persona
in se stessa è nel quadro. Il quadro senza un
interno è
linteriorità o lintimità della persona, è insomma il soggetto
del suo soggetto: il suo supporto e la sua sostanza, la sua soggettività
e la sua soggettilità,[2]
la sua profondità e la sua superficie, il suo essere-sé e il suo essere-altro
in una sola identità il cui nome è ritratto.
(Può darsi, al di là di questo, che questo nome sia pittura
in generale, se nessuna pittura può essere, come si suol dire, senzanima
e di conseguenza neanche senza soggetto e nemmeno, quindi,
senza figura, anche
quando è detta astratta, o addirittura monocroma.
Non potremo allora più arrestare lestensione congiunta della nostra
doppia interrogazione: se ogni soggetto è ritratto, allora ogni pittura
è forse figura e sguardo.) Il
tema dello sguardo, nel suo presentare alla superficie linteriorità
e lessenza, il carattere e lo spirito, costituisce il vero centro
argomentativo dellindagine di Nancy, guidando la scelta delle immagini
proposte alla riflessione. Se innanzitutto si solleva la questione della
somiglianza, è lAutoritratto
di Johannes Gumpp
(circa 1646,
conservato al Museo degli Uffizi di Firenze) a fornire lintreccio
e lintrigo della rappresentazione: la pittura stessa ne è il vero
tema nel suo gioco di rimandi, di somiglianze e di sguardi. Tre sono infatti
i soggetti dipinti: il pittore stesso di spalle, nellatto di guardarsi
in uno specchio, che gli rimanda la sua immagine riflessa, mentre sta
dipingendo un autoritratto. Due sono i volti che compaiono alla vista,
presentando due diverse somiglianze, tra loro lievemente, ma chiaramente
dissimili: quella dello specchio, il cui sguardo risponde allinvisibile
cenno del pittore che si
guarda, e quella del quadro, il cui sguardo si sposta di lato, si mette
in movimento quasi a riprodurre lo stacco dallo specchio al quadro, sfuggendo
così allartefice ed incontrando piuttosto losservatore. La
diversa fedeltà delle due somiglianze è sottolineata dagli animali domestici
che implicitamente le commentano e ne mostrano il dissidio: un cane celebra
la maggiore fedeltà del ritratto, capace di durare anche in
absentia
e di presentare una somiglianza essenziale, un sé profondo ed altro; un
gatto rivela invece la maggiore conformità e precisione, ma anche la fugacità
della riflessione speculare, fedele solo nella corrispondenza assicurata
dal breve tempo di una presenza superficialmente narcisistica. Lo
specchio mostra un oggetto: loggetto della rappresentazione. Il
quadro mostra un soggetto: la pittura allopera (44). Ma tra
i due in conflitto cè in realtà un terzo, il pittore stesso in primo
piano, inquietante ed inafferrabile con il suo volto invisibile, con il
suo sguardo nascosto: Queste spalle oscure del pittore, il dorso
del suo sguardo di cui non abbiamo che i riflessi e gli effetti, questombra
simile a quella di cui parla la leggenda della nascita della pittura,
questa massa scura rivolta verso di noi e piazzata sotto i nostri occhi
come una sfida alle convenzioni figurative, è proprio tutto questo a condurre
infine la somiglianza alla sua verità estrema: a presentarla e ad esporla
come unassenza (46). Questa assenza ci dà ad intendere
che il quadro non è somigliante se non finché espone questa assenza, la
quale a sua volta non è nientaltro che la condizione nella quale
il soggetto
si rapporta a sé e così si
somiglia.
Somigliarsi non è nientaltro che essere se stessi ovvero
lo stesso che sé. Proprio questa identità è quella che dipinge il quadro.
Ma questa identità è il rinvio senza fine di uno sguardo su di sé ad uno
sguardo fuori di sé e ad una esposizione di sé Il
Ritratto
di Auguste Pellerin
di Henri Matisse
(1917, conservato a Parigi al Centre Pompidou) contorna il
volto con un abisso scuro che sconfina addirittura dalla tela contro il
quale il volto si staglia, andando a confondersi con il vestito e rappresentando
quello stesso sfondamento
che sono gli occhi, quasi che il fondo del quadro (quel suo sfondo particolare
che è nella somiglianza) si guardasse in uno sguardo e si tirasse fuori
dallidentità oscura del non identificabile. Non si tratta
quindi affatto di riprodurre ciò che è riconoscibile, e non si tratta
neanche di offrire lapparenza fenomenica di qualcosa che resterebbe
al fondo (lin sé come vita dello spirito, come personalità
profonda, ecc.). Si tratta piuttosto di portare alla luce del giorno
il fondo stesso, di tirar fuori la presenza non estraendola da unassenza,
ma al contrario conducendola fino allassenza che la porta davanti
a sé e lespone al rapporto a sé esponendola a noi
(51). La bocca sembra farsi qui il simbolo di unapertura (e di una
chiusura) che anche Gumpp aveva marcato, sottolineando con lunico
tratto di rosso non solo il volto delle due immagini della rappresentazione,
ma anche latto del pittore, che con il rosso vivace del pennello
sta appunto dipingendo proprio una bocca: come a significare che la pittura
innanzitutto tace, ma parla anche attraverso un qualche canto soave, rappresentato
simbolicamente dal flauto che è Ma
questa è precisamente la caratteristica del ritratto, il suo essere apertura
sul silenzio della propria presenza assente. Il ritratto ricorda
la presenza, nei due sensi del termine ricordo: fa tornare
dalloblio dellassenza e rammemora nellassenza stessa.
È in questo modo che il ritratto immortala: rende immortali nella morte.
