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Ombre
di Gabriella Baptist
In
onore di Bernhard Waldenfels*
skias onar anthropos
“Der Schatten Traum, sind Menschen”
Pindaro, VIII Ode
pitica, 95
Traduzione in tedesco di F. Hölderlin
Alcuni motivi filosofici sono forse così
poco appariscenti, da non riuscire a gettare neanche una
pur pallida ombra al loro passaggio, quasi intendano
somigliare a quelle superfici helmoltziane che sembrano
non avere alcuna idea delle profondità di cui pure sono
proiezioni. Quell’“ombra” carica di
suggestioni platoneggianti, da illustrare magari
attraverso un’analitica della percezione di impostazione
empiristica, radicata nella migliore tradizione di una
filosofia della riflessione ed addirittura connotata in
senso fenomenologico ed ermeneutico, si incontra in realtà
appena nei dizionari filosofici, e a malapena qualcuno si
accorge di questa assenza e di quanto essa nasconda.
Il termine italiano ‘ombra’ deriva dal
latino ‘umbra’, proveniente a sua volta da più
antiche espressioni che dicono la cecità e la tenebra,
imparentate con il sanscrito ed il vedico e testimonianti
una comune origine di area indo-iranica. Più vicino al
greco ‘skotos’ e ‘skias’ è il tedesco
‘Schatten’ e l’inglese ‘shadow’ o ‘shade’.
Tutte le lingue mostrano una grande ricchezza di
variazioni sul tema dell’ombra e giocano volentieri con
questa immagine. Le ombre si proiettano, si gettano, si
spandono, si diffondono, per poi dileguare. Le ombre
possono offrire ristoro ed essere simboli di calma e di
quiete, ma anche risultare fantasmagoriche, se non
addirittura inquietanti e spettrali, rimandando
all’illusione, alla simulazione, all’inganno, alla
falsità, se non addirittura all’oblio ed alla morte. Si
può vivere nell’ombra e decidere di rimanervi, si può
essere l’ombra di qualcun altro ed addirittura diventare
l’ombra di se stessi. Si può mettere in ombra qualcuno,
ci si può involare come un’ombra, si può correre
dietro alle ombre, inseguirle o dar loro corpo. Il pavido
teme addirittura la propria ombra, non così il pugile che
si allena con l’ombra, prendendosi a pugni senza alcuna
conseguenza. Nessuno riuscirà mai a rincorrere la propria
ombra e a catturarla, non va meglio per chi invece la
perde, come sanno bene le popolazioni dell’equatore nei
mezzogiorni assolati degli equinozi estivi, allorché
diventa fisicamente impossibile trovare rifugio
all’ombra di un qualche campanile. Le ombre cinesi
possono offrire distrazione, ma l’intrattenimento è
finito se le ombre diventano eterne. Un governo ombra potrà
magari risolvere un’impasse politica pur senza tramare
nell’ombra, ma difficilmente si troverà chi
espressamente chiederà la cittadinanza di un fantomatico
regno delle ombre, tanto più se il re sarà, paganamente,
Plutarco, oppure, cristianamente, Satana, quel diavolo a
cui appunto si vende l’anima che è nell’ombra,
perdendosi così definitivamente nella dannazione. Nessuna
rivelazione riuscirà mai a cancellare del tutto l’ombra
del mistero, d’altro canto esiste anche una certezza
senza alcuna ombra di dubbio a tormentare, anche se
l’ombra del sospetto potrà comunque incrinare la fede e
la fedeltà più salde. Un corruccio, un tormento, una
delusione si esprimeranno come un’ombra sul volto, in
uno sguardo si potrà riconoscere un’ombra di tristezza,
in un sorriso un’ombra di malizia. Giochi di luce e
d’ombra sono comunque in genere sempre apprezzati:
grazie al punto d’ombra della meridiana si ha l’ora
esatta, col punto ombra si orla invece la biancheria più
pregiata, la mezz’ombra è gradita alle signore, la
penombra agli amanti, il cono d’ombra di un’eclisse è
ormai un intrattenimento collettivo che si insegue nelle
operazioni massmediatiche attente agli indici di ascolto,
il popolo dei telefonini, che pure evita in genere le zone
d’ombra, potrà usarle talvolta come scusante
provvidenziale. Gettare un’ombra su fasti e splendori li
ridimensiona, aiutandoci a vedere nella realtà le sue
luci, sì, ma anche le sue ombre. Una strada ombrosa sarà
di certo amena e gradevole, soprattutto d’estate, ma non
suscettibile come un carattere ombroso, né schiva come
una persona umbratile. Si può finire col mantenere solo
un’ombra di autorità, non avere più l’ombra di un
quattrino, aggiungere al sugo un’ombra di sale,
adombrarsi per un nonnulla, aprire un ombrello,
aggiustarsi l’ombretto.
