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Ombre
di Gabriella Baptist

In onore di Bernhard Waldenfels*

 

skias onar anthropos

“Der Schatten Traum, sind Menschen”

Pindaro, VIII Ode pitica, 95

Traduzione in tedesco di F. Hölderlin

 

Alcuni motivi filosofici sono forse così poco appariscenti, da non riuscire a gettare neanche una pur pallida ombra al loro passaggio, quasi intendano somigliare a quelle superfici helmoltziane che sembrano non avere alcuna idea delle profondità di cui pure sono proiezioni[1]. Quell’“ombra” carica di suggestioni platoneggianti, da illustrare magari attraverso un’analitica della percezione di impostazione empiristica, radicata nella migliore tradizione di una filosofia della riflessione ed addirittura connotata in senso fenomenologico ed ermeneutico, si incontra in realtà appena nei dizionari filosofici, e a malapena qualcuno si accorge di questa assenza e di quanto essa nasconda[2].

Il termine italiano ‘ombra’ deriva dal latino ‘umbra’, proveniente a sua volta da più antiche espressioni che dicono la cecità e la tenebra, imparentate con il sanscrito ed il vedico e testimonianti una comune origine di area indo-iranica. Più vicino al greco ‘skotos’ e ‘skias’ è il tedesco ‘Schatten’ e l’inglese ‘shadow’ o ‘shade’. Tutte le lingue mostrano una grande ricchezza di variazioni sul tema dell’ombra e giocano volentieri con questa immagine. Le ombre si proiettano, si gettano, si spandono, si diffondono, per poi dileguare. Le ombre possono offrire ristoro ed essere simboli di calma e di quiete, ma anche risultare fantasmagoriche, se non addirittura inquietanti e spettrali, rimandando all’illusione, alla simulazione, all’inganno, alla falsità, se non addirittura all’oblio ed alla morte. Si può vivere nell’ombra e decidere di rimanervi, si può essere l’ombra di qualcun altro ed addirittura diventare l’ombra di se stessi. Si può mettere in ombra qualcuno, ci si può involare come un’ombra, si può correre dietro alle ombre, inseguirle o dar loro corpo. Il pavido teme addirittura la propria ombra, non così il pugile che si allena con l’ombra, prendendosi a pugni senza alcuna conseguenza. Nessuno riuscirà mai a rincorrere la propria ombra e a catturarla, non va meglio per chi invece la perde, come sanno bene le popolazioni dell’equatore nei mezzogiorni assolati degli equinozi estivi, allorché diventa fisicamente impossibile trovare rifugio all’ombra di un qualche campanile. Le ombre cinesi possono offrire distrazione, ma l’intrattenimento è finito se le ombre diventano eterne. Un governo ombra potrà magari risolvere un’impasse politica pur senza tramare nell’ombra, ma difficilmente si troverà chi espressamente chiederà la cittadinanza di un fantomatico regno delle ombre, tanto più se il re sarà, paganamente, Plutarco, oppure, cristianamente, Satana, quel diavolo a cui appunto si vende l’anima che è nell’ombra, perdendosi così definitivamente nella dannazione. Nessuna rivelazione riuscirà mai a cancellare del tutto l’ombra del mistero, d’altro canto esiste anche una certezza senza alcuna ombra di dubbio a tormentare, anche se l’ombra del sospetto potrà comunque incrinare la fede e la fedeltà più salde. Un corruccio, un tormento, una delusione si esprimeranno come un’ombra sul volto, in uno sguardo si potrà riconoscere un’ombra di tristezza, in un sorriso un’ombra di malizia. Giochi di luce e d’ombra sono comunque in genere sempre apprezzati: grazie al punto d’ombra della meridiana si ha l’ora esatta, col punto ombra si orla invece la biancheria più pregiata, la mezz’ombra è gradita alle signore, la penombra agli amanti, il cono d’ombra di un’eclisse è ormai un intrattenimento collettivo che si insegue nelle operazioni massmediatiche attente agli indici di ascolto, il popolo dei telefonini, che pure evita in genere le zone d’ombra, potrà usarle talvolta come scusante provvidenziale. Gettare un’ombra su fasti e splendori li ridimensiona, aiutandoci a vedere nella realtà le sue luci, sì, ma anche le sue ombre. Una strada ombrosa sarà di certo amena e gradevole, soprattutto d’estate, ma non suscettibile come un carattere ombroso, né schiva come una persona umbratile. Si può finire col mantenere solo un’ombra di autorità, non avere più l’ombra di un quattrino, aggiungere al sugo un’ombra di sale, adombrarsi per un nonnulla, aprire un ombrello, aggiustarsi l’ombretto.

