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Faustine, l'immagine* Note ad un racconto di Adolfo Bioy Casares 0.
Chi scrive spera che il lettore
delle considerazioni che seguono abbia già letto il
racconto di Adolfo Bioy Casares La invenciòn de Morel 1. Le due lune e i due soli Colui
che nel racconto parla in prima persona – e di cui
sappiamo solo che è fuggito dal suo Paese avendo qualche
conto in sospeso con la polizia – approda su di un’isola
animata da strane presenze. Intorno ad una costruzione
centrale, che ha tutta l’aria di un museo, si muovono
uomini e donne, come per trascorrere una breve vacanza, tra
conversazioni, cene e balli. C’è una donna, che gli altri
chiamano Faustine, che attira subito l’attenzione del
narrante. Superato il timore di essere scoperto ed
eventualmente denunziato, egli cerca di entrare in
comunicazione con lei. La delusione è immediata: “è come
se i suoi occhi non servissero a vedere, le sue orecchie non
servissero a sentire” Otto giorni
dopo il primo incontro egli è testimone dello strano
accadere delle medesime conversazioni e dei medesimi
incontri. Ma all’improvviso tutto si ferma; l’isola
appare deserta; non c’è più nessuno; il museo resta al
buio. Il narratore riesce ad azionare un generatore di
elettricità Uno degli
ospiti, quello che gli altri chiamano Morel, dice ad un
altro: “e se le dicessi che sono registrati tutti i suoi
gesti e le sue parole?” 2.
Il narrante ascolta la “rivelazione” di Morel: “tutti i nostri atti sono rimasti registrati (…) vivremo per l’eternità”. L’ipotesi
di Morel è che, una volta riuniti in una “ripresa”
totale tutti i simulacri sensibili dei corpi viventi,
l’anima sorga di conseguenza. Egli ritiene che si possa
così “registrare” 3.
Il narrante si è innamorato perdutamente di Faustine, ma sa che non potrà “comunicare” con lei. Il presente della vita di Faustine non è il suo presente. Convivere con lei significherà progettare la propria vita futura sull’ineluttabile del “già-stato”. Sulle prime
il narrante non presta fede all’ipotesi metafisica di
Morel. La nostra vita, egli sembra pensare, è spontaneità,
essenziale libertà, mentre quella “registrata” di
Faustine è l’assoluta necessità del passato, del passato
eterno. Eppure la non-vita di quei simulacri è tale forse
solo per noi che viviamo in un’altra dimensione temporale.
E se anche noi “non-vivessimo”? Se anche noi vivessimo
come simulacri registrati? Se anche la nostra vita fosse
solo eterno passato che si ripete? Il narrante ha accettato
l’ Fermiamo un attimo il nostro
commento e domandiamoci: siamo abitatori di un cosmo in cui tutto accade come eternamente accaduto, secondo
ferrea necessità, in cui tutto ciò che facciamo (che decidiamo di fare) è già stato deciso,
oppure il nostro fare
deve essere pensato come “attualità” di un non-fare sempre “possibile”, come attualità di quella
“libertà dal fare” di cui Epicuro ci racconta che
consista la vita degli dei nel metacosmo
(perfetta scholé 4.
“Non c’è
altra Faustine che quest’immagine, per la quale io non
esisto”. La consapevolezza di questo dramma metafisico
spinge il narrante ad una decisione estrema. Registrerà
sette giorni della sua “vita” con (?) Faustine,
recitando la sua parte su quell’eterno passato. “Spero
che, in genere, diamo l’impressione di essere due amici
inseparabili, di capirci senza bisogno di parole” 5.
La gioia e l’ “La gioia di contemplare Faustine sarà lo stato in cui vivrò per l’eternità”: contemplazione mistica senza indiamento, inferno paradisiaco, paradiso infernale. Trionfo della necessità? Se anche la
decisione del narrante, soggettivamente “libera”, può
essere intesa, secondo l’ipotesi di Morel, come
ripetizione eterna di un già-stato, dovremo concludere che
la liberà è solo l’eterna illusione dell’uomo? Ma
forse non è così e, comunque, c’è A chiusura
del racconto il narrante supplica quell’uomo, che forse un
giorno riuscirà ad inventare una macchina capace di
“riunire le presenze disgregate”, affinché unisca le
due vite separate. “Cerchi Faustine e me, e mi faccia
entrare nel cerchio della coscienza di Faustine. Sarà un
atto pietoso”. Ciò che la
supplica del narrante chiede è l’impossibile per
eccellenza: un atto di libertà che possa volere a ritroso.
Ma tale potenza di libertà, è Tuttavia questa supplica riporta
in primo piano l’esigenza
umana di libertà, questa sì reale e non illusoria: essa ci
dice ulteriormente che senza l’eterna ricerca della libertà
il “fenomeno umano”, così come l’abbiamo finora
conosciuto, non sarebbe comprensibile[1] *
Il presente testo è stato già pubblicato, in una
versione leggermente diversa, nella rivista Coincidences
(n° [1]
Le citazioni da L’invenzione di Morel
sono tutte tratte dalla traduzione italiana del testo
curata da Livio Bacchi Wilcock ed edita da Bompiani
(Milano, 1989, II edizione dei “Tascabili Bompiani”).
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