Da sempre l’arte si è confrontata con
il tema dell’ombra. A dare retta al mito che ne racconta
l’origine, la pittura sarebbe addirittura nata dal
tentativo di fissare l’immagine dell’uomo disegnando i
contorni della sua ombra. Ombre hanno profondamente condizionato
l’arte e la sua storia, sia quando ne sono state
bandite, per esempio nella scelta della posizione frontale
per i santi — la cui solarità non tollera macchia né
ombra per definizione —, oppure nell’esaltazione del
trionfo di tutto ciò che è mondano. In letteratura il tema dell’ombra è
altrettanto vitale, dall’antichità di un Archippo o
Luciano, attraverso il medioevo di un Dante, fino
all’epoca classica o romantica di un Wieland o di un
Chamisso e poi a seguire fino al presente di un Dürrenmatt:
come accettazione di ciò che è umano in tutta la sua
eccellenza, ma anche in tutta la sua bassezza, come gioco
surreale della fantasia con le ossessioni dell’estraneo
e dell’inquietante, come simbolo di una sutura tra mondo
naturale e mondo spirituale. Volendo approntare una ricerca
bibliografica con sussidi elettronici cercando ai lemmi
‘ombra’, ‘shadow’, ‘Schatten’, ‘ombre’,
ecc., si sarà presto sommersi da centinaia di titoli: a
quanto pare romanzi rosa e gialli, racconti dell’orrore
e thriller a sfondo psicologico, poesie di principianti e
letterati della domenica, pubblicazioni memorialistiche ed
autobiografiche, manuali esoterici ed occultistici, ma
anche cataloghi di esposizioni e libri d’arte rinunciano
malvolentieri alla ricca metaforica dell’ombra.
Si dovrà dire per questo che le ombre
sono soltanto oscure espressioni di visionari
concettualmente miopi, indici piuttosto di annebbiamento
che non di chiarezza? Dovrebbe forse il filosofo non
occuparsene affatto, lasciando il problema piuttosto al
mitologo, allo psicologo, al critico letterario o allo
storico dell’arte? Hegel, che certamente non era un
genio romantico avido di nebbie, umori, vapori e
crepuscoli, nel presentare il suo sistema della logica
come mondo di semplici essenze, liberate da ogni
contingenza, arbitrarietà e concrezione sensibile, lo
caratterizza come un “regno delle ombre”, il cui
studio permette “l’assoluta educazione e disciplina
della coscienza”, dando espressione all’“assoluto-vero”! Persino in Nietzsche non si può separare
l’ombra dal raggio di sole della conoscenza!
All’interno della riflessione filosofica
il tema dell’ombra ha in genere rilevanza soprattutto
epistemologica o estetica, ma è spesso anche
straordinariamente carico di pregnanza metafisica e, per
il suo spessore, può essere collocato sullo stesso piano
di argomenti quali la problematica del segno, della
rappresentazione, della parvenza o della traccia. La
capacità differenziatrice della percezione o la fedeltà
del tratteggio mimetico si esprimono nella maniera
migliore proprio attraverso la simbologia dell’ombra.
Spesso inoltre il tema dell’incarnazione sensibile della
verità si serve precisamente di quelle stesse suggestioni
che nell’ombra rimandano anche ad una prefigurazione
della morte.