Da sempre l’arte si è confrontata con il tema dell’ombra. A dare retta al mito che ne racconta l’origine, la pittura sarebbe addirittura nata dal tentativo di fissare l’immagine dell’uomo disegnando i contorni della sua ombra[3]. Ombre hanno profondamente condizionato l’arte e la sua storia, sia quando ne sono state bandite, per esempio nella scelta della posizione frontale per i santi — la cui solarità non tollera macchia né ombra per definizione —, oppure nell’esaltazione del trionfo di tutto ciò che è mondano[4]. In letteratura il tema dell’ombra è altrettanto vitale, dall’antichità di un Archippo o Luciano, attraverso il medioevo di un Dante, fino all’epoca classica o romantica di un Wieland o di un Chamisso e poi a seguire fino al presente di un Dürrenmatt: come accettazione di ciò che è umano in tutta la sua eccellenza, ma anche in tutta la sua bassezza, come gioco surreale della fantasia con le ossessioni dell’estraneo e dell’inquietante, come simbolo di una sutura tra mondo naturale e mondo spirituale[5]. Volendo approntare una ricerca bibliografica con sussidi elettronici cercando ai lemmi ‘ombra’, ‘shadow’, ‘Schatten’, ‘ombre’, ecc., si sarà presto sommersi da centinaia di titoli: a quanto pare romanzi rosa e gialli, racconti dell’orrore e thriller a sfondo psicologico, poesie di principianti e letterati della domenica, pubblicazioni memorialistiche ed autobiografiche, manuali esoterici ed occultistici, ma anche cataloghi di esposizioni e libri d’arte rinunciano malvolentieri alla ricca metaforica dell’ombra[6].

Si dovrà dire per questo che le ombre sono soltanto oscure espressioni di visionari concettualmente miopi, indici piuttosto di annebbiamento che non di chiarezza? Dovrebbe forse il filosofo non occuparsene affatto, lasciando il problema piuttosto al mitologo, allo psicologo, al critico letterario o allo storico dell’arte? Hegel, che certamente non era un genio romantico avido di nebbie, umori, vapori e crepuscoli, nel presentare il suo sistema della logica come mondo di semplici essenze, liberate da ogni contingenza, arbitrarietà e concrezione sensibile, lo caratterizza come un “regno delle ombre”, il cui studio permette “l’assoluta educazione e disciplina della coscienza”, dando espressione all’“assoluto-vero”![7] Persino in Nietzsche non si può separare l’ombra dal raggio di sole della conoscenza![8]

All’interno della riflessione filosofica il tema dell’ombra ha in genere rilevanza soprattutto epistemologica o estetica, ma è spesso anche straordinariamente carico di pregnanza metafisica e, per il suo spessore, può essere collocato sullo stesso piano di argomenti quali la problematica del segno, della rappresentazione, della parvenza o della traccia. La capacità differenziatrice della percezione o la fedeltà del tratteggio mimetico si esprimono nella maniera migliore proprio attraverso la simbologia dell’ombra. Spesso inoltre il tema dell’incarnazione sensibile della verità si serve precisamente di quelle stesse suggestioni che nell’ombra rimandano anche ad una prefigurazione della morte.

Il mito platonico della caverna nel settimo libro della Politeia sta certamente all’inizio di ogni riflessione filosofica sull’ombra e senza alcun dubbio ha influenzato profondamente non solo la storia della filosofia, che può dirsi davvero, e non solo per modo di dire, collocata appunto nello spazio investito dalla sua ombra[9]. In quel contesto le ombre siglano sia l’autoinganno dei prigionieri, che in proposito organizzano addirittura scommesse e giochi senza senso, sia anche il processo liberatorio dell’uscita dalla caverna e l’ascesa pedagogica dalle ombre delle cose al sole del vero e del bene: ombre della menzogna da un lato, ombre della verità dall’altro[10]. Anche a partire da metafore platoneggianti Giordano Bruno tratteggia una logica (o addirittura, ante litteram, un’ermeneutica) della fantasia e dell’immagine, giacché alle rappresentazioni — grazie alle quali opera la memoria e che sono considerate ombre delle idee — si attribuisce una funzione teoretica in ambito conoscitivo, prefigurando così una teoria del simbolo e della coscienza non concettuale[11]. In An Essay Concerning Human Understanding Locke cerca, tra l’altro, di proporrre una teoria della percezione visiva; un problema è, per esempio, il fatto che la tridimensionalità del mondo sia percepita nella bidimensionalità delle immagini che si formano sulla retina: in effetti vediamo semplicemente un cerchio piatto, variamente colorato ed ombreggiato secondo una certa regolarità, eppure lo interpretiamo senz’altro come una sfera[12]. Il problema sollevato da un’obiezione di Molineux, se cioè un cieco nato che all’improvviso riuscisse a vedere possa distinguere una sfera da un cubo senza tastarli, continuerà in seguito ad essere discusso a partire da diversi punti di vista, per esempio da Leibniz, Berkeley, Voltaire, Condillac o Diderot[13]: l’ombra, come un qualcosa di solamente visibile, è proprio ciò che fa la differenza!