(Ma più esattamente forse: il ritratto immortala meno una persona di quanto
non presenti la morte (immortale) in (una) persona. Sarebbe proprio questa
la sua differenza essenziale rispetto alla maschera mortuaria, che presenta
il
morto
e non la
morte.
La maschera prende limpronta del morto (lopera che la morte
vi ha impresso), il ritratto mette invece la morte stessa allopera:
la morte allopera in piena vita, in piena figura e in pieno sguardo.
La morte o la castrazione , vale a dire ciò che si riduce
ai concetti di finitezza o di divisione: luscire
fuori di sé, ex-sistenza, lex-posizione.) (54). La memoria
alla quale si fa allora appello non è la conservazione di un presente
passato: è il rinculo o la rimonta verso il fondo sempre presente
e propriamente immemoriale dellassenza stessa. Così questa
anamnesi in qualche misura ipermnestica (o amnesica) rinvia a questa regione
della presenza assente che un tempo si chiamava il sacro Anche
il Ritratto
di un giovane
di Lorenzo Lotto
(1506/1507, conservato a Vienna presso il Kunsthistorisches Museum)
colloca intorno al volto unaureola scura, come nel duplice autoritratto
di Gumpp o nel ritratto di Matisse. Anche qui, oltre
allidentità (memorabile o meno), è lintimità rappresentata
(ed immemoriale perché assolutamente presente) ad assicurare leffetto
di sfondamento garantito dalla tenda sollevata sul fondo oscuro della
tela stessa, in cui brilla un lume ad olio, una luce interiore, forse
anche una lampada votiva, quasi uno sguardo che viene dal quadro e raddoppia
quello dellimmagine rappresentata. La luce del fondo
di questo fondo improbabile aperto e senza fondo sullo sfondo della tela
è il chiarore di una presenza al di qua e al di là di se stessa,
che la rende medesima
a sé. Il ritratto è nascita e morte del soggetto, il quale non è nientaltro
che questo, nascita alla morte e morte alla nascita, o ancora infinito
ricordo di sé (65). Se licona sacra è presenza dellinvisibile
(del Dio irrappresentabile), il ritratto è visibilità dellassenza
nella presentazione di unintimità soggettiva che resta sul fondo
e che sfonda. Il ritratto avrà ripreso in sé questo tratto fondamentale
dellicona: ciò che tratteggia
e traccia
è proprio questo non apparire in quanto nascita e morte del soggetto.
Laddove licona si offre alladorazione che la attraversa per
giungere in essa fino al fondo divino, il ritratto porge il fondo facendosi
superficie come luce propria del quadro (68). Il ritratto
ricorda licona e le somiglia come lassenza della presenza
ricorda, per somigliarle, la presenza dellassenza Nello
sguardo si concentra lenigma dellassenza presente (del soggetto),
della presenza assente (del senso), ma lo sguardo non è solo quello rappresentato,
riprodotto, che in qualche modo buca lo schermo e ne mostra
le quinte, ma è anche lo sguardo stesso del quadro, di quel particolare
modo di mostrare, di vedere e di rappresentare che è la pittura e larte
stessa. Prima di ogni altra cosa , il ritratto guarda: non fa altro
che questo, vi si concentra, vi si invia e vi si perde (72). Nello
sguardo dipinto la pittura diventa sguardo, e se ogni pittura diviene,
in fin dei conti, ciò che dipinge, è senza dubbio sempre attraverso lo
sguardo che questo succede il che significa, in uno stesso movimento,
a partire dallo sguardo da cui nasce la pittura e a partire da quello
che essa diviene dipingendolo (72-73). Qual è lo sguardo del quadro,
se non precisamente quel fondo che lo sguardo stesso buca,
la lampada che affiora dallo sfondamento della superficie in Lotto, il
quadro sullo sfondo e che sconfina inglobando e producendo un effetto
di abisso nel ritratto di Matisse, ma anche quel tocco di rosso che sfavilla
dal bavero della giacca di Auguste Pellerin o la bocca triplamente presente/assente
nellautoritratto di Gumpp? Il fondo è uno sguardo Con
il Doppio
ritratto
di Miquel Barcelo
(1995, collezione dellartista, esposto in occasione di una mostra
presso il Centre Pompidou di Parigi nel 1996) i due volti, che
peraltro evidenziano piuttosto nasi e bocche, diventano essi stessi occhi,
anzi orbite vuote, e il quadro è il loro sguardo, o la lacerazione
di una cecità ancora sanguinante: uno sguardo di morte, forse la morte
dello sguardo o nello sguardo, ma anche la pienezza di uno sguardo doppio,
in cui fondo e superficie si raccolgono debordando. Solo la pittura
formula così, rigorosamente, lintera struttura e genesi del soggetto,
lintimità nera della superficie figurata e colorata, lombra
portata nel quadro dal ritratto Scavando lo
sguardo, svuotandolo, esasperandolo, demolendolo,
facendolo alludere allinvisibilità o
allombra, contornandolo di andate e ritorni dal
soggetto alloggetto, dalla conformità alla
somiglianza della rappresentazione, dalla presenza
allassenza, marchiandolo con il sangue della vita,
ma anche con la morte della violenza e del delitto,
illuminandolo con il fuoco della passione, ma anche della
lampada votiva e della sepoltura, Jean-Luc Nancy
individua nel ritratto lossimoro di uno sguardo
cieco che è la visibilità stessa, la sua fondazione e
premessa. Lo sguardo della conoscenza continua a
confrontarsi con locchio terribile di Medusa e con
la cecità [1] Cfr. G.W.F. Hegel, Estetica [2]
In nota Nancy rimanda ad un saggio di J. Derrida,
Forcener le subjectile, in Artaud. Dessins et portraits,
Paris, Gallimar
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