Il mito platonico della caverna nel
settimo libro della Politeia
sta certamente all’inizio di ogni riflessione filosofica
sull’ombra e senza alcun dubbio ha influenzato
profondamente non solo la storia della filosofia, che può
dirsi davvero, e non solo per modo di dire, collocata
appunto nello spazio investito dalla sua ombra. In quel contesto le ombre siglano sia
l’autoinganno dei prigionieri, che in proposito
organizzano addirittura scommesse e giochi senza senso,
sia anche il processo liberatorio dell’uscita dalla
caverna e l’ascesa pedagogica dalle ombre delle cose al
sole del vero e del bene: ombre della menzogna da un lato,
ombre della verità dall’altro
Anche a partire da metafore platoneggianti Giordano Bruno
tratteggia una logica (o addirittura, ante
litteram, un’ermeneutica) della fantasia e
dell’immagine, giacché alle rappresentazioni — grazie
alle quali opera la memoria e che sono considerate ombre
delle idee — si attribuisce una funzione teoretica in
ambito conoscitivo, prefigurando così una teoria del
simbolo e della coscienza non concettuale.
In An Essay
Concerning Human Understanding Locke cerca, tra
l’altro, di proporrre una teoria della percezione
visiva; un problema è, per esempio, il fatto che la
tridimensionalità del mondo sia percepita nella
bidimensionalità delle immagini che si formano sulla
retina: in effetti vediamo semplicemente un cerchio
piatto, variamente colorato ed ombreggiato secondo una
certa regolarità, eppure lo interpretiamo senz’altro
come una sfera.
Il problema sollevato da un’obiezione di Molineux, se
cioè un cieco nato che all’improvviso riuscisse a
vedere possa distinguere una sfera da un cubo senza
tastarli, continuerà in seguito ad essere discusso a
partire da diversi punti di vista, per esempio da Leibniz,
Berkeley, Voltaire, Condillac o Diderot:
l’ombra, come un qualcosa di solamente visibile, è
proprio ciò che fa la differenza!
Anche a partire da un’ontologia
regionale della cosa stessa Husserl cerca il filo
conduttore per l’analisi intenzionale dell’io della
percezione anche a partire da adombramenti (“Abschattungen”)
prospettivanti ed orientanti, che sono da distinguere
attentamente da ciò che è il realmente adombrato (“Abgeschattetes”). La radicalizzazione della fenomenologia
da parte di Heidegger anche nel senso di un’analisi
dell’esserci sottolinea dell’ombra in particolare la
gettatezza, e non a caso proprio Hölderlin sarà chiamato
in causa. Certamente nella questione
dell’adombramento resta riconoscibile quel retroterra
problematico che ha a che fare con l’apparizione o la
riproduzione della verità e dell’essere: eidos
ed eidolon
continuano a rimandare ai poli estremi di una discesa e di
un’ascesa. Letteralmente nell’ombra di Husserl,
Merleau-Ponty problematizza l’impensato del suo
pensiero, che rimanda all’incarnazione dello spirito e
ad un risvolto dell’essere che resiste alla
costituzione, per esempio alla terra stessa, sulla quale
in fin dei conti si proietta l’ombra e che sostiene
segretamente, come uno strato nascosto, sia
l’idealizzazione che l’oggettivazione. Questo suolo riconquistato e terrestre
rappresenta ora lo sfondo sul quale si può mettere in
scena una trasformazione, radicalizzazione,
differenziazione ed ampliamento della ragione.
“Moitié
ombre, moitié lumière: c’est l’éclairage des planètes.
Une moitié du monde repose, l’autre travaille. Mais, de
toute cette moitié qui songe, émane une force mystérieuse”.
J. Cocteau, Le
grand écart, I
E’ noto, in proposito, il rimando di E. Husserl, Die
Krisis der europäischen Wissenschaften und die
transzendentale Phänomenologie. Eine
Einleitung in die phänomenologische Philosophie,
a cura di W. Biemel, Hua
6, Den Haag 19622, p. 121 (§ 32); tr. it.
di E. Filippini, La
crisi delle scienze europee e la fenomenologia
trascendentale. Introduzione alla filosofia
fenomenologica, a cura di E. Paci, Milano 1983, p.
148.