Anche a partire da un’ontologia regionale della cosa stessa Husserl cerca il filo conduttore per l’analisi intenzionale dell’io della percezione anche a partire da adombramenti (“Abschattungen”) prospettivanti ed orientanti, che sono da distinguere attentamente da ciò che è il realmente adombrato (“Abgeschattetes”)[14]. La radicalizzazione della fenomenologia da parte di Heidegger anche nel senso di un’analisi dell’esserci sottolinea dell’ombra in particolare la gettatezza, e non a caso proprio Hölderlin sarà chiamato in causa[15]. Certamente nella questione dell’adombramento resta riconoscibile quel retroterra problematico che ha a che fare con l’apparizione o la riproduzione della verità e dell’essere: eidos ed eidolon continuano a rimandare ai poli estremi di una discesa e di un’ascesa[16]. Letteralmente nell’ombra di Husserl, Merleau-Ponty problematizza l’impensato del suo pensiero, che rimanda all’incarnazione dello spirito e ad un risvolto dell’essere che resiste alla costituzione, per esempio alla terra stessa, sulla quale in fin dei conti si proietta l’ombra e che sostiene segretamente, come uno strato nascosto, sia l’idealizzazione che l’oggettivazione[17]. Questo suolo riconquistato e terrestre rappresenta ora lo sfondo sul quale si può mettere in scena una trasformazione, radicalizzazione, differenziazione ed ampliamento della ragione[18].

 

“Moitié ombre, moitié lumière: c’est l’éclairage des planètes. Une moitié du monde repose, l’autre travaille. Mais, de toute cette moitié qui songe, émane une force mystérieuse”.

 

J. Cocteau, Le grand écart, I

 

 



* Questo breve saggio è stato scritto per festeggiare il sessantacinquesimo compleanno di Bernhard Waldenfels (17 marzo 1999) ed è comparso nella versione originale tedesca in una pubblicazione di carattere privato offerta da allievi ed amici al noto fenomenologo tedesco.

[1] E’ noto, in proposito, il rimando di E. Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie. Eine Einleitung in die phänomenologische Philosophie, a cura di W. Biemel, Hua 6, Den Haag 19622, p. 121 (§ 32); tr. it. di E. Filippini, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale. Introduzione alla filosofia fenomenologica, a cura di E. Paci, Milano 1983, p. 148.

[2] Ma si veda in proposito M.-J. Baudinet-Mondzain, “Ombre”, in Encyclopédie philosophique universelle, a cura di A. Jacob, vol. II/2, Les notions philosophiques. Dictionnaire, a cura di S. Auroux, Paris 1990, p. 1801-1802, in cui peraltro si considera piuttosto l’aspetto estetico del problema. I dizionari filosofici del XVII e del XVIII secolo dedicano un’attenzione maggiore alla questione, cfr. per esempio J. Micraelius, “Umbra”, in Lexicon Philosophicum. Terminorum philosophis usitatorum ..., Stettin 16622 (ristampa anastatica: Düsseldorf 1966), coll. 1383-1386, si vedano in particolare le distinzioni proposte, con risvolti soprattutto astronomici e geometrici, tra umbra minor (seu pyramidalis), aequalis (cylindriformis seu columnaria), major, recta e versa; S. Chauvin, “Umbra”, in Lexicon Philosophicum, Leeuwarden 17132 (ristampa anastatica: Düsseldorf 1967), pp. 700-701, si veda in particolare la differenza proposta tra umbra prima e secunda, perfecta, penumbra; J.G. Walch, “Schatten”, in Philosophisches Lexicon. Leipzig 17754 (ristampa anastatica: Hildesheim 1968), vol. II, coll. 699-700, si veda in particolare la differenza tra ombra più chiara ed ombra più scura; ed infine C. Hutton, “Shadow”, in A Mathematical and Philosophical Dictionary, London 1795 (ristampa anastatica: Hildesheim/New York 1973), vol. II, pp. 444-445, con rimandi alle teorizzazioni dell’ombra nell’ottica, nell’astronomia, nella geografia e nella teoria della prospettiva.