Ma si veda in
proposito M.-J. Baudinet-Mondzain, “Ombre”, in Encyclopédie
philosophique universelle, a cura di A. Jacob,
vol. II/2,
Les notions
philosophiques. Dictionnaire,
a cura di S. Auroux, Paris 1990, p. 1801-1802, in cui
peraltro si considera piuttosto l’aspetto estetico
del problema. I dizionari filosofici del XVII e del
XVIII secolo dedicano un’attenzione maggiore alla
questione, cfr. per esempio J. Micraelius,
“Umbra”, in Lexicon
Philosophicum. Terminorum philosophis usitatorum ...,
Stettin 16622 (ristampa anastatica: Düsseldorf
1966), coll. 1383-1386, si vedano in particolare le
distinzioni proposte, con risvolti soprattutto
astronomici e geometrici, tra umbra
minor (seu pyramidalis), aequalis
(cylindriformis
seu columnaria), major,
recta e versa; S. Chauvin,
“Umbra”, in Lexicon
Philosophicum, Leeuwarden 17132
(ristampa anastatica: Düsseldorf 1967), pp. 700-701,
si veda in particolare la differenza proposta tra umbra
prima e secunda, perfecta, penumbra;
J.G. Walch, “Schatten”, in Philosophisches
Lexicon. Leipzig 17754 (ristampa
anastatica: Hildesheim 1968), vol. II, coll. 699-700,
si veda in particolare la differenza tra ombra più
chiara ed ombra più scura; ed infine C. Hutton, “Shadow”,
in A
Mathematical and Philosophical Dictionary, London
1795 (ristampa anastatica: Hildesheim/New York 1973),
vol. II, pp. 444-445, con rimandi alle teorizzazioni
dell’ombra nell’ottica, nell’astronomia, nella
geografia e nella teoria della prospettiva.
Plin. nat. 35, 3, 15 (secondo l’edizione C. Plinius
Secundus, Naturalis
Historia, a cura di L. Ian e C. Mayhoff, vol. V, Libri
XXXI-XXXVII, Stuttgart 1967, p. 233).
Cfr. E.H. Gombrich, Shadows.
The Depiction of Cast Shadows in Western Art,
London 1995; tr. it. di M.C. Mundici, Ombre. La
rappresentazione dell’ombra portata nell’arte
occidentale, Torino 1996. Sulla connessione tra
bellezza e gioco dell’ombra in altre tradizione
culturali cfr. J. Tanizaki: In.ei
raisan, Tokyo 1933; tr. it. di A. Ricca Suga, Libro
d’ombra, a cura di G. Mariotti, Milano 1982.
Ringrazio cordialmente Birgit Schaaff e Birgit
Griesecke per avermi suggerito quest’ultimo rimando.
Cfr. G. von
Wilpert, Der verlorene Schatten. Varianten eines literarischen Motivs,
Stuttgart 1978.
Soltanto un esempio: nell’ottobre 1998 la
Bibliografia Nazionale Tedesca su CD-ROM riporta per
gli anni 1993 segg. 821 titoli, la maggior parte dei
quali si situa in ambito letterario.
G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik. I.
Die objektive Logik (1812/1813), a cura di F.
Hogemann e W. Jaeschke, GW
11, Hamburg 1978, p. 29; tr. it. di A. Moni, rivista
da C. Cesa, Scienza
della logica, I, Roma-Bari 1974, pp. 41-42.
Probabilmente qui Hegel rimanda indirettamente a
Schiller, che in una sua poesia aveva caratterizzato
le forme originarie dell’ente e la bellezza
dell’ideale proprio come regno delle ombre. Cfr.
F. Schiller, “Das Reich der Schatten”, in Werke.
Nationalausgabe, vol. I, Gedichte
in der Reihenfolge ihres Erscheinens 1776-1799, a
cura di J. Petersen e F. Beißner, Weimar 1943, pp.
247-251; cfr. anche Id., “Das Reich der Formen” e
“Das Ideal und das Leben”, in Werke.
Nationalausgabe, vol. II/1, Gedichte
in der Reihenfolge ihres Erscheinens 1799-1805 — der
geplanten Ausgabe letzter Hand (Prachtausgabe) — aus
dem Nachlaß, a cura di N. Oellers, Weimar 1983,
pp. 118, 164, 396-400; tr. it. di G. Moretti,
“L’ideale e la vita”, in Poesie filosofiche, Milano 1990, pp. 47-55.
F. Nietzsche, “Der Wanderer und sein Schatten”, in
Menschliches,
Allzumenschliches. II. Nachgelassene Fragmente. Frühling 1878 bis November 1879, Werke, a cura di G. Colli e M. Montinari, vol. IV/3, Berlin 1967, p.