[3] Plin. nat. 35, 3, 15 (secondo l’edizione C. Plinius Secundus, Naturalis Historia, a cura di L. Ian e C. Mayhoff, vol. V, Libri XXXI-XXXVII, Stuttgart 1967, p. 233).

[4] Cfr. E.H. Gombrich, Shadows. The Depiction of Cast Shadows in Western Art, London 1995; tr. it. di M.C. Mundici, Ombre. La rappresentazione dell’ombra portata nell’arte occidentale, Torino 1996. Sulla connessione tra bellezza e gioco dell’ombra in altre tradizione culturali cfr. J. Tanizaki: In.ei raisan, Tokyo 1933; tr. it. di A. Ricca Suga, Libro d’ombra, a cura di G. Mariotti, Milano 1982. Ringrazio cordialmente Birgit Schaaff e Birgit Griesecke per avermi suggerito quest’ultimo rimando.

[5] Cfr. G. von Wilpert, Der verlorene Schatten. Varianten eines literarischen Motivs, Stuttgart 1978.

[6] Soltanto un esempio: nell’ottobre 1998 la Bibliografia Nazionale Tedesca su CD-ROM riporta per gli anni 1993 segg. 821 titoli, la maggior parte dei quali si situa in ambito letterario.

[7] G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik. I. Die objektive Logik (1812/1813), a cura di F. Hogemann e W. Jaeschke, GW 11, Hamburg 1978, p. 29; tr. it. di A. Moni, rivista da C. Cesa, Scienza della logica, I, Roma-Bari 1974, pp. 41-42. Probabilmente qui Hegel rimanda indirettamente a Schiller, che in una sua poesia aveva caratterizzato le forme originarie dell’ente e la bellezza dell’ideale proprio come regno delle ombre. Cfr. F. Schiller, “Das Reich der Schatten”, in Werke. Nationalausgabe, vol. I, Gedichte in der Reihenfolge ihres Erscheinens 1776-1799, a cura di J. Petersen e F. Beißner, Weimar 1943, pp. 247-251; cfr. anche Id., “Das Reich der Formen” e “Das Ideal und das Leben”, in Werke. Nationalausgabe, vol. II/1, Gedichte in der Reihenfolge ihres Erscheinens 1799-1805 — der geplanten Ausgabe letzter Hand (Prachtausgabe) — aus dem Nachlaß, a cura di N. Oellers, Weimar 1983, pp. 118, 164, 396-400; tr. it. di G. Moretti, “L’ideale e la vita”, in Poesie filosofiche, Milano 1990, pp. 47-55.

[8] F. Nietzsche, “Der Wanderer und sein Schatten”, in Menschliches, Allzumenschliches. II. Nachgelassene Fragmente. Frühling 1878 bis November 1879, Werke, a cura di G. Colli e M. Montinari, vol. IV/3, Berlin 1967, p. 176; tr. it. di S. Giametta e M. Montinari, “Il viandante e la sua ombra”, in Umano, troppo umano. II. Frammenti postumi (1878-1879), Opere, a cura di G. Colli e M. Montinari, vol. IV/3, Milano 1967, p. 134: “Quell’ombra che tutte le cose mostrano quando il sole della conoscenza cade su di esse, — anche quell’ombra sono io”. Cfr. anche ibid.; tr. it. cit., pp. 133-134: “Perché ci sia bellezza sul volto, chiarezza nel discorso, bontà e saldezza nel carattere, l’ombra è tanto necessaria quanto la luce. Esse non sono avversarie: si tengono al contrario amorevolmente per mano, e se la luce sparisce, l’ombra le guizza dietro”. Cfr. anche Id., “Der Schatten”, in Also sprach Zarathustra. Ein Buch für Alle und Keinen (1883-1885), a cura di G. Colli und M. Montinari, Werke, vol. VI/1, Berlin 1968, pp. 334-337; tr. it. di M. Montinari, “L’ombra”, in Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, Opere, a cura di G. Colli e M. Montinari, vol. VI/1, Milano 1968, pp. 330-333.

[9] Resp. VII, 514a ff. Sui precedenti nel pensiero presocratico e sull’incidenza che il mito della caverna ha avuto addirittura fino alla letteratura del nostro secolo, cfr. K. Gaiser, Il paragone della caverna. Variazioni da Platone a oggi, Napoli 1985.

[10] La competizione che i prigionieri organizzano sulle ombre è stata interpretata come esempio di una ritualizzazione del mondo della vita attraverso simboli, che allora non hanno più bisogno di alcuna ontologia fondamentale, cfr. H. Blumenberg, “Phänomenologische Reduktion der Schatten”, in Höhlenausgänge, Frankfurt a.M. 1989, pp. 163-169. Ringrazio cordialmente Gerhard Unterthurner per avermi suggerito questo rimando.

[11] Cfr. G. Bruno, De umbris idearum (Paris 1582), in Opera Latine Conscripta, vol. II/1, a cura di V. Imbriani e C.M. Tallarigo, Napoli 1886, pp. 1-55; tr. it. di N. Tirinnanzi, Le ombre delle idee, in Le ombre delle idee. Il canto di Circe. Il sigillo dei sigilli, a cura di M. Ciliberto, Milano 1997, pp. 35-103; Id., De imaginum, signorum et idearum compositione (Frankfurt 1591), in Opera Latine Conscripta, vol. II/3, a cura di F. Tocco e H. Vitelli, Napoli 1889, pp. 85-322. In proposito F. Fellmann, “Bild und Bewußtsein bei Giordano Bruno”, in R. Heinrich und H. Vetter (a cura di), Bilder der Philosophie. Reflexionen über das Bildliche und die Phantasie, Wien/München 1991, pp. 200-222, in part. 212-216.

[12] Cfr. J. Locke, An Essay Concerning Human Understanding, a cura di P.H. Nidditch, Oxford 1975, pp. 145-146 (II.ix,8); tr. it. di M. e N. Abbagnano, Saggio sull’intelletto umano, Torino 1971, pp. 180-181.

[13] Cfr. in proposito M. Baxandall, Shadows and Enlightenment, New Haven/London 1995, in part. pp. 17-31.

[14] Cfr. per esempio E. Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie, I, Allgemeine Einführung in die reine Phänomenologie, a cura di K. Schuhmann, Hua 3/1, Den Haag 1976, pp. 83-89 (§§ 41-42); tr. it. di E. Filippini, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Torino 1965, pp. 87-92. In proposito U. Claesges, Edmund Husserls Theorie der Raumkonstitution, Den Haag 1964, pp. 39-40, 64-66.

[15] Cfr. M. Heidegger, Hölderlins Hymne “Andenken”, a cura di C. Ochwadt, GA 52, Frankfurt a.M. 19922, p. 114, tr. it. (lievemente modificata) di C. Sandrin e U. Ugazio, L’inno Andenken di HØlderlin, Milano 1997, p. 99: “L‘ombra è sempre gettata, ma in quanto tale è a sua volta anche un qualcosa che produce ombra [Abschattendes], un qualcosa che pure permette una qualche forma di visione [Anblick] e in tal modo mostra le sembianze di una cosa: eidos. Solo che queste ‘sembianze’ non permettono già più all’ente stesso di emergere ed è per questo motivo che i greci danno a quelle sembianze che le ombre offrono e che esse stesse sono il nome di eidolon — (‘Idol’)”.

[16] Cfr. ivi, pp. 114-115, tr. it. cit. (lievemente modificata), p. 99: “L’ombra, in quanto è qualcosa che oscura [Abschattendes], non è già più ciò che riluce [das Leuchtende] e, ancor meno, la luce stessa; è invece una specie di assenza essenziale [Abwesung] di ciò che riluce e di ciò che propriamente appare da se stesso [des eigentlich selbst Erscheinenden]”.

[17] Cfr. M. Merleau-Ponty, “Le philosophe et son ombre”, in H.L. van Breda e J. Taminiaux (a cura di), Edmund Husserl 1859-1959. Recueil commémoratif publié à l’occasion du centenaire de la naissance du philosophe, Den Haag 1959, pp. 195-220; tr. it. di G. Alfieri, “Il filosofo e la sua ombra”, in Segni, a cura di A. Bonomi, Milano 1967, pp. 211-238.

[18] Cfr. B. Waldenfels, Deutsch-Französische Gedankengänge, Frankfurt a.M. 1995, pp. 20-21. Sull’uso del motivo dell’ombra nella riflessione femminista contemporanea cfr. B. Weisshaupt, “Schatten über der Vernunft”, in H. Nagl-Docekal (a cura di), Feministische Philosophie, Wien/München 1990, pp. 136-157. Ringrazio cordialmente Silvia Stoller per avermi suggerito quest’ultimo rimando.


 

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