176; tr. it. di S. Giametta e M. Montinari, “Il
viandante e la sua ombra”, in Umano,
troppo umano. II. Frammenti
postumi (1878-1879), Opere,
a cura di G. Colli e M. Montinari, vol. IV/3, Milano
1967, p. 134: “Quell’ombra che tutte le cose
mostrano quando il sole della conoscenza cade su di
esse, — anche quell’ombra sono io”. Cfr. anche ibid.;
tr. it. cit., pp. 133-134: “Perché ci sia bellezza
sul volto, chiarezza nel discorso, bontà e saldezza
nel carattere, l’ombra è tanto necessaria quanto la
luce. Esse non sono avversarie: si tengono al
contrario amorevolmente per mano, e se la luce
sparisce, l’ombra le guizza dietro”. Cfr. anche Id., “Der Schatten”, in Also
sprach Zarathustra. Ein Buch für Alle und Keinen
(1883-1885), a cura di G. Colli und M. Montinari, Werke,
vol. VI/1, Berlin 1968, pp. 334-337; tr. it. di
M. Montinari, “L’ombra”, in Così
parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno,
Opere, a
cura di G. Colli e M. Montinari, vol. VI/1, Milano
1968, pp. 330-333.
Resp. VII, 514a ff. Sui precedenti nel pensiero
presocratico e sull’incidenza che il mito della
caverna ha avuto addirittura fino alla letteratura del
nostro secolo, cfr. K. Gaiser, Il
paragone della caverna. Variazioni da Platone a oggi,
Napoli 1985.
Cfr. G. Bruno, De
umbris idearum (Paris 1582), in Opera
Latine Conscripta, vol. II/1, a cura di V.
Imbriani e C.M. Tallarigo, Napoli 1886, pp. 1-55; tr.
it. di N. Tirinnanzi, Le
ombre delle idee, in Le
ombre delle idee. Il canto di Circe. Il sigillo dei
sigilli, a cura di M. Ciliberto, Milano 1997, pp.
35-103; Id., De
imaginum, signorum et idearum compositione (Frankfurt
1591), in Opera Latine Conscripta, vol. II/3, a cura di F. Tocco e H. Vitelli,
Napoli 1889, pp. 85-322. In
proposito F. Fellmann, “Bild und Bewußtsein bei
Giordano Bruno”, in R. Heinrich und H. Vetter (a
cura di), Bilder
der Philosophie. Reflexionen über das Bildliche und
die Phantasie, Wien/München 1991, pp. 200-222, in
part. 212-216.
Cfr. J. Locke, An Essay Concerning Human Understanding, a cura di P.H. Nidditch,
Oxford 1975, pp. 145-146 (II.ix,8); tr. it. di M. e N.
Abbagnano, Saggio
sull’intelletto umano, Torino 1971, pp. 180-181.
Cfr. per esempio E. Husserl, Ideen
zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen
Philosophie, I, Allgemeine
Einführung in die reine Phänomenologie, a cura
di K. Schuhmann, Hua
3/1, Den Haag 1976, pp. 83-89 (§§ 41-42); tr. it. di
E. Filippini, Idee
per una fenomenologia pura e per una filosofia
fenomenologica, Torino 1965, pp. 87-92. In
proposito U. Claesges, Edmund
Husserls Theorie der Raumkonstitution, Den Haag
1964, pp. 39-40, 64-66.
Cfr. ivi, pp. 114-115, tr. it. cit. (lievemente
modificata), p. 99: “L’ombra, in quanto è
qualcosa che oscura [Abschattendes],
non è già più ciò che riluce [das
Leuchtende]
e, ancor meno, la luce stessa; è invece una specie di
assenza essenziale [Abwesung]
di ciò che riluce e di ciò che propriamente appare
da se stesso [des
eigentlich selbst Erscheinenden]”.
Cfr. M.
Merleau-Ponty, “Le philosophe et son ombre”, in
H.L. van Breda e J. Taminiaux (a cura di), Edmund
Husserl 1859-1959. Recueil commémoratif publié à
l’occasion du centenaire de la naissance du
philosophe, Den Haag 1959, pp. 195-220; tr. it. di
G. Alfieri, “Il filosofo e la sua ombra”, in Segni,
a cura di A. Bonomi, Milano 1967, pp. 211-238.
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